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Il libro di James Hawes (accademico inglese) si legge come un agile e affascinante romanzo di avventura, corredato di schemi concettuali, citazioni testuali e mappe storiche chiarissime. Ha un obiettivo dichiarato: dare una chiara visione di come la geografia e la storia abbiano forgiato in modo diverso due parti della Germania che dal 1866 in poi sono state fuse in una unica nazione con la forza.
Anche l’Italia divenne stato nazione soltanto nel 1861, ma gli Italiani ebbero sempre in comune il capo religioso (il Papa di Roma), la cultura latina che fu sempre base della formazione delle classi dirigenti della penisola, e la necessità di difendersi contro i tentativi di invasione e conquista via mare da parte dei Mori o Saraceni. Gli Italiani sono cioè una nazione, nonostante le differenze regionali.
Invece secondo Hawes la Prussia (Germania est) e la Germania vera e propria (quella occidentale) hanno differenze così profonde che la loro unione in un unico stato è da considerarsi posticcia e pericolosa prima di tutto per i Tedeschi stessi, poi per l’Europa intera. È una tesi che probabilmente farà infuriare buona parte dei Tedeschi, ma su cui era pienamente d’accordo anche un grande statista come Konrad Adenauer, primo cancelliere della Germania occidentale nel dopoguerra, che avrebbe voluto lasciare in via definitiva Berlino alla Germania est e avere in cambio la Turingia e la Sassonia a ovest del fiume Elba.
Il confine fra la Germania storica e la Prussia è infatti definito dall’Elba e dal Danubio. Le regioni a ovest dell’Elba e a sud del Danubio furono assimilate nella cultura romana e cristiana, cioè europea, fin dal secondo secolo, mentre a est dell’Elba e a nord del Danubio le popolazioni rimasero più pagane che cristiane fino a pochi decenni prima di Lutero, poi con Lutero si staccarono dal cattolicesimo, senza mai diventare pienamente europei, sostiene Hawes. Ecco le sue conclusioni nelle ultime pagine:
‘Non ha senso studiare il passato, se non per gettare luce sul presente. Mentre l’Occidente è alle prese con una serie ininterrotta di crisi, la storia della Germania porta con sé un chiaro messaggio. La breve parentesi prussiano-nazista – dal 1866 al 1945 – deve essere considerata per quello che è stata: una terribile aberrazione.
Dal 100 d.C. la Germania sud-occidentale appartiene all’Europa dell’Ovest. Fu solo nel 1525 che una nuova Germania, essenzialmente non occidentale, comparve sulla scena: la Prussia. Nel frattempo, i tedeschi dell’Ovest erano così poco guerrafondai – o per natura adoratori dello stato – da non essere nemmeno capaci di unirsi. Le loro terre divennero sempre più campi di battaglia e potenziali colonie per i loro potenti vicini (….). Nel 1866 la Germania sud-occidentale fu sconfitta in battaglia, e poco dopo assorbita, da questa Prussia ingrandita e rafforzata, un paese che, in base a gran parte degli standard delle nazioni europee – storia, geografia, istituzioni politiche, religione – era completamente estraneo. Fu questo il grande cambiamento. Da quel momento, tutta la ricchezza, l’industria e la forza lavoro della Germania del Sud e dell’Ovest furono incanalate al servizio dell’ambizione prussiana, che mirava soprattutto all’egemonia sulla Polonia, le terre baltiche e l’Europa centro-settentrionale, per mezzo di un’alleanza con la Russia se possibile, o dopo una resa dei conti con la Russia se necessario. Questa lotta millenaria ebbe fine nel 1945 con la sanguinosa soppressione della Prussia, fino all’estinzione del suo stesso nome. La Germania occidentale era finalmente libera. Nel 1949 divenne una vera entità politica’.
Perché l’autore scrive che la Prussia emerse nel 1525? Il 10 aprile 1525 i Cavalieri teutonici, che stavano schiacciando nel sangue la rivolta dei contadini in Prussia e Sassonia, dichiararono di non dover più obbedienza al Papa e diventarono seguaci di Lutero, il quale aveva appena pubblicato un invito a massacrare i ribelli dal titolo ‘Contro le empie e scellerate bande di contadini’. ‘È la data più importante della storia tedesca tra l’800 e il 1866’, scrive Hawes . ‘In quella strana colonia oltre il fiume Elba, oltre perfino la Polonia, dove meno di un secolo prima dimoravano ancora autentici pagani, c’era, per la prima volta dai tempi della vittoria di Carlo Magno sui sassoni, un regno tedesco che rifiutava qualsiasi tipo di fedeltà alla chiesa o all’imperatore di Roma. La Prussia e la Riforma politica erano nate nello stesso momento, come sfida diretta al grande continuum dell’Occidente.’
Hawes sostiene che la politica economica dei governi tedeschi nei periodi di unificazione è sempre stata, ed ancora è, una grande sottrazione della ricchezza della Germania ‘europea’ a favore dell’Ostelbien, cioè della regione dell’est, l’ex Prussia, che la usa per dominare le terre dell’est europeo e fomentare sentimenti politici violenti. L’Ostelbien è a maggioranza protestante, il resto della Germania è a maggioranza cattolica. Le due popolazioni hanno orientamenti politici abitualmente diversi, ma è sempre l’orientamento dell’Ostelbien a prevalere con la sua maggiore aggressività. Furono i voti dell’Ostelbien protestante a portare al potere Hitler nel 1932, il resto della Germania non l’avrebbe mai fatto, dice Hawes, così come è l’Ostelbien a votare oggi per lo AfD, che mette di nuovo in pericolo la democrazia tedesca.
Hawes invita i tedeschi a non lasciarsi nuovamente condizionare dall’anima prussiana, agendo contro i veri interessi della Germania e dell’Europa. Perché, si chiede Hawes, ‘invece di offrirsi di garantire una qualche forma di Eurobond comunitari, la Germania insiste sulla disciplina finanziaria dei suoi vicini di vitale importanza (i suoi mercati di esportazione e i suoi amici naturali), mentre continua a pompare migliaia di miliardi – migliaia di miliardi – di euro in quell’Ostelbien che tante volte si può considerare la sua nemesi’. E conclude: ‘È la Prussia che parla dalla tomba’.
Questo è un libro che può e deve far discutere molto, ma che occorre leggere per sapere di che cosa parliamo quando diciamo ‘Germania’.
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