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Sia in Europa sia in America la questione dell’accoglienza o del rifiuto dei migranti è da qualche anno al centro della discussione pubblica. La discussione si svolge per lo più sul piano dei valori umani e della legalità e mette in luce come l’universalità dei diritti umani si scontri con la limitatezza territoriale e ideologica delle leggi. L’umanità è una, ma gli stati sono tanti e non hanno né le stesse leggi, né le stesse possibilità economiche, né la stessa cultura, né la stessa struttura sociale. Ogni stato fa per sé, ma ormai molti milioni di persone si spostano ogni giorno a proprio rischio e pericolo, trasferendosi da una giurisdizione all’altra, con alle spalle soltanto la teorica protezione del paese d’origine, quello di cui sono cittadini. Se lo stato di cui si è cittadini è uno stato fallito, uno stato canaglia, o in preda alla guerra civile, si rimane senza protezione. È sempre stato così, ma il fatto che oggi sia possibile per quasi tutti i giovani spostarsi in piccoli gruppi da una parte all’altra del globo alla ricerca di una vita migliore rende pressante il problema.
Centinaia di milioni di giovani che vivono in poverissimi villaggi o nelle bidonville delle megalopoli del mondo vedono sul loro cellulare come si vive in Occidente e si mettono in viaggio per raggiungere le città d’Europa o degli Stati Uniti. Non sognano di andare in Cina o in Russia, né di colonizzare altipiani o foreste. Non ci sono organizzazioni che li portino clandestinamente in Sudafrica o in Argentina, ma soltanto in Europa e in USA. Perché?
È certamente un implicito omaggio al sistema di vita occidentale, che mette a disposizione dei residenti un welfare generoso, oltre che il rispetto dei diritti umani fondamentali (alla vita, alla proprietà, alla libertà di pensiero). Welfare e diritti: ecco quello che caratterizza l’Occidente e ne fa il luogo ideale in cui vivere ancor oggi, nonostante la nostra relativa decadenza demografica ed economica. Ma è proprio la consapevolezza della nostra decadenza demografica ed economica a farci chiudere le porte per cercar di proteggere il più a lungo possibile il nostro welfare e i nostri diritti. Siamo andati all’attacco nel mondo per oltre 500 anni, ora puntiamo sulla difesa. Abbiamo alternative, o non possiamo far altro che giocare in difesa? Questo è l’argomento di base, da cui possiamo far derivare le scelte politiche.
La demografia sembra condannarci senza appello. È incredibile quanto negli ultimi 200 anni gli Europei abbiano stravolto il loro concetto di ‘valore’. La crisi dell’Occidente sembra essere conseguente a questo stravolgimento.
Nella tradizione ebraico-cristiana Il valore fondamentale da cui deriva ogni altro valore e da cui trae legittimità ogni legge è la vita. La vita può essere analizzata e regolata sotto vari aspetti, e a ogni diverso aspetto corrisponde una classe di specifici valori: economici, culturali, religiosi, sociali, morali, nazionali… Tutti però indissolubilmente collegati fra di loro dal presupposto che la vita ne è l’unico motore e l’unico scopo. Questo era ovvio ed evidente nelle civiltà contadine: più figli significa più bocche da sfamare, ma anche più braccia per lavorare e produrre beni, più teste per trovare migliori soluzioni, più sostegno reciproco in caso di bisogno. Più inventiva, più genio, più coraggio, più energia.
Ma con la rivoluzione industriale la produttività del sistema, alimentato da energia fossile, ebbe un’impennata mai vista prima al mondo (grafico a lato) che fece dimenticare il rapporto fra la vita e i valori economici. La produzione di ricchezza parve dipendere soltanto dal possesso di materie prime, energia e mezzi di produzione, dimenticando che sono sempre soltanto le persone a inventare prodotti e servizi e ad attribuire loro utilità e valore. Questa assurda visione dell’economia sviluppata in seguito alla rivoluzione industriale portò il comunismo a soffocare il mercato e l’innovazione in larga parte del mondo. Il comunismo partiva dal presupposto che i padroni delle materie prime e degli strumenti di produzione avrebbero usato la loro posizione di privilegio per ridurre in schiavitù le masse di non possidenti, dimenticando che i prodotti dell’industria di massa avrebbero avuto valore soltanto se le masse avessero potuto comprarli. Il valore non è intrinseco al prodotto o al servizio, ma è attribuito dal mercato, cioè dalle persone viventi che vogliono quel prodotto o quel servizio. Il mercato è il luogo in cui si incontrano le vite, scambiandosi idee, servizi, prodotti, conoscenza, lavoro. Più vite si incontrano liberamente, più è ricco il mercato, sia come offerta che come domanda.
Anche la teoria maltusiana, altro tipo di visione miope dell’economia e della vita, si sviluppò in parallelo alla rivoluzione industriale. I maltusiani pensano che la povertà dipende dall’eccesso di popolazione rispetto alle risorse del globo, perché vedono le risorse come date, limitate e fisse, non come frutto della creatività e del lavoro umano in tutte le sue forme. Da 200 anni i maltusiani e i loro discendenti ideologici prevedono la catastrofe economica ed ecologica, l’esaurimento delle risorse. Da 200 anni invece le risorse si moltiplicano, si moltiplica la produttività, si utilizzano nuove fonti di energia, si sviluppano nuove tecnologie, si adottano nuove tecniche di coltivazione – sempre grazie alla creatività umana. Fra poco ci saranno 8 miliardi di persone al mondo, ma già oggi siamo in grado di produrre cibo sufficiente per 12 miliardi di persone, senza allargare lo spazio dedicato alle coltivazioni, soltanto utilizzando le tecniche più avanzate. E sappiamo che la disponibilità di energia è illimitata, ma dobbiamo riuscire a trovare metodi molto più efficienti per catturare e immagazzinare l’energia solare o atomica.
Oggi l’Occidente è in crisi, sia demografica sia economica. Lo è da circa 40 anni, ma ne vediamo gli effetti soltanto da 10. Demografia ed economia sul breve periodo possono avere andamenti divergenti, ma non sul medio e sul lungo periodo. Più vite = più ricchezza economica e culturale è una delle equazioni che descrivono la storia umana. Senza contare l’effetto della demografia sulla capacità di difesa del territorio e delle sue risorse.
Guardando le mappe demografiche accanto, vediamo che l’Europa aveva circa il 17,5% della popolazione globale nel 1483, il 19% nel 1648, il 22 % nel 1815. Gli altri grandi conglomerati di popolazioni erano geograficamente lontani, difficilmente avrebbero potuto raggiungere e invadere l’Europa senza essere intercettati e bloccati lungo la via dalla superiore tecnologia europea. Il peso demografico dell’Europa rispetto al resto del mondo crebbe per tre secoli, crebbe anche il suo peso tecnologico, culturale ed economico rispetto alle popolazioni vicine.
Nel corso del XX secolo l’Europa combatté due guerre interne devastanti, che divennero guerre globali, ma la sua civiltà e la sua economia furono salvate dal sostegno americano. Oggi l’Europa ha soltanto il 10% della popolazione del globo, ma produce ancora il 22% della ricchezza del globo. L’Africa, che nel 1815 aveva soltanto il 6,5% della popolazione globale, oggi ne ha il 17%. L’Asia il 60%. I trasporti e le telecomunicazioni hanno reso il globo molto piccolo, ogni luogo è facilmente raggiungibile. È quel 22 % di ricchezza prodotta a fronte del 10% della popolazione che ci permette di godere del welfare, oltre che dei diritti. Perciò dalle parti povere del mondo i giovani più determinati e meno fortunati accorrono per entrare anche loro a far parte di questo 10% di privilegiati. Il fenomeno non si fermerà finché la nostra popolazione, o la nostra quota di ricchezza, non saranno in equilibrio con quelle di altri paesi del mondo. O perdiamo quasi metà della nostra ricchezza, o aumentiamo la popolazione per potenziare sia la nostra creatività sia la nostra difesa. La scelta sta a noi Europei, la necessità di elaborare ed attuare una politica che contempli anche la regolamentazione dell’immigrazione è di noi Europei.
Peccato che, come sempre succede quando le difficoltà interne aumentano e le prospettive future non sono di crescita ma di contrazione della ricchezza, nelle società umane prevalga la spinta dei singoli o dei piccoli gruppi a sfidare gli altri per difendere le proprie posizioni. Ce lo dimostra la storia, ce lo fa capire la conoscenza dell’animo umano. Un attacco esterno tende a compattare qualunque società nella difesa comune; la prospettiva di crescita tende a rendere tutti più generosi e più disponibili ad allargare i confini della solidarietà e dell’inclusione; l’impoverimento dall’interno sviluppa la rissa interna, che può diventare guerra anche fra fratelli. È quello che vediamo avvenire.
La decrescita in termini relativi è dell’Europa intera, ma anziché affrontarla in modo unitario la società europea, che fino al 2007 tendeva ad allargarsi e integrarsi sempre più, si racchiude in confini nazionali. Quelli che crescono ancora in termini assoluti (cioè facendo il confronto con se stessi nel passato, non con il resto del mondo) non tollerano di dover solidarietà verso quelli che invece stanno perdendo anche in termini assoluti (gli Italiani, i Greci). Anche all’interno di uno stesso stato le regioni che possono continuare la crescita (la Catalogna, la Padania) vorrebbero staccarsi dalle regioni che hanno peggiori prospettive. Stiamo affrontando un problema comune a tutta Europa con risse intra-europee. È chiaro che non serve, ma è altrettanto chiaro che questo è il modo in cui agiscono le società umane, gli stati.
Il fenomeno della decrescita relativa tocca anche l’America, soprattutto gli Stati Uniti. Stati Uniti e Canada oggi hanno il 5% della popolazione globale e producono il 26,5% della ricchezza, ma il sorpasso economico da parte della Cina è vicinissimo. La rapidissima crescita dell’Asia non permette più agli USA di essere i garanti dell’ordine mondiale e dello sviluppo del commercio mondiale. Gli USA ne hanno preso nota e hanno cambiato rapidamente la loro politica per tentar di adeguarsi alla nuova realtà globale e difendere le proprie posizioni. Possono farlo massicciamente e in modo unitario perché sono… uniti, non singoli stati nazionali che hanno fatto finta di unirsi, come in Europa. Noi parliamo di Europa, abbiamo problemi che non possiamo affrontare con efficacia se non a livello continentale, ma abbiamo creato una Unione Europea che è una ridicola finzione, priva di un governo legittimo e senza poteri effettivi. Nel prossimo futuro si compirà il nostro destino per l’intero secolo: o facciamo davvero l’Europa Unita e sviluppiamo politiche comuni che ci portino a una crescita comune, o ci sfaldiamo e decadiamo molto velocemente, a partire dalle regioni che già sono più povere e più fragili, cioè da noi Italiani e Greci.
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