La Borsa Valori è il mercato dei titoli finanziari. Il nome ‘borsa’ deriva dal nome della famiglia di banchieri ‘Della Borsa’, trasferitasi dall’Italia a Bruges, nella cui casa si tenevano nel XV secolo riunioni di mercanti per determinare il valore delle merci. Le prime borse valori si svilupparono a partire dal XVI secolo nei Paesi Bassi e in Francia, e presto si diffusero anche nel resto del continente, in America e poi nel resto del mondo.
Oggi circa il 35% dei titoli finanziari globali è trattato sul mercato borsistico americano. A notevole distanza vengono poi la borsa cinese e quella giapponese. La prima borsa europea è quella di Londra, con volumi molto più modesti di quella americana. Per operare direttamente in borsa occorre essere accreditati.
In borsa si comprano o vendono i titoli, proprio come si compra la frutta al mercato: con la differenza che il prezzo della frutta è stabilito da chi vende, in borsa invece compratori e venditori partecipano a un’asta, in cui il prezzo dei titoli cambia in continuazione.
I “titoli” sono documenti che certificano il possesso di un bene, di una parte di un bene, o di un credito nei confronti di qualcuno. Non si tratta del possesso di un bene fisico, ma del suo controvalore monetario. Se compro un’azione della Coca Cola non significa che possiedo una sedia in un ufficio, o una confezione di bottigliette in un magazzino, ma una minuscola parte dell’intero valore dell’azienda.
I titoli trattati in borsa sono di varia natura: obbligazioni (bonds in inglese), azioni (equity, shares o stocks in inglese), quote di fondi o altri derivati. Questa è un’obbligazione del governo australiano, emessa nel 1966, scaduta nel 1987. È un titolo che attesta che il governo australiano aveva l’obbligo di dare al portatore 20 dollari il 15 novembre 1987 e fino a quella data gli doveva pagare il 5 e ¼ l’anno di interesse. L’interesse di $1,05 veniva pagato a chi portava la cedola all’incasso. Perché il governo australiano aveva quest’obbligo? Il governo australiano voleva un prestito, perciò aveva emesso e firmato di propria iniziativa tante di queste obbligazioni e le aveva messe in vendita in borsa. A che prezzo? Molti diranno: “A 20 dollari l’una” No! 20 dollari è il valore nominale, il valore che viene pagato alla scadenza, non è il prezzo. Il prezzo lo fa il mercato, cioè la borsa.
Ipotizziamo che al momento della vendita le banche pagassero il 4,40% di interesse sui depositi, e che il governo australiano godesse di fiducia. I risparmiatori invece di mettere i soldi in banca saranno corsi a richiedere queste obbligazioni, come ci si precipita a prenotare la prima dell’opera. Ma, a differenza dei prezzi dei biglietti per il teatro, in borsa se la richiesta aumenta − aumenta anche il prezzo. Il prezzo di questa obbligazione potrebbe essere salita subito a 22 dollari, se la richiesta era molta. Sarebbe stato un prezzo ancora conveniente, perché la cedola di 1,05 dollari corrisponde al 4,77% di 22 dollari, più dell’interesse pagato dalle banche. E il governo australiano potrebbe aver incassato il 10% in più del valore nominale. Ma ipotizziamo che sei mesi più tardi la banca centrale australiana abbia alzato il tasso di interesse. Saranno aumentati anche gli interessi pagati sui depositi in banca, probabilmente al 5%. I risparmiatori che avevano comperato le obbligazioni a 22 euro avranno cercato di venderle e mettere il denaro in banca, perché avrebbe reso di più. In poche ore le richieste di vendita saranno state tante che il prezzo dell’obbligazione sarà sceso rapidamente, fermandosi a 21 dollari, cioè al prezzo per cui la cedola di 1,05 dollari corrisponde al 5% di interesse pagato dalle banche. La perdita di valore da 22 a 21 dollari la sostennero i risparmiatori, non il governo australiano. Il governo australiano nel 1987 restituì 20 dollari per obbligazione, e fino ad allora continuò a pagare 1.05 dollari ogni anno. I risparmiatori che al momento dell’acquisto avevano scommesso di poter guadagnare di più comperando obbligazioni di stato, piuttosto che tenere i risparmi in banca, persero invece 1 dollaro per ogni obbligazione. Perché? Perché poco dopo i tassi di interesse generali aumentarono, il tasso sulle obbligazioni invece no.
Il valore delle obbligazioni dipende da tanti fattori, tanti punti interrogativi: la fiducia che si ha nell‘emittente, ma anche la rendita dell’obbligazione, in rapporto a quella di altri investimenti che sembrano sicuri, come i depositi bancari. E la rendita sui depositi dipende a sua volta dal tasso di interesse minimo, fissato dalla Banca Centrale, che può variare nel tempo. In borsa ogni giorno tutti questi interrogativi si assommano e si compongono. Ogni singolo operatore scommette di giorno in giorno, o di ora in ora, o di momento in momento, se conviene comperare a un certo prezzo, oppure vendere a un certo prezzo, e in base al prevalere degli acquisti o delle vendite il prezzo sale o scende, sotto gli occhi di chi osserva i tabelloni su cui compaiono i prezzi degli ultimi scambi, pronto a inserirsi e fare un’offerta.
Però il valore dei titoli dipende prima di tutto dalla FIDUCIA che i risparmiatori hanno nei confronti di chi emette il titolo, di chi lo scrive e lo firma. Se ad esempio lo stato italiano accumula troppi debiti e continua a spendere troppo, aumenta il RISCHIO che non possa rimborsare le obbligazioni alla scadenza. Allora chi ha i titoli di stato cerca di venderli. Qualcun altro è pronto a rischiare una parte dei propri risparmi per acquistarli, ma soltanto se li paga molto meno del valore nominale. I prezzi scendono, anche molto.
Se per esempio lo stato emettesse nuovi titoli da 1000 euro cadauno, con scadenza dopo 10 anni e cedola del 5%, cioè di 50 Euro l’anno, ma per la poca fiducia non riuscisse a venderli a più di 500 euro, significa che per incassare subito 500 euro dovrebbe pagare 50 euro per 10 anni, poi rimborsare 1000 Euro! Lo stato dovrebbe sborsare 1500 euro in 10 anni per averne subito 500 – e potrebbe ripagare i debiti soltanto a patto di stampare moneta, stamparne tanta, ogni anno, anche a rischio di causare una grande inflazione, o di sequestrare i risparmi dei cittadini per pagare i debiti di stato. Oppure lo stato potrebbe fallire.
È successo nel 2002 all’Argentina, con gravi conseguenze per la popolazione che ha perso buona parte dei propri risparmi. Anche la Grecia, che aveva accumulato un debito enorme, ha dovuto “ristrutturarlo” nel 2012, ripagando meno del 50% del valore nominale delle obbligazioni! I cittadini e le banche che avevano comprato debito pubblico si sono quindi impoveriti molto, l’instabilità è cresciuta… Per pagare pensioni e stipendi la Grecia ha dovuto chiedere un prestito all’UE e all’FMI, e si è impegnata ad aumentare le tasse e a tagliare di molto la spesa pubblica generando grandi tensioni fra i Greci.
In Borsa si trattano soprattutto azioni, titoli che rappresentano quote del valore di una attività economica, di una azienda. Il mercato delle azioni si chiama ‘stock market’ in inglese. Le aziende mettono all’asta le proprie azioni sul mercato quando vogliono raccogliere capitale da investire nei loro progetti. Ogni azione rappresenta una parte del valore dell’intera azienda e della sua attività, che è rispecchiata nel bilancio dell’azienda. Se l’azienda ha emesso un milione di azioni, ogni azione rappresenta un milionesimo del valore complessivo dell’azienda.
Questa ad esempio è un’azione della Coca Cola, che il 21 febbraio 2014 valeva 37,19 dollari. Rappresenta però soltanto una quota del capitale iniziale della società, pari a dollari 0, 50. Tutto il resto del valore è giustificato in parte dal guadagno già accumulato dalla Coca Cola e già calcolato a bilancio, in parte dal guadagno futuro, che si spera la società accumulerà negli anni – ma è soltanto una speranza. Se i risparmiatori pensano che la Coca Cola sia un’azienda fortissima, che aumenterà le vendite nei prossimi anni e guadagnerà sempre di più, le azioni della Coca Cola continueranno ad aumentare di valore. Ma se per qualche motivo prevalesse la convinzione che i guadagni futuri della Coca Cola potrebbero diminuire, il prezzo delle azioni in borsa potrebbero abbassarsi rapidamente, e valere di meno. Anche se nulla cambia davvero nella vita aziendale della Coca Cola, in poche settimane le aspettative, le speranze future, possono variare in base alla pubblicazione di qualche opinione negativa, o all’enfasi data a una notizia negativa anche di poca importanza. Altrettanto inaspettata può essere la crescita di delle azioni, se si diffonde la convinzione o la speranza che la Coca Cola stia per concludere un grosso affare, o stia per acquisire un nuovo mercato. Il valore delle azioni è largamente una questione di opinione.
Ma c’è un sistema per valutare il prezzo ragionevolmente ‘giusto’ delle azioni della Coca Cola, o di qualunque altra azienda? Per calcolarlo bisogna analizzare i bilanci anno per anno, sapere se si prevedono cambiamenti di politica o di persone che prendono le decisioni.. Il normale risparmiatore queste cose non le sa e non le fa, ma si fida di consulenti specializzati che fanno questo lavoro, raccolgono informazioni, le analizzano, ne ricavano proiezioni per il futuro. Il risparmiatore si fida della pubblicità, dei consulenti, di quanto scrivono i giornali. E può decidere di comperare azioni della Coca Cola perché spera che aumentino di valore, e che le potrà rivendere a un prezzo molto più alto. Non lo sa − lo spera… E se i risparmiatori sono tanti, e hanno tanti soldi, le richieste di acquisto delle azioni aumenta e perciò il prezzo dell’azione aumenta, anche se nulla è cambiato nel bilancio e nell’attività della Coca Cola.
Quando le banche centrali aumentano la quantità di denaro, stimolano non soltanto l’acquisto di beni e di servizi, ma anche l’accumulo di guadagni e di risparmi. Questo eccesso di denaro gonfia i prezzi, cioè provoca inflazione, non solo dei beni e dei servizi, ma anche dei titoli finanziari.
A volte processi di inflazione pari o superiori al 15% annuo sono proseguiti apparentemente senza intoppi per molti anni, anche nella storia recente. Nessuno pareva accorgersi che l’insieme dei prezzi e dei valori cresceva troppo rapidamente, come un pallone gonfiato d’aria… Ma quando alcuni investitori incominciarono a pensare che i valori erano eccessivi rispetto ai patrimoni effettivamente accumulati dalle aziende, decisero di vendere le proprie azioni subito, prima che se ne accorgessero anche gli altri … Gli altri se ne accorsero perché i prezzi scesero a seguito delle vendite, furono presi dalla paura che i prezzi scendessero ancora, perciò corsero a vendere anche loro, facendo crollare i prezzi in pochissimi giorni, come si vede in questo grafico in corrispondenza dell’anno 2009. La bolla scoppiò. La borsa crollò: in pochi giorni i risparmiatori persero gran parte dei loro risparmi. Così il mercato finì col riequilibrarsi, raggiungendo prezzi più aderenti ai valori reali.
Ogni calo generalizzato in Borsa distrugge l’eccesso di denaro che aveva gonfiato troppo i prezzi. Ma la perdita improvvisa di tanti risparmi mette in crisi le famiglie, che riducono i consumi. Mette in crisi le banche, che riducono i prestiti alle famiglie e alle imprese. In casi estremi le banche possono persino fallire, scatenando il panico. Mette in crisi le aziende, che trovano difficile sia avere prestiti sia vendere i loro prodotti. Le aziende non vendono più, iniziano a licenziare il personale, falliscono. La crisi si diffonde presto a tutti i settori, l’economia entra in crisi … È successo nel 1929. Le conseguenze furono drammatiche: disoccupazione, povertà, paura presto si diffusero in America e nel resto del mondo… È successo nel 2008-2009. Si scatenò il panico per il fallimento della banca Lehman Brothers e, dopo anni di crescita eccessiva dei valori, le borse crollarono in tutto il mondo, scatenando una crisi mondiale di cui non vediamo ancora la fine…
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