A fine aprile il primo ministro giapponese Shinzo Abe si è recato in visita in Russia per la prima volta negli ultimi dieci anni. Da quando Russia e Giappone stabilirono le relazioni diplomatiche 128 anni fa, Mosca e Tokyo hanno sempre avuto un rapporto complicato a causa della rivalità per il controllo delle isole fra il Giappone e la penisola della Kamchatcka, passate a più riprese nelle mani dell’uno e dell’altro contendente.
Il Trattato di San Pietroburgo del 1875 cedette al Giappone il controllo delle isole Curili in cambio del controllo su Sakhalin, ma dopo la guerra russo-giapponese del 1904-5 il Giappone si impadronì della parte meridionale di Sakhalin. Durante la Seconda Guerra Mondiale i Sovietici occuparono tutte le isole ed espulsero tutti Giapponesi che vi abitavano; e al termine del conflitto a Yalta ottennero il diritto di sovranità sui nuovi territori acquisiti (mappa a lato). Dal 1945 ad oggi il Giappone, che considera la Russia come ‘potenza occupante’, non ha mai acconsentito a firmare la pace.
Durante la Guerra Fredda Tokyo finì sotto l’ombrello protettivo degli USA, allontanandosi da Mosca; per questa ragione i rapporti commerciali fra i due paesi sono alquanto modesti nonostante la vicinanza: soltanto 32 miliardi di dollari rispetto agli 82 fra Mosca e Pechino. L’unico esempio di collaborazione riguarda l’impianto di gas naturale liquefatto (LNG) dell’isola di Sakhalin-2, ex possedimento giapponese.
Attualmente il governo giapponese sta compiendo grandi sforzi per rilanciare l’economia e uscire dalla stagnazione che ha interessato il paese dopo lo scoppio della bolla finanziaria nei primi anni ’90. Perciò ha deciso di aumentare la collaborazione con la Russia puntando su un settore di comune interesse: l’energia.
Dopo il disastro di Fukushima nel 2011 e la conseguente chiusura delle centrali nucleari , Tokyo − già fortemente dipendente dalle importazioni di energia − ha ulteriormente aumentato del 30% le importazioni di gas naturale per far fronte ai crescenti consumi.
Tanto più che, dopo l’introduzione delle sanzioni all’Iran, a Tokyo è venuto a mancare un fornitore di petrolio. Per far fronte a una richiesta di energia sempre maggiore, il Giappone ha deciso di avvicinarsi alla Russia, anche per non essere tagliato fuori dalla competizione energetica che vede coinvolti anche altri attori regionali come Cina e Corea del Sud.
Attualmente la maggior parte delle esportazioni di energia russa (il 75% del petrolio e il 78% del gas) va in Occidente. In seguito ai tentativi dei paesi europei di svincolarsi dalla dipendenza dall’energia russa tramite fonti alternative, quali i gas da scisti o lo LNG, Mosca ha deciso di cercare nuovi mercati, in particolare nel Pacifico, per compensare eventuali cali delle esportazioni in Occidente. Per Mosca infatti l’energia rappresenta la principale fonte di reddito dello stato, il pilastro dell’economia russa.
Negli ultimi 10 anni la Russia ha già incrementato la quota di esportazioni di petrolio in Asia dal 3% al 15%, e dovrebbe raggiungere il 25% entro il 2014 grazie alla costruzione di nuovi oleodotti, che avranno una capacità di 2,1 milioni di barili al giorno, rispetto agli attuali 4,8 milioni. Inoltre Gazprom punta a costruire un gasdotto di 2500 km dalla Siberia al Pacifico entro il 2016, e un impianto per liquefare il gas siberiano a Vladivostock (mappa a lato).
Nei prossimi mesi sono previsti incontri ad alto livello fra Russia e Giappone per discutere di due accordi importanti:
1) la creazione di una banca di investimenti russo-giapponese, che permetterà a Mosca di rilanciare la campagna di privatizzazioni delle aziende statali coinvolgendo il Giappone, finora escluso dalla corsa;
2) la partecipazione di aziende giapponesi allo sviluppo e all’ammodernamento del settore energetico russo.
Il terreno di collaborazione fra i due paesi è estremamente fertile.
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