La geopolitica dell'Europa
parte IV - l'Europa che verrà

19/06/2015

Nell’autunno 2014 George Friedman ha scritto che, mentre America e Asia oggi fanno politica, l’Europa è chiamata a fare la storia. Che significa? 

Negli ultimi 70 anni la geopolitica d’Europa e del globo è cambiata radicalmente due volte, non è più quella dei millenni passati. Il primo cambiamento geopolitico radicale avvenne alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con l’inizio della Guerra Fredda fra paesi comunisti e paesi a libero mercato, e durò 45 anni. In questo periodo gli scambi globali si moltiplicarono, non soltanto sui mari, ma nei cieli e tramite le telecomunicazioni. Le distanze si restringevano e civiltà che erano sempre rimaste reciprocamente lontane entravano in contatto fra loro. Ma l’Europa rimase tagliata in due parti non comunicanti, l’una contro l’altra armate, separate da quella che venne chiamata una “cortina di ferro”, cioè un confine fatto di cancellate, filo spinato, campi minati. In questa separazione i paesi marinari d’Europa, sia mediterranei sia atlantici, si ritrovarono dalla stessa parte, insieme a metà della popolazione tedesca, mentre l’altra metà dei Tedeschi si ritrovò nel blocco comunista insieme a tutti gli altri popoli della grande pianura europea, dominata dalla Russia sovietica. Si riprodusse la divisione fra l’Europa marinara e la grande pianura dell’est, che era esistita prima dell’epoca moderna, al tempo dei Romani, con integrazione fra nord e sud d’Europa, ma esclusione dei popoli a est del Danubio e dell’Elba.

Il confine invalicabile fra i due blocchi passava attraverso il territorio tedesco e il muro di Berlino ne era il simbolo. La parte più occidentale della grande pianura europea, che era stata per secoli il cuore dell’Impero Carolingio prima, del Sacro Romano Impero poi, rimase con l’Europa marinara aperta al libero mercato e divenne la sede delle istituzioni della Comunità Economica Europea.

Alla caduta del blocco comunista per esaurimento interno, alla fine degli anni ’80, la grande pianura europea si ritrovò di nuovo interamente aperta, ma i paesi che erano rimasti per decenni dietro alla cortina di ferro erano in profonda crisi economica e sociale. I paesi a civiltà occidentale decisero di integrare anche i paesi dell’ex blocco comunista nel proprio sistema economico, nella certezza che il libero mercato avrebbe arrecato benefici a tutti. In Europa venne decisa non soltanto l’integrazione economica fra i due gruppi di paesi, ma anche la possibilità di integrazione politica, con l’istituzione dell’Unione Europea.

Noi Europei ora dobbiamo capire e utilizzare al meglio le possibilità e i limiti posti da una situazione geopolitica che ha due aspetti problematici: uno nuovissimo, uno antico. L’aspetto nuovissimo è dato dalla sostanziale restrizione della geografia globale. I trasporti aerei e le comunicazioni digitali hanno reso di scarsa importanza le distanze ai fini degli scambi e della competizione economica e culturale. Gli aggiustamenti a tale nuova situazione sono difficili per tutte le culture e tutte le economie, ma portano sicuramente vantaggi a tutti. L’aspetto antico della situazione europea è la necessità di integrare in modo stabile e presumibilmente definitivo le economie e le culture dell’Europa marinara, mediterranea e atlantica, con quelle dei popoli della grande pianura europea, dal nord della Francia alla Russia.

Per la loro posizione geografica a cavallo delle due Europe la Germania e la Francia sono ancora al centro di questo processo, ora come all’epoca dell’Impero Carolingio, del Sacro Romano Impero, dell’Impero Napoleonico, delle due Guerre Mondiali. Questa volta l’impresa riuscirà?

Come se non bastassero queste sfide, l’Europa si trova ad affrontare in contemporanea anche la difficile transizione da una politica pubblica basata sul debito e su alti tassi di inflazione a una politica che mira all’equilibrio di bilancio e alla stabilità dei prezzi, e rende gravosissimo il percorso ad alcuni paesi europei, che partono da situazioni di svantaggio. La politica della stabilità è necessaria per affrontare con successo la competizione globale, cioè l’aspetto nuovo della geopolitica globale, ma dover adottare una sola politica sia per paesi altamente indebitati e territorialmente più poveri, sia per paesi ricchi che si estendono su ricche pianure, rende molto più difficile affrontare l’altra difficoltà, quella antica, cioè l’integrazione fra i popoli marinari e i popoli di pianura.

I popoli della grande pianura europea badano a produrre di più, in modo sempre più organizzato, con tecniche sempre più raffinate, con servizi logistici sempre migliori. Questa per loro è sempre stata la via alla ricchezza e anche alla sicurezza, perché gran parte della produzione e dei servizi logistici dovevano essere destinati alla difesa del territorio, che richiedeva grandi eserciti e grandi mezzi per contrastare - o per effettuare – invasioni. Questa è sempre stata la storia dei Tedeschi e dei Russi, in parte anche dei Francesi, che però dedicarono grandi risorse anche alla flotta e all’egemonia sui mari. I popoli marinari che hanno poche risorse di terra tendono a puntare sulla novità e sull’attrattiva dei prodotti, sulla flessibilità del servizio, sull’adattamento alle altrui esigenze e sulla difesa con flotte che possono essere usate nello stesso tempo per il commercio e per la difesa o l’ attacco.

Per armonizzare e unificare le economie e le mentalità di popoli che, pur avendo principi comuni e basi religiose comuni, hanno tradizioni culturali ed economiche diverse, occorre che Inglesi e Polacchi, Tedeschi e Greci, Italiani e Svedesi, per non parlare dei Russi, si sentano legati inesorabilmente da un destino comune, per ragioni geografiche antiche e nuove.

Nella storia è sempre successo che persone di varie nazionalità abbiano scelto di costruire un nuovo destino, una nuova comunità emigrando in terre nuove, poco abitate. Nelle Americhe e in Australia cittadini di ogni nazione del mondo sono divenuti in pochi anni Americani o Canadesi, Brasiliani o Australiani per scelta consapevole, dopo un trasferimento fisico. Anche in Sudafrica popolazioni diversissime, trasferitesi sullo stesso territorio, stanno costruendo faticosamente la consapevolezza di un destino comune. Ma qui in Europa si tratta di costruire un destino comune per popolazioni che non si spostano dal proprio territorio e che la geografia ha condotto per secoli alla diversità culturale ed economica, pur nella condivisione dei valori di base, faticosamente raggiunta attraverso millenni di interazione.

È necessario farlo perché il globo si è ristretto, la geografia è cambiata sotto i nostri piedi, senza che noi ci spostassimo, e oggi molti popoli europei sarebbero incapaci di affrontare la competizione globale in proprio, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista della sicurezza. Ma è una situazione nuova nella storia d’Europa e nella storia del mondo, che tocca a noi capire e affrontare. Per questo è vero che, mentre altri popoli fanno politica, noi Europei oggi siamo chiamati a fare la storia. Saremo all’altezza del compito?

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