La decisione di Trump di visitare l'Arabia Saudita come prima tappa del suo primo importante viaggio internazionale indica che gli USA assegnano a Riad un ruolo strategico di grande rilievo. Nonostante la sua potenza finanziaria, l'Arabia Saudita non è uno dei principali attori regionali. È molto meno influente di Turchia, Israele e Iran. Sin dallo storico incontro del 1945 tra il presidente Roosevelt e il re saudita Abdulaziz bin Abdul Rahman, gli Stati Uniti sono stati i garanti della sicurezza del Regno (proprio come lo sono stati per la sicurezza dell’Europa Occidentale).
Le circostanze che hanno plasmato il partenariato tra Stati Uniti e Arabia Saudita sono gradualmente cambiate, a partire dall'implosione dell'Unione Sovietica nel 1991, passando per gli attacchi dell'11 settembre, le guerre successive, la Primavera araba del 2011, l'ascesa della Turchia come potenza regionale, fino al punto di massima influenza dell'Iran. Questi sviluppi hanno rimodellato l'approccio di Washington al Medio Oriente, in linea con una strategia generale volta a minimizzare l'esposizione americana ai rischi globali. È ora urgente una nuova architettura di sicurezza, che sollevi Washington dal peso che porta da quasi un secolo.
Qualsiasi struttura di alleanze deve tenere conto delle trasformazioni in corso nella regione. Negli ultimi due anni la posizione regionale dell'Iran si è indebolita, sia per le conseguenze dell’attacco a Israele del 7 ottobre 2023, sia perché la Repubblica Islamica è sull'orlo di una transizione di leadership senza precedenti. Nel frattempo la Turchia ha eclissato l'Iran come attore dominante in Siria – e la Siria è diventata il centro di gravità geopolitico della regione.
Per gli USA è troppo rischioso lasciare che Turchia e Israele decidano il destino della Siria, col rischio che si affrontino direttamente fra di loro. È qui che il ruolo rafforzato dell'Arabia Saudita diventa cruciale. In quanto principale potenza araba e grande esportatore mondiale di petrolio (insieme a Stati Uniti e Russia), l'Arabia Saudita esercita una significativa leva finanziaria e per motivi sia storici sia geopolitici non vuole il predominio turco in Siria. La Turchia sostiene da tempo il gruppo islamista sunnita ora al potere in Siria, Hayat Tahrir al-Sham, sul quale l’Arabia saudita non può permettersi di perdere ogni influenza.
Trump ha pubblicamente attribuito a Erdogan il merito di aver plasmato la nuova Siria, ma poi ha deciso di incontrare al-Sharaa – ex leader jihadista – a Riad, segnalando che Washington cerca di riequilibrare il potere tra Turchia, Arabia Saudita e Israele, per impedire uno scontro tra Israele e Turchia in Siria. La Turchia ha una considerevole presenza militare in Siria ed è fortemente coinvolta nell'istituzione del regime post-Assad. Dal punto di vista di Israele, avere un regime islamista sunnita sostenuto dalla Turchia al suo confine settentrionale è altrettanto problematico quanto avere un regime sostenuto dall'Iran. Israele ha già creato una zona cuscinetto nella Siria meridionale e sono in corso colloqui con la Turchia. Nonostante 15 anni di crisi nelle relazioni bilaterali, Turchia e Israele continuano a mantenere relazioni diplomatiche.
Integrare l'Arabia Saudita negli Accordi di Abramo significa costruire il terzo pilastro del riequilibrio regionale. Ma l'Arabia Saudita non può procedere con gli Accordi finché la guerra a Gaza continua. Israele, da parte sua, non può porre fine alla guerra e lasciare Gaza nelle mani di Hamas. Washington comprende questa situazione di stallo. Trump ha dichiarato: "È mia fervente speranza, desiderio e persino sogno che l'Arabia Saudita... aderisca presto agli Accordi di Abramo. Ma lo farete a tempo debito". Trump sta spingendo la monarchia saudita ad assumere la leadership sulla questione palestinese, proprio come sta spingendo l'Europa a gestire la propria sicurezza nel bel mezzo della guerra tra Russia e Ucraina. La speranza è che l'impegno saudita con Israele alla fine risolverà la questione palestinese. Il messaggio degli Stati Uniti all'Arabia Saudita è chiaro: vi aiuteremo, ma non possiamo risolvere questo problema per voi. L'Iran ha potuto sfruttare il conflitto israelo-palestinese per decenni, perché l'Arabia Saudita non sapeva gestire la situazione e chiedeva agli USA di farlo. Ora questo deve cambiare.
Come reagirà Riyadh? Se i Sauditi vogliono impedire il predominio turco in Siria, non possono permettere che Ankara si appropri della causa palestinese per i propri fini strategici. L'Arabia Saudita non ha esperienza nel ricoprire un ruolo regionale assertivo senza il sostegno degli USA, e sviluppare tali capacità richiederà tempo. A complicare il quadro ci sono i negoziati in corso tra Stati Uniti e Iran.
In Medio Oriente l’incertezza sta acuendosi, per tutti i partner coinvolti.
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