In un libro del 2012 intitolato ‘Coming Apart: The State of White America, 1960-2010’, il sociologo Charles Murray aveva rilevato la crescente divisione sociale e culturale fra ricchi e poveri in un’America che per decenni aveva visto l’espansione apparentemente inarrestabile della classe media. Murray aveva parlato di ‘secession of the successful’, secessione di chi ha successo. L’espressione sta avendo molto successo ora nei media e presso gli accademici.
Il 5% della popolazione che ha maggior successo non è affatto composta in maggioranza da addetti a lavori nuovi, innovativi e tecnologicamente avanzati, ma da manager di aziende consolidate, avvocati e consulenti ed esperti di finanza. Si tratta di persone che hanno avuto successo grazie all’intelligenza e alla cultura cosmopolita. Questa élite è in contatto costante con le élite di altri paesi del mondo, che hanno a loro volta frequentato con successo altre scuole e università di altissimo livello, se non le stesse. Le élite americane lavorano quotidianamente con quelle del resto del globo, ma hanno rari contatti con persone appartenenti a gruppi socio-culturali ed economici diversi che si trovano nella stessa regione: mandano i figli a scuole ed università costose ed elitarie, vivono in quartieri dove abitano soltanto persone che appartengono allo stesso gruppo e che sono inaccessibili ai ‘comuni mortali’ non soltanto per il loro costo, ma anche per lo stile di vita che vi si conduce, che esige gusti raffinati, alta cultura, tranquillità silenziosa, abitudine a viaggi frequenti dall’una all’altra parte del globo.
È una élite sempre più distaccata dalla vita degli altri, che non capisce i bisogni e le ansie del resto della popolazione. Murray scrive: ‘Non è un problema se i camionisti non sono sensibili ai bisogni dei professori di Yale, ma è un problema se i professori di Yale, o i produttori di programmi televisivi, o i manager di grandi aziende non sono sensibili ai bisogni dei camionisti.’
Secondo Murray è crollato il ‘capitale sociale’, cioè il senso di appartenenza a una comunità, e il processo è iniziato dagli anni ’80. Secondo i suoi calcoli, ecco i dati che indicano come in una città media degli USA la ‘classe media’, abbandonata dalle élite e impoverita dalla perdita di posti di lavori fissi e ben retribuiti in attività industriali delocalizzate all’estero, sta perdendo il senso della comunità:
- ha diminuito del 22% la partecipazione a incontri per discutere di affari locali e di scuola;
- ha diminuito del 42% la partecipazione ad associazioni con uno scopo comune;
- ha diminuito del 39% la partecipazione a incarichi volontari nelle amministrazioni locali;
- ha persino diminuito del 73% la partecipazione ad associazioni sportive di vicinato, come la Bowling League!
- ha diminuito del 22% la partecipazione alle elezioni politiche, mentre la partecipazione è aumentata nelle élite.
Ma nell’ultima elezione presidenziale la partecipazione delle persone che si considerano appartenenti alla classe media, pur essendo grandemente decaduta, ha subito un’impennata: la popolazione di cui i sondaggisti sottovalutavano la percentuale di votanti, perché decresceva da decenni, è tornata a votare, e ha votato contro le élite, sollecitata dalla personalità di Trump.
George Lakoff, professore di Linguistica e Scienze cognitive a Berkeley, è autore di una serie di saggi fra cui ‘Moral Politics: How Liberals and Conservatives Think and Don't Think of an Elephant’ (Politica morale: come liberali e conservatori pensano o non pensano a un elefante). Secondo Lakoff la mente umana agisce prevalentemente in modo inconscio, la coscienza è soltanto la punta dell’iceberg sottostante. Il modello che guida la nostra percezione e valutazione degli eventi e della società nell’iceberg dell’inconscio è la nostra percezione profonda della famiglia: i progressisti vogliono e cercano prevalentemente una madre accudente, i conservatori vogliono e cercano prevalentemente un padre rigoroso e forte. I politici vincono le elezioni se sanno riconoscere e far appello ai desideri prevalenti a livello inconscio nella maggioranza dei votanti. Alle ultime elezioni presidenziali la classe media impoverita e depressa è uscita a votare in massa per un padre rigoroso (Trump), che promette di punire i colpevoli del decadimento della classe media, vista come l’America stessa. Le élite liberali, lontane dalla realtà dei loro concittadini-non-di-successo, hanno usato parole, immagini ed emozioni sbagliate, che hanno scatenato l’ira anziché placarla.
Il vero tema sottostante le elezioni americane del 2016, dice l’analista Jacob Shapiro, è stato lo scontro fra chi vuole un governo che difenda e distribuisca equamente le risorse della nazione, come un buon capo-famiglia, e chi crede che bisogna lasciar fare al mercato e alla competizione globale, sicuro di essere fra i vincenti. Oggi i primi tendono a vedere i secondi non come persone particolarmente capaci ma come lupi predatori, mentre le élite che credono nella competizione e nel mercato globale non vedono la classe media impoverita come invocante protezione e giustizia, ma come una massa di pericolosi razzisti. È l’effetto del lungo scollamento fra masse ed élite. Ed è un problema che si ripropone in quasi tutti i paesi dell’Occidente, dove le elezioni tendono ad affossare le élite e portare al potere indignati sostenitori dei diritti della nazione, intesa come vasta classe media, trascurata da élite accusate di essere predatrici e noncuranti della giustizia. Al di là del livello cosciente, anche in questi casi il voto è frutto di emozioni sollecitate con immagini, metafore e slogan che toccano l’inconscio delle persone in cui è forte l’angoscia di non farcela a rimanere nella classe media, mentre i politici paiono non curarsi della loro condizione, ma sembrano più in sintonia con i bisogni dei migranti o delle banche.
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