I rapporti fra Arabia Saudita e Israele

20/08/2024

Nonostante l'eredità wahabita e l’aperta ostilità non solo verso i cristiani e gli ebrei ma anche verso altri gruppi islamici, negli anni ’30 Ibn Saud prese posizione sugli ebrei e sul sionismo in base agli interessi strategici del suo regno nella penisola arabica. La Palestina non significava molto per lui. Il suo interesse principale era evitare che l’equilibrio di potere si inclinasse a favore dei rivali hashemiti in Iraq e Giordania, perciò gli era necessario mantenere buoni rapporti con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.

Negli anni ’40 Ibn Saud lavorò all’interno della Lega Araba per respingere proposte che avrebbero danneggiato gli interessi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, evitò di fornire aiuti davvero significativi agli arabi palestinesi e si oppose alla guerra contro gli ebrei. Nel 1948, quando Israele dichiarò l’indipendenza e gli eserciti della Lega araba invasero la Palestina, Ibn Saud si accontentò di una partecipazione simbolica inviando un piccolo contingente sotto comando egiziano. I drammatici sviluppi regionali dopo la sconfitta degli eserciti arabi lo indussero a evitare ogni ingerenza nel conflitto arabo-israeliano.

Il successo della rivoluzione iraniana nel 1979 e l’intenso operato di Teheran per esportarla nella regione araba innescarono la guerra Iraq-Iran nel 1980. I sauditi iniziarono a vedere nell’Iran - non in Israele - la maggiore minaccia strategica alla loro sicurezza. Nel 1981 l’allora principe ereditario Fahd presentò una proposta di pace a un vertice arabo in Marocco. La proposta prevedeva la creazione di uno stato palestinese in Cisgiordania e Gaza, con Gerusalemme Est come capitale, in cambio di garanzie di pace tra tutti i paesi della regione, ma incontrò il totale rifiuto di Siria, Iraq, Algeria e Libia, che non volevano riconoscere neppure indirettamente, cioè avviando negoziati, il diritto di Israele ad esistere.

Vent’anni dopo al vertice di Beirut il principe ereditario saudita Abdullah presentò un’iniziativa che chiedeva il ritiro di Israele dalle alture del Golan e la creazione di uno Stato palestinese in cambio di una normalizzazione globale, ma la Siria si oppose.

Dal 2016 il principe ereditario Mohammad Bin Sultan al-Saud ha lanciato ‘Vision 2030’, ambizioso progetto per trasformare l’Arabia Saudita dal punto di vista economico, culturale e sociale, in collaborazione con tutti i paesi della regione. Ma per collaborare con Israele occorre fare i conti con l’opinione pubblica, dopo decenni di diffamazione degli ebrei e di condanna dell’esistenza di Israele. Il principe ereditario ha delegato il compito di ‘rieducare’ la popolazione ai media locali.

Un’indagine condotta dal Washington Institute for Near East Policy poche settimane dopo l’attacco del sette ottobre da parte di Hamas ha mostrato che la maggior parte degli intervistati vede Israele come uno stato debole e diviso e pensa che la guerra tra Israele e Hamas sarà una grande vittoria per arabi e musulmani. Quasi tutti gli intervistati concordano sulla necessità che i paesi arabi e islamici che riconoscono Israele interrompano immediatamente tutte le relazioni diplomatiche, politiche ed economiche. Soltanto il 16% degli intervistati ha affermato che Hamas dovrebbe smettere di invocare la distruzione di Israele e accettare una soluzione a due stati basata sui confini del 1967.

I media sauditi hanno condannato l’attacco dello scorso sette ottobre, dichiarando che il progetto di Hamas di creare uno stato palestinese dal Giordano al Mediterraneo è una pericolosa illusione. Alcuni giornali sauditi hanno paragonato l’attacco di Hamas del 7 ottobre agli attacchi dell’11 settembre. I media mostrano grande solidarietà con i civili di Gaza e criticano la durezza della reazione israeliana, ma attribuiscono le massime colpe ad Hamas. Durante i primi sei mesi di guerra l’Arabia Saudita ha inviato 151 spedizioni di petrolio a Israele, senza tentar di nasconderlo.

Su al Arabiya appaiono di frequente funzionari e analisti israeliani, indicatore implicito della graduale introduzione di Israele all’opinione pubblica saudita. La maggior parte dei sauditi non sa nulla di Israele oltre a ciò che ha imparato dalla propaganda dei decenni trascorsi dalla sua fondazione. Il defunto re Feysal descriveva sionisti e comunisti come autori di una comune malvagia cospirazione cosmica. I programmi educativi sauditi hanno sempre ignorato l’esistenza di Israele e cancellato il suo nome dalla mappa geografica. Ma negli ultimi tempi ex funzionari sauditi e influencer filogovernativi sui social media criticano pubblicamente i palestinesi per aver sprecato le opportunità di risolvere il conflitto, condividendo post che affermano che “la Palestina non è un mio problema”. Un eminente giornalista ha deriso le guerre insensate causate da Hamas dopo il ritiro di Israele da Gaza nel 2005 e anche tutte le guerre arabo-israeliane fin dal 1948, dichiarando che accademici e intellettuali arabi hanno fallito la prova della ragione.

I sauditi sono pienamente consapevoli che Israele non accetterà in tempi brevi uno Stato palestinese, dopo il fallimento dei precedenti processi di pace, perciò separano la pace dal percorso di creazione di uno stato palestinese. Il rilancio dei negoziati di pace con Israele interessa ai Sauditi per poter arrivare a firmare un accordo di difesa con gli Stati Uniti e stabilire un partenariato economico che permetta di realizzare gli obiettivi di sviluppo economico e tecnologico della Vision 2030 nei tempi più brevi possibili. La mancanza di fiducia nella leadership palestinese, descritta come corrotta e indecisa, colpevole di aver sempre lasciato fallire ogni progetto realistico, giustificherebbe la firma da parte dell’Arabia Saudita di un accordo di pace con Israele, indipendentemente dalla questione palestinese.

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