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Quelle appena concluse sono le prime elezioni generali dal 2014, anno in cui l’attuale Primo ministro Narendra Modi e il suo Bharatiya Janata Party (BJP, ovvero il Partito del Popolo Indiano) hanno sradicato dal potere il Congresso Nazionale Indiano (INC), che dominava la politica indiana fin dall’indipendenza nel 1947. Al centro di queste elezioni si pone oggi la definizione stessa dell’identità nazionale dell’India.
L’India è la più grande democrazia del mondo: le sue dimensioni e le sue diversità presentano una serie di sfide alla governance della nazione. Nel corso degli anni sono stati adottati approcci diversi per gestire la diversità del paese. L’India ha al suo interno una miriade di gruppi linguistico-culturali, ognuno dei quali ha una propria storia. La Costituzione riconosce ufficialmente ventidue lingue, ma ce ne sono altre migliaia in tutto il paese. L’approccio più comune, spesso più efficace, nella storia dell’India è stato gestirla come una federazione decentrata di stati e territori, in cui il governo centrale sollecitava tributi dai confederati. Raramente un potere centralizzato è riuscito a governare l’India, e mai per lungo tempo. Ma negli ultimi anni è riemersa l’idea di un modello più centralizzato, soprattutto con l’ascesa di Narendra Modi.
Nel decidere tra INC e BJP, gli Indiani si trovano a scegliere anche tra due modelli di governance. L’INC e il suo leader Rahul Gandhi sono promotori di un governo decentrato che fa molto affidamento sulla spesa pubblica e sulla cooperazione tra il governo centrale, i governi dei singoli stati e le amministrazioni locali. La visione dell’INC dell’identità nazionale indiana lega insieme i gruppi diversi attraverso la ‘buona’ amministrazione e il modello laico e democratico. Il BJP cerca invece di centralizzare il potere e proiettarlo su tutto il territorio nazionale, coltivando la visione di una singola identità nazionale cui l’intera popolazione è chiamata ad aderire.
Non sorprende che questi due modelli in competizione siano emersi come le risposte dell’India all’imperialismo britannico e al successivo movimento indipendentista. Gli scontri tra i colonizzatori e le popolazioni locali furono all’ordine del giorno durante tutto il 1800, portando verso fine secolo al rifiuto intellettuale del colonialismo. I leader del pensiero indiano avviarono movimenti in tutto il paese per riformare e modernizzare l’interpretazione dei testi e delle pratiche indù, nel periodo che divenne noto come il Rinascimento Indù. In gran parte questo movimento era alimentato dal comune rifiuto della logica imperialista, che considerava le pratiche occidentali superiori a quelle locali. I movimenti del Rinascimento presentavano l’induismo e altre pratiche locali come elementi distintivi e peculiari del paese, diversi da quelli europei ma non inferiori. Da questi movimenti emerse l’Indian National Congress (INC), il primo partito politico indiano, che è ancora uno dei più grandi.
Poi scoppiò la Prima guerra mondiale. Gli Inglesi imposero l’arruolamento e nuove tasse in India per sostenere lo sforzo bellico. Durante la guerra l’India conobbe l’inflazione, l’insufficienza di raccolti e le epidemie influenzali, che toccavano tutte le fasce sociali. Durante la guerra i musulmani dell’India erano stati solidali con l’Impero ottomano, dunque allineati contro la Gran Bretagna e i suoi alleati. L’INC usò il comune sentimento anti-inglese per allineare i musulmani con gli Indù nella sua causa anti-imperialista e indipendentista. Ma nel periodo fra le due guerre l’INC divenne più esplicitamente associato ai gruppi nazionalisti indù e i musulmani gradualmente si allontanarono dal partito.
Mentre l’alleanza politica indù-musulmana diminuiva e aumentava l’indipendenza, l’INC iniziò a costruire una coalizione tra le classi socio-economiche. Gli sforzi del partito alla fine diedero i loro frutti: l’India ottenne l’indipendenza nel 1947, con un significativo spargimento di sangue e un’ulteriore divisione fra indù e musulmani durante la Partizione, che creò l’India e il Pakistan dei tempi moderni e ricostituì la composizione religiosa dell’India.
Quando l’INC salì al potere in un’India indipendente, aderì ad un’ideologia laica. La nozione indiana di laicismo differisce da quella occidentale. Mentre l’Occidente considera il laicismo come la separazione tra religione e stato e garantisce libertà di culto, in India la laicità impone allo stato di trattare allo stesso modo tutti i gruppi. I dati demografici di ogni gruppo religioso ed etnico sono accuratamente elencati, le minoranze sono identificate e un certo numero di lavori e servizi sono riservati a ogni gruppo per contribuire a garantire l’equa ripartizione delle risorse. La composizione di gruppi etnici e religiosi differisce ampiamente tra gli stati dell’India, quindi l’approccio decentrato dell’INC lascia ai governi locali l’attuazione delle politiche che meglio si adattano ai loro collegi elettorali. Emersero poi gruppi di spin-off nell’INC che sostenevano un approccio più centralizzato. Quando i musulmani abbandonarono l’INC, una fazione creò la Lega musulmana. I sostenitori del nazionalismo indù lasciarono il partito per formare varie organizzazioni e partiti politici. Tra questi spiccavano Rashtriya Swayamsevak Sangh, che aveva guidato la resistenza armata al dominio britannico, e Hindu Mahasabha, gruppo politico di destra. Negli anni ’40 un altro gruppo spin-off immaginò un’India tenuta insieme da un’identità indù condivisa: quel gruppo si è evoluto in quello che è oggi il BJP.
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