Il presidente Biden ha recentemente affermato che gli Stati Uniti difenderebbero Taiwan nel caso in cui la Cina lo invadesse. Ancora più interessante è che il Giappone, un paese che non intraprende azioni militari dal 1945, abbia fatto la stessa affermazione. Questo non cambia molto militarmente, ma cambia radicalmente l’ambiente politico e ha forti implicazioni economiche.
Stati Uniti e Giappone sono entrambi grandi partner e clienti per l’economia cinese. L’avvertimento militare è implicitamente accoppiato a quello economico. L’avvertimento è rafforzato dalla contemporanea iniziativa americana per l’Indo-Pacific Economic Framework (quadro economico indo-pacifico), che includerà Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud, India, Singapore, Malesia, Indonesia, Vietnam, Filippine, Thailandia e Brunei. Non è chiaro che cosa farà questo gruppo, né quando lo farà. Però è chiaro è che numerosi paesi asiatici sono disposti a partecipare a un raggruppamento economico sponsorizzato dagli Stati Uniti, con il Giappone come primo membro.
Questa non è cosa da poco. La Cina è in difficoltà economiche e perciò anche il presidente Xi Jinping è in difficoltà. Il miracolo economico cinese è dipeso dalle esportazioni per generare capitale interno, ma ora il mercato per le esportazioni cinesi si sta riducendo e anche il sistema finanziario cinese presenta crepe pericolose. L’India vorrebbe sostituire la Cina come principale esportatore mondiale e anche Malesia, Indonesia, Vietnam, Filippine e Thailandia vorrebbero prendere un pezzo di quel mercato. Se l’Indo-Pacific Economic Framework offre loro un accesso agevolato ai mercati americano e giapponese, la Cina diventerà meno competitiva.
L’eccesso di dipendenza dalle importazioni cinesi ha danneggiato alcuni gruppi sociali negli Stati Uniti. L’ex presidente Donald Trump ha introdotto tariffe sulle importazioni, segnalando un cambiamento di politica economica e inducendo la Cina a elaborare politiche per gestire il proprio sviluppo economico in un quadro di contrazione dell’export. Però si è sviluppata in Cina una crisi di fiducia che ha minato il sistema finanziario cinese, basato da decenni sul settore immobiliare, che a sua volta sta aprendo una crisi politica strisciante, cui Xi reagisce aumentando il livello di repressione interna.
Ora ci sono due pistole puntate contro la Cina: una è militare, l’altra economica. Spesso i regimi autoritari ricorrono a guerre esterne per superare gravi cisi economiche e politiche interne. La minaccia militare espressa da Stati Uniti e Giappone in questi giorni è probabilmente formulata proprio per far desistere il governo cinese dall’eventuale ricorso a una guerra contro Taiwan per rovesciare la crisi economica e dare avvio a una nuova fase di sviluppo della potenza cinese.
Questo accade mentre infuria la guerra russo-ucraina. La Russia ha deciso di invadere l’Ucraina con il presupposto che l’Ucraina sarebbe crollata. Non è stato così, grazie alla profusione di armi inviate all’Ucraina e alle sanzioni imposte alla Russia. Mesi fa il governo cinese aveva formato una sorta di alleanza informale con la Russia. Non è mai stato chiaro in che modo quell’alleanza avrebbe giovato alle due nazioni, ma dopo l’insuccesso della Russia in Ucraina la Cina non può più permettersi di aiutare la Russia politicamente e la Russia non può permettersi di aiutare la Cina militarmente.
Anche in Europa gli equilibri stanno cambiando. La perdita di potenza della Russia quasi certamente produrrà come contraccolpo l’emergere della Polonia come potenza leader in Europa e indurrà la Turchia a tentare di raggiungere una nuova egemonia nel Mediterraneo, sul Mar Nero e nei Balcani. I prossimi anni saranno interessanti, ma anche molto pericolosi per noi mediterranei.
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