Perché l’Iran odia lo stato ebraico di Israele

03/06/2024

Da un saggio di Joshua Hoffman per «Future of Jewish» del 31 marzo 2024

Come ama dire il mio amico e funzionario della sicurezza israeliana Avi Melamed: “La maggior parte delle persone pensa che per capire il Medio Oriente si debba capire il conflitto israelo-palestinese. Ma è esattamente l’opposto: per capire il conflitto israelo-palestinese bisogna capire il Medio Oriente.”

Storicamente l’Iran (conosciuto come Persia fino al 1935) ha avuto relativamente pochi conflitti diretti con il popolo ebraico o con la regione oggi conosciuta come Israele. In effetti, l’antica Persia sotto Ciro il Grande è nota per aver permesso agli ebrei di tornare in patria dalla cattività babilonese intorno al 538 a.C.

Nel 1947 l’Iran fu uno degli 11 membri che formarono il Comitato speciale delle Nazioni Unite per la Palestina (UNSCOP), incaricato di indagare le cause del conflitto nella Palestina mandataria e di cercarvi una soluzione. Il comitato presentò un piano di spartizione per la Palestina, che ebbe il sostegno di otto degli 11 membri dell’UNSCOP. L’Iran però, insieme all’India e alla Jugoslavia, si oppose al piano, prevedendo che avrebbe portato a un’escalation di violenza. Sostenendo che la pace poteva essere stabilita solo attraverso un unico stato federale, l’Iran votò contro il piano di spartizione quando fu approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ciò nonostante l’Iran sotto lo scià mantenne ottime relazioni diplomatiche ed economiche con Israele dopo la proclamazione dello Stato (1948) riconoscendo il suo valore strategico in una regione dominata da stati arabi.

L’Iran fu il secondo Paese a maggioranza musulmana a riconoscere Israele come stato sovrano, dopo la Turchia. Israele considerava l’Iran come un alleato naturale in quanto potenza non araba ai margini del mondo arabo, in accordo con il concetto di “alleanza delle periferie” del primo ministro di Israele, David Ben Gurion. Israele aveva una delegazione permanente a Teheran che fungeva da ambasciata de facto, prima dello scambio formale di ambasciatori alla fine degli anni Settanta.

Nel periodo successivo alla Guerra dei Sei Giorni l’Iran forniva a Israele una parte significativa del suo fabbisogno petrolifero e il petrolio iraniano veniva spedito ai mercati europei attraverso l’oleodotto congiunto israelo-iraniano Eilat-Ashkelon. Gli scambi commerciali erano intensi, imprese di costruzione e ingegneri israeliani lavoravano in Iran. La EL AL operava voli diretti tra Tel Aviv e Teheran, e si diceva che i legami e i progetti militari irano-israeliani, pur rimanendo segreti, fossero di ampio respiro (ad esempio il progetto militare congiunto degli anni 1977-79 per lo sviluppo di un nuovo missile).

La Rivoluzione islamica del 1979 segnò un cambiamento radicale nella politica estera dell’Iran. Il rovesciamento dello Scià e l’ascesa della Repubblica islamica dell’ayatollah Khomeini affermarono una posizione veementemente anti-Israele che ancora perdura.

 

Fattori ideologici e religiosi

Il fondamento ideologico e religioso dell’inimicizia dell’Iran nei confronti di Israele è profondamente radicato nei principi della Repubblica islamica. L’ayatollah Khomeini e i suoi successori hanno costantemente visto Israele come uno stato usurpatore e un’entità illegittima che occupa le terre musulmane, in particolare Gerusalemme, la cui importanza nell’Islam dal punto di vista religioso è stata gonfiata nel mondo arabo e musulmano nell’ultimo secolo, benché la moschea sul Monte del Tempio sia sempre stata una moschea come le altre.

La dottrina di Khomeini enfatizza la lotta contro la “arroganza globale”, incarnata principalmente dagli Stati Uniti e da Israele. Il regime dipinge Israele come una pedina dell’imperialismo occidentale, che mina l’unità e la sovranità del mondo musulmano. Questa narrazione è radicata nell’ethos rivoluzionario iraniano, che considera la liberazione di Gerusalemme e il sostegno alla causa palestinese come centrali per la sua missione. Khomeini, come altri politici prima di lui e altri anche oggi, ha inventato un nemico per raccogliere consensi alla causa della Repubblica islamica - che invece diventa sempre meno popolare tra la maggior parte degli iraniani stessi.

Anche le dinamiche sciite-sunnite giocano un ruolo importante. Poiché Israele è prevalentemente interessato ai suoi vicini arabi sunniti, l’Iran, a maggioranza sciita, usa la sua opposizione a Israele per raccogliere sostegno e legittimità tra i musulmani sunniti, ponendosi come campione dell’unità islamica contro un nemico comune.

Ambizioni geopolitiche e strategiche

Dal punto di vista geopolitico, l’Iran considera Israele un ostacolo significativo alle sue ambizioni in Medio Oriente. La strategia iraniana di egemonia regionale mira all’espansione della sua influenza attraverso una rete di alleanze e di milizie che operano per procura, chiamata “asse della resistenza”, che include Hezbollah in Libano, varie milizie in Iraq, il regime di Assad in Siria, gli Houthi in Yemen e Hamas e la Jihad islamica palestinese nei Territori palestinesi.

Israele, al contrario, percepisce l’Iran come la principale minaccia regionale per il sostegno che Teheran fornisce ai gruppi militanti anti-israeliani e per la sua forte presenza militare nei paesi vicini. La ricerca di capacità nucleari da parte dell’Iran ha ulteriormente esacerbato le tensioni. Israele teme che un Iran dotato di armi nucleari alteri gravemente l’equilibrio di potere nella regione, portando a un aumento dell’instabilità e dei conflitti.

L’ostilità dell’Iran nei confronti di Israele serve anche a raccogliere sostegno interno e a distogliere l’attenzione dalle questioni interne. Il regime usa la retorica anti-israeliana per unire le varie fazioni interne durante i periodi di difficoltà economica o di disordini politici.

 

Influenza delle potenze esterne

La rivalità tra Iran e Israele è influenzata anche dalle loro relazioni con le potenze globali, in primo luogo Stati Uniti, Russia e Cina. Gli Stati Uniti sono un fedele alleato di Israele fin dalla sua fondazione, nonché fornitori di aiuti militari ed economici. Questa alleanza ha consolidato la sicurezza e la superiorità regionale di Israele, con grande disappunto dell’Iran.

L’Iran ha cercato di controbilanciare l’influenza statunitense e israeliana stringendo legami con Russia e Cina, che forniscono all’Iran sostegno diplomatico, investimenti economici e tecnologia militare. Il coinvolgimento della Russia nella guerra civile siriana, ad esempio, ha rafforzato la posizione dell’Iran nella regione, consentendogli di mantenere un punto d’appoggio strategico vicino ai confini di Israele. Inoltre la politica statunitense di sanzioni e contenimento nei confronti dell’Iran per il suo programma nucleare ha intensificato l’astio iraniano anche nei confronti di Israele, visto come una concausa dell’ostilità americana.

 

Questioni economiche

Insieme al Qatar l’Iran possiede il giacimento di condensati di gas naturale South Pars/North Dome nel Golfo Persico, il più grande giacimento di gas naturale al mondo. Venne scoperto nel 1990 dalla National Iranian Oil Company, un produttore e distributore di petrolio e gas naturale di proprietà del governo, sotto la direzione del Ministero del Petrolio iraniano. La National Iranian Oil Company è la seconda compagnia petrolifera al mondo dopo l’Aramco, che è proprietà dell’Arabia Saudita.

Più di 10 anni fa i qatarini fecero pressioni sul presidente siriano Bashar al-Assad per costruire un nuovo gasdotto dal Qatar al Mediterraneo attraverso il territorio siriano e quindi all’Europa - ma Assad si mostrò riluttante, perciò i qatarini finanziarono i gruppi ribelli anti-Assad che scatenarono la guerra civile siriana. Alcuni ritengono che la Russia abbia esercitato pressioni su Assad affinché rifiutasse l’oleodotto.

L’Iran, che possiede l’altra quota del giacimento di gas del Golfo Persico, presentò un piano rivale per un gasdotto da 10 miliardi di dollari attraverso l’Iraq e la Siria, per poi proseguire verso l’Europa sotto il Mar Mediterraneo. Questo piano aveva la benedizione della Russia, che mirava a costruire un’asse con l’Iran per aprirsi stabili collegamenti verso l’Oceano Indiano. Assad approvò il piano degli iraniani nel 2012.

Anche altre potenze sono interessate a costruire un gasdotto dal Medio Oriente all’Europa. Nell’ambito del processo di normalizzazione saudita-israeliana che era in corso prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre si è parlato della costruzione di condutture energetiche dall’India e dall’Arabia Saudita attraverso Israele, fino all’Europa - il cosiddetto Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa.

Pertanto la decisione di Hamas di invadere, massacrare e rapire il 7 ottobre potrebbe essere parte di un grande piano per interrompere la normalizzazione saudita-israeliana e quindi il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa. Il Qatar, l’Iran e la Russia - tutti “amici” di Hamas - non vogliono vedere i sauditi arricchirsi e acquisire maggiore potere geopolitico, soprattutto se ciò significa non poter partecipare ai profitti. L’Iran è uno dei principali sponsor di Hamas e della Jihad islamica palestinese anche perché possono impedire a Israele di aiutare i concorrenti economici dell’Iran nella regione.

 

La questione palestinese

Sostenendo la causa palestinese, l’Iran mira a ottenere una più ampia leadership all’interno del mondo musulmano, trascendendo le divisioni settarie. Il rifiuto di Israele permette all’Iran di minare gli stati arabi che hanno normalizzato le relazioni con lo stato ebraico, dipingendoli come traditori della lotta palestinese e islamica. È interessante notare che ad aprile 2024 il partito Fatah del presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas (che gestisce l’Autorità palestinese) ha ufficialmente respinto il coinvolgimento iraniano negli affari interni palestinesi affermando che: “Questa interferenza esterna, in particolare da parte dell’Iran, non ha altro obiettivo che seminare il caos nell’arena interna palestinese [...] Non permetteremo che la nostra sacra causa e il sangue del nostro popolo vengano sfruttati per trame sospette che non hanno nulla a che fare con loro”.

Alcuni hanno ipotizzato che il regime iraniano stia cercando di rovesciare il governo di Fatah in Cisgiordania e di sostituirlo con Hamas, che è al potere dal 2007 nella Striscia di Gaza, avendone violentemente scacciato Fatah. Hamas e Fatah sono nemici, però condividono un nemico comune “più grande, anche se inventato: Israele. Dice Mosab Hassan Yousef, figlio di uno dei fondatori di Hamas: “Non ci sono ‘palestinesi’. Ci sono tribù - la tribù di Hamas, la tribù della Jihad islamica, la tribù di Khalil, la tribù di Nablus - e ognuna ha interessi diversi. E tutte sono in conflitto. Se non avessero Israele come nemico comune, si ucciderebbero a vicenda. Questa è la realtà della cosiddetta ‘Palestina’”.

A proposito di nemici comuni, anche Israele e Arabia Saudita condividono il nemico: dalla rivoluzione iraniana del 1979 l’Arabia Saudita e l’Iran sono impegnati in una lotta continua e serrata per l’influenza sul Medio Oriente e altre aree del mondo musulmano. Il conflitto si svolge su più livelli: geopolitico, economico e religioso. L’Iran ritiene di essere la principale potenza musulmana sciita, mentre l’Arabia Saudita si considera la guida dei musulmani sunniti. Tra i due paesi ci sono anche antiche tensioni storiche. Prima della rivoluzione iraniana l’Arabia Saudita si era autoproclamata leader del mondo musulmano, basando la sua legittimità sul controllo delle città sante di Mecca e Medina. Ma nel 1979 l’immagine dell’Arabia Saudita come leader de facto fu minata dall’ascesa del nuovo governo teocratico iraniano, che mise in discussione la legittimità della dinastia saudita e la sua autorità di Custode delle Due Sacre Moschee. Inizialmente il re saudita si congratulò con l’Iran e affermò che la “solidarietà islamica” poteva essere la base di buone relazioni tra i due paesi, ma nel decennio successivo le relazioni peggiorarono notevolmente. Da allora i due paesi sono stati impegnati in guerre per procura in Siria, Yemen, Bahrein, Kuwait e persino tra i curdi.

L’11 novembre 2023 i sauditi hanno ospitato un vertice arabo-islamico sullo sfondo della guerra tra Israele e Hamas. Tra i partecipanti c’era anche l’Iran, rappresentato dal suo presidente, Ebrahim Raisi. Il Ministero degli affari esteri saudita ha dichiarato che il vertice si è tenuto “in risposta alle circostanze eccezionali che si stanno verificando nella Striscia di Gaza palestinese, in quanto i Paesi sentono la necessità di unificare gli sforzi e di presentare una posizione collettiva unitaria”. Ma al termine del vertice la posizione collettiva unitaria non c’è stata. La proposta avanzata o appoggiata dall’Iran di interrompere tutte le relazioni diplomatiche ed economiche con Israele, negare lo spazio aereo arabo ai voli israeliani e far sì che i paesi musulmani produttori di petrolio minacciassero di usare il petrolio come strumento di pressione per ottenere un cessate il fuoco a Gaza è stata bloccata dai Sauditi e dai loro sostenitori. Uno dei missili lanciati verso Israele dai ribelli Houthi lo scorso ottobre è stato intercettato - indovinate un po’ - dall’Arabia Saudita. A gennaio il principe Faisal bin Farhan, ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, ha dichiarato a una tavola rotonda del prestigioso World Economic Forum che il Regno è d’accordo che “la pace regionale include la pace per Israele”. Ha anche detto che l’Arabia Saudita certamente riconoscerà Israele, all’interno di un accordo politico più ampio. L’Arabia Saudita ha così mandato un messaggio forte e chiaro all’Iran: i vostri tentacoli del terrore non possono cambiare la nostra visione del Medio Oriente.

Il 20 settembre 23, prima dell’attacco di Hamas, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman nella sua prima intervista televisiva in lingua inglese aveva detto che le prospettive di accordo per normalizzare i rapporti tra Arabia Saudita e Israele erano ben avviate. Le fughe di notizie accrescevano la sensazione che i funzionari sauditi, israeliani e americani stessero perseguendo una svolta che, secondo bin Salman, sarebbe stato “il più grande accordo storico dalla fine della Guerra Fredda”. Nella documentazione rilasciata al pubblico era assente qualsiasi considerazione concreta del ruolo dei palestinesi.

Ma negli ultimi mesi l’enfasi saudita sui palestinesi è cambiata: nessuna normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita sembra poter avvenire senza un piano che veda i palestinesi ottenere un proprio stato. In altre parole, la stabilità arriverà soltanto rimuovendo i palestinesi dalla morsa terrorizzante dell’Iran. L’unico modo per continuare a disturbare la stabilizzazione del Medio Oriente e del Nord Africa, per il regime iraniano, è mantenere intatti e forti i propri alleati, tra cui Hamas e la Jihad islamica palestinese nella Striscia di Gaza, che si oppongono a uno stato palestinese pacifico accanto allo stato ebraico di Israele. Una soluzione a due stati presuppone che il terrorismo sostenuto dall’Iran venga eliminato.

Se si guarda la mappa dei paesi e territori sostenuti dall’Iran, tutti circondano l’Arabia Saudita e Israele. La strategia a lungo termine dell’Iran è mantenere un “cappio” intorno ai sauditi e agli israeliani, che gli iraniani possano stringere quando lo ritengono opportuno. L’ultima cosa che l’Iran vuole oggi è apparire debole agli occhi di Israele, degli Stati Uniti e dei suoi alleati arabi, nonché dei nemici interni del regime degli Ayatollah.

Ma la risposta militare dell’Iran mostra indubbie carenze. Israele colpisce alti membri del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane, mentre gli iraniani colpiscono obiettivi israeliani fittizi lontani dal territorio di israele. Il Pakistan, dotato di armi nucleari, si è permesso di colpire dei ribelli direttamente all’interno del territorio iraniano. L’Iran vuole che gli Stati Uniti e l’Europa esercitino pressioni su Israele affinché interrompa prematuramente la guerra contro Hamas e minaccia un’escalation regionale per raggiungere questo obiettivo. L’ansia che gli Stati Uniti e l’Europa possano essere trascinati in una guerra regionale pesa molto sui governi americani ed europei. Per questo alti funzionari statunitensi hanno avuto colloqui indiretti con l’Iran in Oman a maggio. Eppure non sarebbe difficile mettere insieme una vasta coalizione araba contro l’Iran: la sosterrebbero i sauditi, gli emiratini, i bahreiniti, i giordani, gli egiziani e, naturalmente, gli israeliani.

 

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