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Con il declino e il crollo dell’Unione Sovietica (1991) il sostegno della Russia e dei governi filo-russi al PKK di Ocalan (partito curdo irredentista e marxista) venne meno e Ocalan nel 1999 finì nella mani dei Turchi, che lo condannarono all’ergastolo per terrorismo. È ancora detenuto in solitudine in un carcere di massima sicurezza. Riflettendo in carcere sugli avvenimenti, ha pubblicato una serie di libri e ha elaborato un nuovo programma per una ‘società democratico-ecologista’ a carattere universale, arrivando a chiedere ai suoi seguaci di cessare la ribellione contro la Turchia.
Per alcuni anni il governo turco accettò la tregua e promosse la pacificazione e l’integrazione dei suoi Curdi, anche per le pressioni dell’Unione Europea. I Curdi turchi poterono presentare i loro partiti alle elezioni (esempio a lato), ebbero libertà di usare la loro lingua e anche di avere alcuni insegnamenti scolastici in lingua curda. Erdogan, capo del governo turco, voleva utilizzare i buoni rapporti con i propri Curdi e con i Curdi iracheni per accattivarsi la simpatia dei popoli del Medio Oriente che avevano fatto parte dell’Impero Ottomano, e anche per far accettare la Turchia nell’Unione Europea. Ma questa politica cambiò nel corso degli avvenimenti.
Con la ribellione del 2011 in Siria i Curdi siriani del Rojava attivarono le loro Milizie di Protezione Popolare (YPG), che combatterono attivamente per difendere il proprio territorio e furono armate e addestrate dagli USA per combattere contro l’ISIS anche al di fuori del Rojava. Il governo turco ebbe timore che i Curdi turchi avrebbero riattivato le proprie milizie per combattere insieme ai Curdi siriani, visto che in grande maggioranza sia gli uni sia gli altri simpatizzano per il PKK e per Ocalan, e che si venisse a costituire uno stato indipendente curdo a spese della Turchia. Quando nelle elezioni di giugno 2015 in Turchia il partito filo curdo ottenne una quantità di voti molto superiore alle aspettative, il presidente Erdogan decise di passare all’azione e a luglio intraprese una nuova dura campagna di repressione dei suoi Curdi, arrivando a bombardare e cannoneggiare ripetutamente i centri abitati curdi in Turchia, inclusa la città di Diyarbakir. Da allora la repressione non è cessata.
A ottobre 2017 la Turchia è entrata in Siria con le sue truppe nella zona di Idlib per occupare e sorvegliare l’area di confine, mentre le milizie curde siriane liberavano Raqqa dall’ISIS, insieme ad altre milizie sostenute dalla coalizione internazionale, armate e addestrate dagli USA.
Una peculiarità delle milizie curde emersa durante la guerra all’ISIS è la parità fra uomini e donne. Le donne curde di ogni paese hanno combattuto in prima linea contro l’ISIS.
La parità fra uomo e donna è uno dei punti chiave del programma dei gruppi curdi, soprattutto di quelli influenzati da Ocalan, che oggi afferma che la vera rivoluzione sociale e politica è l’uguaglianza delle donne.
L’uguaglianza sociale e politica delle donne sta diventando l’arma ideologica che si contrappone all’islamismo in Medio Oriente, per iniziativa dei Curdi.
Il percorso dell’Iraq e dei suoi Curdi dopo il 1991 è stato molto diverso. Nel 1991 Saddam Hussein, dittatore dell’Iraq, invase il Kuwait e una coalizione internazionale guidata dagli USA lo fermò muovendogli guerra.
La coalizione agì anche in favore dei Curdi iracheni, stabilendo una no-fly zone sui cieli del nord dell’Iraq, cioè impedendo che Saddam potesse usare l’aviazione militare per bombardare il territorio sottostante. Grazie a questo scudo i Curdi iracheni tennero libere elezioni nel 1992. I due partiti principali, il KDP e il PUK, si misero d’accordo per spartirsi a metà i 100 seggi parlamentari, lasciandone 5 alle minoranze e formando un governo di unità nazionale entro i confini del Kurdistan.
Non si trattava di uno stato autonomo, ma di una regione ad amministrazione autonoma, facente parte dell’Iraq. Senonché, dopo solo due anni i due partiti ricominciarono a scontrarsi. La guerra civile curda cessò solo nel 1998, con un accordo sponsorizzato dagli Stati Uniti che sancì il controllo di Arbil da parte del KDP e di Sulaymaniyya da parte del PUK, con relativa spartizione delle risorse. A rafforzare un’intesa tra i due partiti intervenne nel 2003 una seconda guerra, l’operazione Iraqi Freedom, che portò alla caduta del regime di Saddam. Con un accordo salomonico di spartizione del potere, sancita dalla nuova costituzione irachena del 2005, il leader del PUK Jalal Talabani divenne presidente della Repubblica irachena, mentre Masud Barzani divenne presidente del Governo Regionale Curdo (KRG), carica che ha detenuto ininterrottamente sino alle dimissioni di inizio novembre 2017.
Con la fine del regime baatista, il Kurdistan iracheno ha potuto beneficiare di un decennio di stabilità, sviluppando istituzioni politiche e burocratiche proprie. Questa stabilità, unita alla presenza di ingenti risorse petrolifere, ha attirato notevoli investimenti esteri e ha portato un rapidissimo sviluppo. In questi anni sono stati realizzati aeroporti, strade e infrastrutture, e il boom edilizio ha determinato un forte inurbamento della popolazione.
La collaborazione con la coalizione occidentale contro l’ISIS ha costruito rapporti nuovi.
Nel 2011 (anno della cosiddetta primavera araba, quando i Siriani si ribellarono) anche in Iraq gli Arabi sunniti si ribellarono contro il governo, che dal 2005 è filo iraniano e riserva favori e posti di potere agli sciiti.
Nel contesto delle ribellioni si inserì l’IS, lo Stato Islamico, i cui capi militari erano ex ufficiali dell’esercito di Saddam Hussein che erano stati cacciati dall’esercito. Il rapido dilagare dell’IS, che sconfinò anche in Siria divenendo ISIS, mise a rischio anche il territorio del Kurdistan e i Curdi iracheni armarono proprie unità di difesa (Peshmerga) che, sostenuti dalla coalizione internazionale contro l’ISIS, armati e addestrati dagli Americani, non soltanto difesero il proprio territorio, ma liberarono dall’ISIS anche altre parti dell’Iraq, accogliendo centinaia di migliaia di profughi in fuga dall’ISIS, soprattutto Yazidi e Cristiani.
Poiché gli oleodotti e le strade verso Bagdad erano interrotti dall’ISIS, i Curdi nel 2014 iniziarono a esportare il petrolio della loro regione direttamente attraverso la Turchia (che però segretamente comprava petrolio anche dall’ISIS), anziché consegnarlo al governo di Bagdad.
La Turchia ha sempre collaborato con i Curdi iracheni, purché non sostenessero il PKK e le rivendicazioni separatiste dei Curdi turchi.
Oggi fra i Curdi che sostengono l’ideologia del PKK in Turchia e in Siria e i Curdi del Kurdistan iracheno non corre buon sangue: durante il comune conflitto contro l’ISIS i due gruppi si sono anche scontrati fra di loro quando si sono trovati vicini.
A settembre 2015 la Russia entrò in modo spettacolare nella guerra civile in Siria e nella guerra contro l’ISIS (immagine a lato): sostenendo il governo di Assad, creò un’alleanza informale e temporanea con l’Iran, che ha sostenuto Assad contro tutti i ribelli.
In Siria come in Iraq la guerra civile (che dura dal 2011) è stata la reazione degli arabi sunniti contro i loro governi amici dell’Iran sciita. Islamici sciiti e sunniti si sono scontrati ripetutamente nella storia. I ribelli arabi sunniti di varia affiliazione sono stati finanziati e armati in modo più o meno segreto dall’Arabia Saudita e dagli altri arabi sunniti del Medio Oriente.
La Turchia provò a sfidare i Russi, che reagirono duramente. Nessuno intervenne a sostegno della Turchia (paese NATO, che probabilmente contava sull’appoggio di altri paesi NATO) e il presidente Erdogan si piegò ai Russi. L’intervento russo e quello iraniano hanno permesso ad Assad di riconquistare larga parte del territorio caduto nelle mani dei ribelli, per poi attaccare anche l’ISIS, insieme ai Curdi siriani e ad altre milizie armate che, sostenute dagli USA, hanno tolto all’ISIS il controllo del territorio.
Ora che l’ISIS è quasi totalmente debellato, Assad è di nuovo saldo in sella, tutti gli stati della regione sono impegnati in consultazioni e visite continue, nel tentativo di trovare un accordo per la sistemazione futura della Siria e dell’Iraq che possa essere accettabile per tutti gli stati interessati. Al centro di tutti questi incontri consultivi è sempre la Russia.
Nel Kurdistan iracheno a ottobre 2017 è stato indetto un referendum consultivo sull’autonomia: è stato un gesto politico, non una dichiarazione di indipendenza, ma tutti gli stati della regione e del mondo intero (eccetto Israele) si sono opposti, ovviamente.
Nessuno stato può mettere esplicitamente in discussione il principio dell’inviolabilità delle frontiere, ma la comune condanna ufficiale non significa che i contrastanti interessi dei paesi della regione non siano più all’opera.
L’esercito iracheno, con l’aiuto di milizie di Iraniani, è avanzato e ha tolto ai Curdi il controllo della regione di Kirkuk, che i Curdi avevano difeso contro l’ISIS. I Peshmerga si sono ritirati senza combattere. Erano in maggioranza Peshmerga affiliati al PUK, e il PUK non vuole rovinare i buoni rapporti con l’Iran, che sostiene e controlla il governo di Bagdad.
Sulla mappa a lato si vedono le sigle dei principali partiti curdi nei vari paesi, ognuno dei quali ha proprie milizie armate, pagate e armate per lo più da diversi sostenitori esteri.
A novembre si terranno elezioni nel Kurdistan e il loro esito rimetterà in moto i giochi.
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