10 settembre 2010
Il grande storico francese Pascal Bruckner ha recentemente pubblicato un articolo di sferzante ironia sul senso di colpa dell'Europa sul City Journal dell'estate 2010 (Europe's Guilty Conscience).
A commento dell'articolo la redazione di City Journal ha posto una foto della dimostrazione di protesta degli Spagnoli per l'attentato terroristico a Madrid del 2004, rivolta contro il proprio governo, non contro al Qaeda (vedi sopra).
Traduciamo di seguito il testo dell'articolo:
L'Europa non invecchia bene. Più di mezzo secolo dopo aver mosso i primi passi verso quella che sarebbe diventata l'Unione Europea, è - a dir molto - un grande mercato privo di una coerente personalità politica e militare - e conta sempre meno negli affari del mondo.
La vecchia battuta di Henry Kissinger che all'Europa mancava un numero di telefono (quello del decisore responsabile) è quanto mai valida. Che cosa è successo? Possiamo fare un elenco di motivi: il persistere degli egoismi nazionali, la preponderanza di Francia e Germania, lo scarso coinvolgimento della Gran Bretagna e la sua disponibilità a seguire le direttive di Washington, lo squilibrio nato dall'inclusione degli ex satelliti sovietici. Ma più importante di tutti questi fattori è che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale l'Europa è tormentata dal bisogno di penitenza.
Tormentata dal ricordo dei crimini passati (schiavitù, imperialismo, fascismo, comunismo), l'Europa vede la propria storia come una serie di assassinii e di furti, culminati in due guerre mondiali. L'Europeo medio, donna o uomo, è molto sensibile, sempre pronto a soffrire per i dolori del mondo e a farsene carico, sempre pronto a chiedersi che cosa può fare il Nord per il Sud, anziché che cosa può fare il Sud per se stesso. I nati dopo la fine della guerra sono ricolmi della consapevolezza di appartenere alla feccia dell'umanità, a una civiltà esecrabile che ha dominato e depredato la maggior parte del mondo per secoli in nome della superiorità dell'uomo bianco.
Dopo l'11 settembre, ad esempio, nonostante la nostra pietà per le vittime, la maggioranza degli Europei ha pensato che gli Americani avevano ciò che si meritavano. Lo stesso atteggiamento è prevalso rispetto agli attacchi del 2004 a Madrid e del 2005 a Londra, quando molte anime belle, sia di destra che di sinistra, raffigurarono gli attentatori come poveretti che protestavano per la ricchezza insolente degli Europei, o per il loro stile di vita, e per l'aggressione all'Iraq e all'Afghanistan.
L'Europa ha sicuramente generato mostri. Ma nel contempo ha generato le idee che hanno permesso di uccidere i mostri.
La storia europea è un succedersi di paradossi: il potere feudale arbitrario ha generato la democrazia, l'oppressione ecclesiastica ha generato la libertà di coscienza, le rivalità fra nazioni il sogno della comunità sovranazionale, le conquiste d'oltremare l'anticolonialismo, le ideologie rivoluzionarie il movimento antitotalitario. L'Europa ha mandato eserciti, missionari e mercanti in terre lontane, ma ha anche inventato l'antropologia, che è un modo di vedere attraverso lo sguardo dell'altro, di prendere le distanze da sé nell'avvicinare l'altro. L'avventura coloniale morì di questa contraddizione fondamentale: l'assoggettamento dei continenti alle leggi di una madre patria che insegnava ai sudditi l'idea del diritto della nazione all'autogoverno. Nel reclamare l'indipendenza, le colonie applicavano ai dominatori le regole che avevano imparato da loro.
Fin dal tempo dei Conquistadores l'Europa ha perfezionato l'arte di conciliare crudeltà e progresso. Ma una civiltà responsabile delle peggiori atrocità e delle più sublimi conquiste non può vedere se stessa soltanto come colpevole. Il sospetto che aleggia sui nostri maggiori successi rischia sempre di degenerare nell'odio di sé e nel facile disfattismo.
Ora viviamo nell'anto-denuncia, come se avessimo per sempre un debito verso i poveri, i reietti, gli immigrati - come se il nostro unico dovere fosse l'espiazione, un'espiazione senza fine, un restituire senza termine quanto abbiamo sottratto all'inizio. Questa ondata di penitenza attraversa confini e governi come un'epidemia. Una coscienza sensibile è cosa buona e sana, ovviamente. Ma la contrizione non deve essere riservata soltanto ad alcuni, mentre chiunque dica di essere perseguitato è presunto innocente.
Nonostante i loro errori, gli Stati Uniti sanno conciliare l'autocritica con l'autoaffermazione, hanno l'orgoglio che noi non abbiamo. L'Europa è il peggior nemico di se stessa per la visione penitenziale del proprio passato, il senso di colpa corrosivo, la scrupolosità fino alla paralisi. Come possiamo essere rispettati se non rispettiamo noi stessi, se i nostri media e la nostra letteratura ci dipingono sempre coi tratti più truci? In realtà gli Europei non si piacciono, o per lo meno non si piacciono abbastanza per superare il disgusto e nutrire quel fervore quasi religioso per la propria cultura che è così notevole negli Americani.
Dimentichiamo spesso che l'Europa moderna non è nata, come gli Stati Uniti, da un entusiasmante momento di nuovo inizio storico, ma dalla stanchezza della strage. C'è voluto il disastro totale di Verdun e di Auschwitz perché il Vecchio Mondo arrivasse alla virtù, come un vecchio debosciato che passa direttamente dal vizio al fervore della fede religiosa. Senza i due conflitti mondiali con la loro parata di orrori, non avremmo mai avuto questa aspirazione alla pace, che è spesso difficile da distinguere dal desiderio di riposo. Forse siamo diventati saggi, ma della la saggezza forzata di persone brutalizzate dalla violenza e rassegnate a una vita di piccoli progetti. L'unica ambizione rimastaci è sfuggire alle furie contemporanee e isolarci ad amministrare le nostre questioni sociali ed economiche.
Mentre l'America è tutto un progetto, l'Europa è tutta una tristezza. Presto sarà poco più che un residuo di sogni non realizzati. Abbiamo sognato una grande diversità in cui vivere bene, perseguire la felicità personale e, se possibile, diventare ricchi - e tutto ciò nel bel mezzo di grandi opere di cultura. Era un progetto meritevole, certamente, e una tale condizione di calma sarebbe perfetta in periodi di grande serenità, in un mondo che avesse finalmente raggiunto la 'pace perpetua' di Kant. Ma c'è un aspro contrasto fra le storie che narriamo a noi stessi sui diritti, la tolleranza, il multiculturalismo, e le tragedie che vediamo nel mondo circostante - nella Russia autocratica, nell'aggressivo Iran, nella Cina arrogante, nel Medio Oriente diviso. Le vediamo anche nel cuore delle nostre grandi città, nella doppia offensiva del terrorismo islamico e dei gruppi fondamentalisti che cercano di colonizzare menti e cuori e di islamizzare l'Europa.
Nulla è più pericoloso di un senso collettivo di colpa, tramandato di generazione in generazione, che attribuisce a un popolo una macchia permanente. La contrizione non sa definire l'ordine politico. Come non deve esserci trasmissione della condizione di vittima, non deve esserci trasmissione della condizione di oppressore. Il dovere della memoria non implica né la purezza né la corruzione automatica dei nipoti dei bisnipoti. La storia non è divisa fra nazioni peccatrici e nazioni angeliche, ma fra democrazie che riconoscono le proprie colpe e dittature che si ammantano del mantello dei loro martiri. Abbiamo imparato nell'ultimo mezzo secolo che ogni stato si fonda sul crimine e sulla coercizione, inclusi quelli che sono appena apparsi sulla scena della storia. Ma ci sono stati capaci di riconoscerlo e di affrontare la barbarie, e altri che giustificano i loro misfatti con la precedente oppressione.
Ricordiamo un semplice fatto: L'Europa ha saputo vincere i propri orribili mostri. La schiavitù è stata abolita, il colonialismo è stato abbandonato, il fascismo sconfitto, il comunismo messo in ginocchio. Quale altro continente può dire altrettanto? Alla fine il bene ha trionfato sull'abominio. L'Europa è l'Olocausto, ma è anche la distruzione del nazismo; è il Gulag, ma anche la caduta del Muro; l'imperialismo, ma anche la decolonizzazione, la schiavitù, ma anche la sua abolizione. In ognuno di questi casi non soltanto c'è l'abbandono di una forma di violenza, ma anche la sua delegittimazione, un doppio progresso di fatto e di diritto. Alla fine la libertà ha vinto sull'oppressione, ed è per questo che in Europa si vive meglio che in molti altri continenti, e le persone dall'estero bussano alla porta d'Europa, mentre lei si arrotola nei sensi di colpa.
L'Europa non crede più che esista la malvagità, ma soltanto l'incomprensione, che può risolversi con la discussione e il dialogo. Non ha più nemici, soltanto controparti. Pensa che, se sarà gentile con gli estremisti, questi saranno gentili con lei, e si potrà disarmarli e togliergli l'aggressività, rammollirli. L'Europa non vuole più Storia, perché la Storia è un incubo, un campo minato da cui è scampata con grande fatica nel 1945, e di nuovo nel 1989. E dato che la Storia va avanti senza di noi, e ovunque le nazioni emergenti rafforzano la propria dignità, il proprio potere e la propria aggressività, l'Europa lascia che se ne occupino gli Americani, riservandosi il diritto di criticarli con violenza quando sbagliano. È strano che l'Europa sia l'unica regione al mondo in cui il budget per le spese militari si abbassa ogni anno. Se avessimo la disgrazia di subire un attacco alle frontiere, non avremmo eserciti per difenderle. In occasione della crisi di Haiti Bruxelles non ha trovato neppure qualche migliaio di soldati da mandare in aiuto delle vittime del disastro. Siamo bene attrezzati per calibrare le dimensioni delle banane o la composizione dei formaggi, ma non per assemblare una forza militare degna di tal nome.
Nei suoi momenti peggiori l'Europa cerca la pace ad ogni costo, anche quella che San Tommaso d'Aquino chiamava la cattiva pace, che consacra l'ingiustizia, l'arbitrio del potere e il terrore, una pace deplorevole gravida di cattive conseguenze. L'Europa teorizza la libertà universale, ma si accontenta della propria. L'Europa ha una storia, mentre l'America la sta ancora facendo, animata dalla tensione escatologica verso il futuro. Se questa a volte fa grandi errori, quella non ne fa perché non fa nulla. Per l'Europa la prudenza non consiste più nell'arte, cara agli antichi, di trovare il proprio cammino in una storia incerta. Odiamo l'America perché opera cambiamenti. Preferiamo l'Europa, perché non ci minaccia. La nostra repulsione è una specie di omaggio, la nostra simpatia una specie di disprezzo.
A che serve il nostro senso di colpa? A espiare le colpe ed evitare di ricadere nei vecchi errori? Forse. Ma serve soprattutto a giustificare l'inazione politica. Se il Vecchio Mondo predilige la coscienza alla responsabilità, è perché costa meno. Così ci facciamo andar bene il senso di colpa. La nostra disperata pigrizia ci porta non a combattere l'ingiustizia ma a conviverci. Ci dilettiamo della nostra tranquilla impotenza, e viviamo in un pacifico inferno. Ci lasciamo sopraffare da parole di biasimo, così non dobbiamo avere nessun ruolo di responsabilità ed evitiamo di prender parte agli affari del mondo. Il rimorso è un miscuglio di buona volontà a di cattiva coscienza: il sincero desiderio di sanare le vecchie ferite, purché ci lascino in pace. Il nostro debito verso i morti prevale sul dovere verso i vivi. Il pentimento ci fa chiedere perdono per i vecchi crimini per poter meglio ignorare quelli odierni.
L'Europa ha sviluppato un vero e proprio feticismo della modestia. Ma se non può presiedere ai destini del mondo deve almeno giocare la propria parte, far sentire la propria voce in favore della giustizia e della legalità, e dotarsi di mezzi politici e militari per farsi sentire. La penitenza alla fine è una scelta politica: la scelta di abdicare, che non ci rende certo immuni da errori. La paura di ripetere gli errori del passato ci rende troppo indulgenti verso gli orrori di oggi. Preferendo l'ingiustizia al disordine, il Vecchio Mondo rischia di perdersi nel caos, vittima dell'inazione scambiata per saggezza.
Abbiamo sempre pensato che l'Europa sarebbe stata il futuro della Svizzera. Che sia vero il contrario? Che sia la Svizzera il futuro dell'Europa? Che siamo a rischio di elvetizzazione? Se così fosse il nostro continente, vecchio e in declino, diventerebbe un sanatorio di alta classe, pronto ad essere fatto a pezzi da qualunque predatore e a rinunciare alla libertà pur avere ancora un po' di quiete e di comodità.
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