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La potenza turca è modesta, ma la sua posizione geografica e la spregiudicata abile politica dell’attuale classe dirigente ne fanno un paese con cui dobbiamo sempre più fare i conti. Il suo peso geopolitico è molto superiore alla forza dei suoi numeri.
Il PIL turco è di poco superiore a 800 miliardi di dollari, circa un terzo di quello italiano. Ma ha 85 milioni di abitanti e dopo la caduta dell’impero sovietico rappresenta anche le istanze culturali e politiche di parte delle popolazioni dell’Asia Centrale, presso le quali gode ancora del prestigio di aver sconfitto i Bizantini ed esser stata la sede del Califfato per 500 anni, oltre a essere ancora un bastione della NATO. Nel Caucaso e in Asia Centrale i Turchi hanno saputo aiutare alcune popolazioni a contenere e respingere l’egemonia sia dei Russi sia degli Iraniani. Hanno contrastato e limitato l’egemonia militare sia della Russia sia dell’Iran in Siria e in Iraq, hanno contenuto l’esodo dei profughi verso l’Europa, acquisendo credito e benemerenze nell’Unione Europea. I servizi di intelligence di USA, Gran Bretagna e Francia hanno scelto in anni recenti i loro nuovi capi fra gli esperti di Turchia, grandi conoscitori della lingua e della cultura turca.
Noi Italiani abbiamo lasciato spazio all’iniziativa turca in Libia per mancanza di visione strategica. Da due anni l’America dell’amministrazione Trump chiede all’Italia di impegnarsi militarmente in Libia a sostegno del governo ufficiale per porre fine all’anarchia, sostiene Francesco Sisci, anche a costo di precipitare i tempi della suddivisione della Libia in due stati divisi lungo l’asse est/ovest, che pare ormai inevitabile. Abbiamo prima esitato, poi puntato i piedi, così al posto nostro l’hanno fatto i Turchi, che ora chiedono in cambio un ruolo di grande peso nel Mediterraneo orientale, oltre che in Libia. Potremmo anche andar fieri della nostra scelta di neutralità assoluta se non ci costerà troppo cara, ma purtroppo ci costerà. Abbiamo perso la fiducia della parte di Libia che guarda al governo di Tripoli, non abbiamo guadagnato la fiducia di quella parte della Libia che guarda al governo di Haftar, né dei suoi grandi sostenitori all’estero (Egitto, Russia, Inghilterra). Ma la Libia è alle porte di casa, è area di interesse primario per noi. Chi ci aiuterà a frenare l’immigrazione clandestina dalla Libia, se non sapremo far valere le nostre ragioni presso nessuna parte della classe dirigente libica?
La Turchia è in grado di giocare un ruolo molto importante in Asia Centrale anche nei rapporti con la Cina e con la Russia.
Gli Uiguri dello Xinjiang sono di etnia turca, sono soltanto 8 milioni (lo 0,5 % della popolazione cinese) ma vivono sparsi in un territorio che copre quasi un quarto dell’intero stato cinese. Vorrebbero l’indipendenza, vedono la Turchia come la culla della loro cultura e dei loro antenati, sono molto attivi politicamente. La Cina sopprime la loro ribellione chiudendo circa un milione di persone in ‘campi di rieducazione’, secondo la provata ricetta maoista. Gli Uiguri hanno capi anche all’estero, che però capiscono bene la situazione interna e il partito comunista. Uno dei loro capi è Wuerkaxi, uno dei giovani leader del movimento di Tiananmen nel 1989. Un altro è Nury Turkel, avvocato poliglotta che attualmente vive negli USA. Entrambi sono figli di capi del partito comunista, appartengono a famiglie che fanno parte della leadership da 50 anni, conoscono dall’interno il funzionamento del Partito e hanno molto seguito fra la popolazione locale. Un sostegno politico e culturale turco alla ribellione uigura darebbe molto filo da torcere alla Cina.
Il Turkmenistan è abitato in maggioranza da Turchi, è anzi la terra d’origine di tutte le popolazioni turche. Molti sono i turcomanni anche negli altri paesi dell’Asia Centrale, anche se non ne costituiscono la maggioranza. Si veda qui a fianco la diffusione delle lingue e delle etnie di ceppo turco in Asia. La recente trasformazione di Hagia Sofia in moschea è la ripetizione del gesto compiuto da Mehmet II quando conquistò Costantinopoli, segnando la fine dell’ultima Roma. È un gesto di grande valore simbolico per tutte le popolazioni di origine turcomanna, cui lancia un messaggio politico potente: il nostro potere è tornato, siamo tornati a essere più forti dell’Europa. È un potere simbolico, per ora, ma può galvanizzare le popolazioni dell’Asia Centrale e gli Uiguri. Come userà la Turchia questo potere? Probabilmente lo userà per influenzare i popoli di etnia turca a favore dell’Europa, soprattutto della Germania, non della Cina né dell’Iran, ma in cambio chiederà molto, vorrà un ruolo di primo piano nello sfruttamento delle risorse del Mediterraneo, a scapito nostro e dei Greci. Così come chiederà molto alla Cina per non offrire altro che simpatia verbale alle rivendicazioni degli Uiguri.
La Turchia oggi spera – anzi pianifica − di tornare a svolgere un ruolo egemonico di sfruttamento delle ‘nuove vie della seta’ che dalla Cina attraversano l’Asia Centrale, la Russia e il Medio Oriente, dominando anche il Mediterraneo orientale. È lo stesso ruolo che ebbe il Califfato per secoli, prima dell’avanzata di Russi e Inglesi sulle rive del Mar Caspio, del Mar Nero e del Mediterraneo orientale. Grecia, Russia e Italia sono i paesi che più hanno da perdere se la strategia turca ha davvero successo.
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