La storia russa
si ripete?

25/07/2013

Il 9 novembre 2009 George Friedman, direttore di Strategic Forecast, pubblica un’analisi delle cause che hanno portato al crollo del comunismo in Russia, ed esplora quei tratti che ciclicamente ricompaiono sulla scena russa causando instabilità all’intero sistema.

 

Il Cremlino oggi, proprio come vent’anni fa, deve mantenere un certo equilibrio fra potere economico e militare, ma la crisi dello scorso autunno ha duramente colpito l’economia russa inficiando ulteriormente il già delicato meccanismo statale. Putin, che proprio in questi giorni si trova  a dover affrontare una crisi domestica, vorrebbe dare nuovo impulso all’economia senza mettere in discussione gli interessi strategici russi, ma è un compito decisamente arduo. Qui di seguito riassumiamo i passi salienti dell’analisi di Friedman.

L’impero russo

L’impero russo, sia sotto gli Zar che all’epoca dei Soviet, è sempre stato un’entità multinazionale enorme - al momento della sua massima espansione includeva il cuore dell’Europa centrale - le cui parti però sono sempre state diverse e ostili fra loro, e quindi poco propense all’integrazione.

Tuttavia due fattori garantivano l’unità dell’impero.

·         l’arretratezza economica: i vari stati che lo componevano non potevano reggere la competizione con i paesi occidentali, e cercavano quindi rifugio nell’impero - che offriva loro protezione dall’esterno;

·         l’apparato di sicurezza: in un paese privo di una rete di comunicazione e di trasporto efficiente, l’impero (sia in epoca zarista che successivamente) imponeva le proprie decisioni con il terrore.

Il primo impulso al cambiamento provenne proprio da Yuri Andropov (in carica dal 1982 al 1984), ex capo del KGB, che capì che il sistema economico dell’URSS non soltanto non riusciva a reggere il confronto con l’Occidente, ma era ridotto in condizioni tali da non riuscire più a soddisfare i requisiti minimi per tenere uniti i vari membri dell’impero. Secondo Andropov nemmeno l’imposizione del terrore in stile staliniano sarebbe servito a risolvere i problemi del paese - l’apparato di sicurezza non avrebbe potuto fare molto per arginare l’inevitabile declino.

Nonostante la debolezza economica, l’Unione Sovietica era militarmente forte proprio grazie al suo apparato di sicurezza, capace di controllare la popolazione e di indirizzarne l’attività  verso un obiettivo preciso –  è per questa ragione che la Russia ha vinto la Seconda Guerra Mondiale ed ha retto così a lungo la Guerra Fredda.

Il fallimento di Andropov e Gorbaciov

Andropov propose un programma che prevedeva da una parte la ristrutturazione forzata dell’economia sovietica per incrementarne l’efficienza e dall’altra una maggiore apertura – non soltanto a livello domestico ma anche a livello internazionale – per favorire l’innovazione e attrarre investimenti dall’estero. Ma per spingere l’Occidente a correre in aiuto della disastrata economia sovietica, era necessario prima smorzare le tensioni della Guerra Fredda rinunciando almeno parzialmente agli interessi geopolitici della Russia – proprio come aveva fatto Lenin durante la Prima Guerra Mondiale, quando aveva ceduto territorio alla Germania per permettere al regime di consolidarsi.

Andropov non voleva smantellare il partito, al contrario voleva preservarne il potere modernizzando l’economia dell’Unione Sovietica. Quando Michael Gorbaciov prese il potere nel 1985, riprese ed attuò i principi di Andropov introducendo la glasnost (trasparenza) e la perestrojka (ristrutturazione). Ma Gorbaciov non era un liberale, anche lui voleva che il Partito Comunista rimanesse al potere ed è per questa ragione che decise di aprire il sistema – per impedire l’inevitabile crollo dovuto alle condizioni economiche ormai devastanti.

Ma appena la stretta dell’apparato di sicurezza fu allentatail sistema – a cominciare dai paesi dell’Europa centrorientale - si sgretolò sotto gli occhi di Gorbaciov che – fortunatamente - decise di non intervenire con le armi.

I primi anni ’90 furono un periodo disastroso per la Russia: l’economia crollò, le proprietà statali vennero letteralmente prese d’assalto e la povertà crebbe a dismisura. A seguito del crollo dell’URSS infatti il KGB, l’unico apparato russo che ancora funzionava, si spartì il potere e le ricchezze del paese insieme agli ex funzionari del PCUS riciclatisi come uomini d’affari.

In questo periodo gli Stati Uniti avrebbero potuto infierire un colpo mortale alla Russia, ma Bush e Clinton preferirono non farlo per due ragioni fondamentali:

1) temevano che destabilizzando ulteriormente la Federazione Russa  le armi atomiche sarebbero potute finire nella mani sbagliate;

2) ritenevano che la Russia si sarebbe trasformata in una democrazia liberale, e quindi in uno stato amico.

La rinascita

Il cuore dell’impero russo era l’apparato di sicurezza. Non è quindi un caso che sia stato Vladimir Putin, ex membro del KGB cresciuto nell’era di Andropov (capo dei servizi segreti dal 1967 al 1982), a ricostruire l’apparato statale strappando il potere agli oligarchi che avevano infiltrato ogni area dell’economia russa. Putin sapeva che non era possibile ritornare all’Unione Sovietica, ma credeva comunque che i principi che avevano garantito la sua potenza in passato fossero ancora validi:

1) era necessario ricreare e rinforzare l’unione delle regioni facendo leva sulla debolezza economica delle singole entità e sulla condivisione delle risorse energetiche come collante;

 

2) bisognava dare nuova linfa ai servizi segreti che, grazie alla loro esperienza, avrebbero potuto stabilizzare la regione e porre le basi per la rinascita del settore bellico;

3) era necessario riprendersi quegli spazi geopolitici vitali cui aveva rinunciato Gorbaciov in passato per attrarre gli investimenti esteri – peraltro Putin, come la maggior parte della popolazione russa, riteneva che la presenza degli occidentali in Russia fosse più dannosa che vantaggiosa.

La guerra contro la Georgia – alleata degli Stati Uniti e dell’Occidente – nell’agosto del 2008 ha testimoniato in modo evidente il ritorno di Mosca sulla scena politica internazionale. Ma con lo scoppio della crisi, l’economia russa è nuovamente precipitata nel baratro e ancora una volta – proprio come nei primi anni ’80 - la disparità fra le aspirazioni politico-militari e la struttura economica è nuovamente emersa. La Russia si trova infatti in una posizione delicata: se rinuncia ai propri interessi geopolitici perde inevitabilmente la sicurezza nazionale, ma per tenere salda la presa sulla periferia le occorre una forza militare capace di controllare il territorio - il che richiede molte risorse economiche.

La leadership russa non intende tornare alla situazione dell’epoca Breznev (leader dell’URSS dal 1964 al 1982) quando il divario fra potere militare ed economico era così accentuato da causare una stagnazione economica irrecuperabile. Ma allo stesso tempo non intende rinunciare ai propri interessi strategici e mettere così in discussione la sicurezza nazionale.

Putin dovrà cercare di gestire questo delicato equilibrio per non perdere il potere, specialmente ora che all’interno della leadership hanno iniziato a manifestarsi i primi scontenti per lo stato dell’economia russa. Non esiste una soluzione chiara per ora, ed è per questo che la Russia continua ad essere un attore piuttosto imprevedibile sullo scenario internazionale.

A cura di Davide Meinero

 

 

 

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