Il 23 luglio 1952 il Movimento dei Liberi Ufficiali, composto per la maggior parte da giovani ufficiali di classe medio-bassa, rovesciò la monarchia rimpiazzandola con un nuovo sistema politico basato su di una ideologia nazionalista che si proclamava socialmente di sinistra.
Re Farouk fu costretto all'esilio, nel giro di pochi mesi il parlamento fu sciolto e i partiti politici messi fuorilegge.
I Liberi Ufficiali che capeggiavano il Consiglio Rivoluzionario avviarono la riforma agraria: i contadini non avrebbero potuto tenere proprietà superiori agli 80 ettari – ulteriormente ridotti a 20 nel 1969 – e i terreni dei latifondisti furono confiscati. I militari re- distribuirono parte delle terre ai contadini, nazionalizzarono le industrie e i servizi e ampliarono il settore pubblico, guadagnando consenso popolare.
Il governo militare incontrò presto ostacoli interni. Due mesi dopo il colpo di stato il premier fantoccio Ali Mahir Pasha fu costretto a dimettersi per i contrasti con i vertici del Consiglio Rivoluzionario in tema di riforme agrarie. Il suo successore fu il generale Muhammad Naguib, che nel gennaio 1953 bandì tutti i partiti politici, abolì la costituzione del 1923 e instaurò un governo militare di transizione della durata di tre anni. Il 18 giugno 1953 l'Egitto diventava ufficialmente una repubblica, con Naguib nel ruolo di presidente e di primo ministro. Nasser, un altro rappresentante dei Liberi Ufficiali, assunse il ruolo di vice primo ministro e creò il sistema di governo a partito unico. Nasser e Naguib avevano divergenze su diversi argomenti – ad esempio sul ritiro inglese dall’Egitto, sui rapporti con i Fratelli Musulmani e sul ripristino delle attività parlamentari, cui Nasser si opponeva. Queste differenze portarono Nasser a diffidare di Naguib e della sua politica considerata troppo moderata nei confronti del Wafd (partito nazionalista filo-occidentale, maggioritario nel dopoguerra) e dei Fratelli Musulmani. Nasser vedeva in Naguib un ostacolo alla rivoluzione; dalla sua Naguib vedeva Nasser e i suoi seguaci come giovani impazienti privi di esperienza.
Naguib si rivelò debole: offrì una prima volta le dimissioni il 23 febbraio del 1954, ma fu confermato grazie alla pressione dell'opinione pubblica. Le sue definitive dimissioni arrivarono il 19 aprile 1954, dopo che Nasser lo aveva accusato di voler ripristinare il vecchio regime. Nasser a gennaio del 1955 assunse la carica di primo ministro e di capo del Consiglio Rivoluzionario, ottenendo così il pieno controllo dell’Egitto. L’anno successivo venne promulgata la nuova costituzione, che concentrava il potere nelle mani di un forte esecutivo. La rivoluzione era compiuta e il consiglio rivoluzionario venne sciolto.
Nasser cominciò a concentrarsi sulla politica estera per raggiungere i suoi obiettivi pan-arabi. In primis optò per la nazionalizzazione del canale di Suez, che portò alla guerra del 1956 e fece di Nasser un eroe nazionale, aumentandone il prestigio nel mondo arabo. Allineandosi con Mosca contro l’Occidente e Israele e intervenendo negli affari interni di Siria, Yemen, Iraq, Algeria, Libano, Arabia Saudita e Giordania, Nasser si pose come capo carismatico degli Arabi e consolidò il potere in Egitto.
Il panarabismo promosso da Nasser portò alla breve unione di Egitto e Siria nella cosiddetta Repubblica Araba Unita (RAU) nel 1958, cui si unì poco dopo lo Yemen del Nord dando vita a una confederazione meglio nota come Stati Arabi Uniti.
L'unione con la Siria non fu facile: i Siriani non apprezzavano l'eccessivo potere egiziano; il tentativo egiziano di servirsi della Siria per architettare un colpo di stato contro il leader iracheno Abdel Karim Kassem portò alla fine dell’esperienza unitaria: l’esercito siriano si oppose e cacciò gli Egiziani dalla Siria nel 1961.
Temendo di perdere il prestigio, Nasser mosse con decisione verso una politica economica di tipo socialista: fu promulgata una nuova costituzione nel 1962, più di metà delle imprese del paese furono nazionalizzate, gli oppositori di Nasser furono estromessi dalle posizioni di potere.
Quando ufficiali filo-nasseriani nello Yemen del nord presero il potere con un colpo di stato, Nasser fu di nuovo assorbito da questioni internazionali: presto scoppiò una guerra fra l’Egitto, che sosteneva il nuovo regime, e l’Arabia Saudita, che appoggiava il deposto imam Muhammad al-Badr. Non ci furono né vincitori né vinti. Nel 1963 un nuovo colpo di stato militare in Iraq portò al potere le forze filo-nasseriane e venne rispolverata l’idea di una nuova unione panaraba, che non ebbe però seguito.
La costituzione fu rivista altre due volte: nel 1964 e nel 1971. Nasser fu rieletto presidente nel marzo del 1965 con un mandato di 7 anni.
Sebbene Nasser e molti dei suoi più stretti alleati vestissero ormai panni civili, l'esercito continuò a costituire una larga fetta del governo, e solo dopo la sconfitta contro Israele nella guerra dei sei giorni i militari rinunciarono a ruoli di governo per dedicarsi alla riorganizzazione dell’esercito. In seguito alla sconfitta Nasser fu costretto a rimuovere gli ufficiali più anziani aprendo la strada a una nuova generazione che non aveva legami con i Liberi Ufficiali, e nel 1968 promulgò una legge che sanciva la separazione fra potere politico e militare – anche se di fatto l'esercito continuò a mantenere una posizione privilegiata all'interno dello stato.
Nonostante i problemi interni Nasser passò gli ultimi anni della sua vita a creare un fronte arabo unito contro Israele. La morte di Nasser per attacco di cuore nel settembre 1970 interruppe i suoi piani e portò al potere Anwar Sadat, che avviò nuove riforme per rendere il potere politico indipendente dal potere militare, attirando il malcontento di ampie fette dell’esercito e degli ex sostenitori di Nasser. Perciò fu costretto a lanciare una campagna di epurazioni. In politica estera Sadat si servì del supporto sovietico per ricostruire l'esercito in preparazione di una nuova guerra contro Israele, che avrebbe sovvertito gli esiti di quella del 1967. La "vittoria" egiziana contro Israele del 1973 contribuì a ristabilire la leadership di Sadat e a riportare l'esercito sotto il suo controllo.
L'anno dopo Sadat lanciò la politica dell’infitah (apertura), che allontanò il paese dal modello economico socialista voluto da Nasser e permise la nascita di una élite economica a lui favorevole. Sadat favorì un certo multipartitismo e per indebolire ulteriormente la sinistra e i ‘nasseristi’ si mostrò più accomodante verso i Fratelli Musulmani, permettendo loro di pubblicare scritti politici e di ritagliarsi uno spazio nella società civile.
Nel 1975 l'Egitto cambiò schieramento nella Guerra Fredda avvicinandosi agli Stati Uniti. Gli ufficiali egiziani iniziarono a essere addestrati dagli USA, i quali si posero anche come mediatori – sotto l’amministrazione Carter – di un accordo di pace fra l’Egitto e Israele. I militari non si opposero al riconoscimento dello stato di Israele: l’epoca Nasser era davvero finita. Ma dopo il trattato di pace del 1979 i militari, sempre più esclusi dalla vita politica del paese, iniziarono a manifestare i primi segni di malcontento; per sanare i problemi Sadat concesse loro licenza di aprire attività private. La legge 32 del 1979 sancì l’indipendenza economica e finanziaria dell’esercito. I militari quindi iniziarono a investire intensamente nel settore industriale e nei servizi, inclusi l'elettronica, le armi, i prodotti di consumo, l'agricoltura, le infrastrutture, l'aviazione, il turismo, la sicurezza. Come previsto da Sadat, le spese militari dello stato diminuirono drasticamente – l’esercito si avvaleva però dei sussidi concessi alle imprese private dei militari.
Negli anni ottanta i militari aprirono due importanti istituzioni commerciali: la National Services Projects Organization e la Egyptian Organization for Industrial Development, con l’obiettivo di stabilire nuovi accordi con imprese nazionali e straniere. Oltre all'arricchimento dell'esercito in quanto istituzione, questa politica offrì anche benefici personali agli ufficiali, sotto forma di commissioni o contratti di fornitura. Di conseguenza l'esercito tornò a voler avere voce in capitolo anche in campo politico, specialmente per la successione del Presidente.
Dal punto di vista dell'establishment militare, il nuovo assetto promosso di Sadat era migliore di quello sotto Nasser: i militari non avevano sulle spalle l'onere di governare – non rischiavano quindi di fare brutta figura di fronte all’opinione pubblica – e allo stesso tempo potevano continuare ad arricchirsi. L’esercito conservò la facoltà di intervenire in caso di evidente necessità, come durante le rivolte del pane del 1977, quando la polizia non fu in grado di arginare i disordini.
I cambiamenti introdotti da Sadat non indebolirono i militari: grazie alla presenza di numerosi ufficiali nello staff presidenziale, nel ministero della Difesa e nelle amministrazioni provinciali, nonché all’esistenza di un sistema giudiziario militare parallelo, l’esercito continuò ad avere voce nella politica del paese.
Sadat fu assassinato da un estremista islamico nel 1981 e il suo successore Hosni Mubarak , anch’egli proveniente dall’esercito, avviò nuove riforme. Liberò i prigionieri politici e concesse loro maggiore libertà di stampa. Negli anni ottanta in Egitto si tennero elezioni parlamentari multipartitiche, in accordo con la legge 40 promulgata dal governo Sadat nel 1977 – che permetteva l'esistenza dei partiti politici.
Il regime di Mubarak dovette ben presto confrontarsi con una varietà di islamisti fra cui due minacciosi movimenti radicali: Tandheem al-Jihad e Gamaal al-Islamiyah. Per riuscire a tenerli a bada il regime si accordò con i Fratelli Musulmani, più moderati, garantendo loro maggiore spazio di manovra, purché non agissero come soggetto politico; questo però non gli impedì di espandersi nella società civile attraverso associazioni accademiche e professionali, e tramite le ONG operanti nei servizi sociali.
Nelle elezioni del 1984 la coalizione del Wafd sostenuta dai Fratelli Musulmani ottenne 58 seggi su 454, nel 1987 la coalizione di opposizione, che includeva laburisti e i liberali, conquistò ben 60 seggi (30 il partito sostenuto dai Fratelli Musulmani, 27 i laburisti e 3 i liberali). L'ascesa delle opposizioni indusse il regime a ridisegnare nel 1990 i collegi elettorali a favore del Partito Nazionale Democratico (PND) – il partito del presidente Mubarak.
Mubarak seguì con molta attenzione il caso dell’Algeria, dove nel 1992 il Fronte Islamico di Salvezza conquistò la maggioranza dei due terzi in parlamento. L’esercito intervenne per annullare le elezioni, e scoppiò una guerra civile che durò oltre dieci anni. In Egitto i Fratelli Musulmani erano addirittura meglio organizzati del FIS in Algeria. Che fare?Mubarak cercò di elaborare un sistema politico semi-democratico che restasse saldamente sotto il controllo del partito di governo, e tentò anche di privatizzare le aziende statali, ma fu costretto a rallentare sulle riforme per la ferma opposizione dell’establishment militare.
Alla fine degli anni novanta Gamal, figlio di Mubarak e dirigente della ONG Future Foundation – composta per lo più da uomini d’affari che premevano per una maggiore liberalizzazione – e i suoi alleati entrarono nella segreteria del PND dopo una rapida carriera e ben presto si scontrarono con le vecchie leve sostenute dall’establishment militare.
Le elezioni parlamentari del 2000 furono un momento decisivo nella storia del PND: Gamal desiderava candidati giovani, capaci di rivitalizzare il partito e migliorare la sua immagine pubblica, e si scontrò apertamente con i membri della vecchia guardia. Fu raggiunto infine un compromesso che assegnava il 42 per cento delle candidature alle nuove leve. A quella tornata elettorale l'opposizione conquistò solo 38 seggi: 17 per i Fratelli Musulmani e gli altri 21 divisi tra i vari partiti riconosciuti.
Gamal voleva riformare il partito per garantire la selezione su base meritocratica, e introdusse il meccanismo delle ‘primarie’ alle elezioni amministrative per aumentare la propria influenza sul partito e scalzare gli avversari – tant’è che al congresso del 2002 Gamal fu nominato capo del neonato Segretariato Politico.
Le riforme di Gamal aprirono le porte della politica a una nuova generazione di imprenditori, che venivano considerati dall’esercito come una minaccia ai propri interessi economici e politici.
L'11 settembre, la guerra in Iraq del 2003 e la pressione dell'amministrazione Bush per una svolta democratica nella regione complicarono le cose per il regime, costringendo Mubarak a concentrarsi sulle questioni interne e ad affrontare un'opposizione sempre più forte. Di tutti i gruppi di opposizione, i Fratelli Musulmani erano decisamente il più forte, tant’è che alle elezioni del 2005 guadagnarono ben 88 seggi. Anche l'opposizione laica aveva iniziato a organizzarsi attraverso il movimento Kifayah.
Nel frattempo la salute di Mubarak era andata peggiorando, e la vecchia guardia, che non avrebbe mai accettato Gamal come successore, iniziò a pensare a una valida alternativa. I conflitti interni sulla successione si intensificarono negli ultimi anni, fino alla recente rivolta. I militari hanno sfruttato i disordini per gestire la transizione al dopo Mubarak.
Il potere è provvisoriamente nelle mani di un’autorità composta da 18 generali e controllata dalla Corte Suprema. I militari hanno interesse a mantenere lo status quo, e sperano che il PND rimanga al potere: cosa molto difficile, perché non gode più dell’appoggio popolare.
L'Egitto è sostanzialmente tornato alla situazione del 1952. Ora come allora nel paese ci sono soltanto due forze organizzate: la Fratellanza Musulmana e l’esercito. E il governo è nelle mani di un'autorità militare provvisoria.
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