Mentre Washington trasferisce il peso della sicurezza regionale sugli alleati, gli avversari si muovono per sfruttare i vuoti di potere che ne derivano. Questo è particolarmente evidente nel Pacifico occidentale, dove la Cina ha aumentato drasticamente la pressione sul Giappone, all’interno di un delicato rapporto triangolare.
Il 10 novembre gli Stati Uniti hanno pubblicamente sostenuto il Giappone contro la Cina e affermato l'impegno ‘incrollabile’ di Washington verso l’Alleato. Giorni prima il ministro degli Esteri cinese Wang Yi aveva dichiarato che il Giappone, in quanto "nazione sconfitta" nella Seconda Guerra Mondiale, dovrebbe esercitare maggiore cautela nella sua postura militare. Precedentemente il primo ministro giapponese Sanae Takaichi aveva detto che Tokyo avrebbe risposto militarmente se la Cina avesse attaccato Taiwan. Il governo cinese aveva mandato la portaerei cinese Liaoning a condurre 100 operazioni di volo a est di Okinawa, indirizzando il radar contro aerei militari giapponesi. Ora il Giappone sta rapidamente fortificando la sua catena di isole sud-occidentali – in particolare l'isola di Yonaguni, a pochi chilometri da Taiwan – trasformandola in un arcipelago missilistico con difese aeree stratificate e capacità di guerra elettronica.
Proprio ora il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping hanno negoziato un accordo provvisorio. Nessuna delle due parti desidera un'escalation militare: Pechino deve affrontare una grave crisi economica, Washington sta ricalibrando tutta la sua politica estera secondo la Strategia di Sicurezza Nazionale pubblicata il 5 dicembre. Dal punto di vista statunitense, l'intesa con la Cina si basa sul presupposto che un impegno commerciale robusto sia accettabile finché Pechino si astiene dallo sfidare gli interessi militari statunitensi. Il tira e molla in corso rivela la fragilità del tentativo di conciliare l'indipendenza economica con gli interessi di sicurezza regionale.
Non ci si può aspettare che Pechino fermi la sua ascesa come grande potenza. È già una potenza economica e politica, quindi è naturale che rafforzi le sue capacità militari. Per mantenere una relazione di lavoro funzionale con gli Stati Uniti può ridurre la sua assertività militare, ma non può farlo a tempo indeterminato, deve agire per modellare la sicurezza della sua immediata periferia.
L'Indo-Pacifico non presenta alleanze regionali collaudate dal tempo. Washington sta cercando di costruire un'architettura di sicurezza adatta alle dinamiche del bacino indo-pacifico, che non lasci agli USA il peso e il costo totale della sicurezza degli oceani. Per questo il Giappone è diventato strategicamente indispensabile.
La Cina oggi proietta potere fino alla terza catena di isole che si estende dalle Aleutine alle Salomone ed ambisce ad espandersi oltre. Nell’immediato però deve assicurarsi il dominio nelle acque più vicine a casa, prima che il nuovo quadro di sicurezza guidato dagli Stati Uniti sia attivo. Per questo deve prima di tutto neutralizzare l’espansione del Giappone sul mare.
Il Giappone, dal canto suo, ha necessità di diventare una potenza militare. La Cina l'ha già superata economicamente e tecnologicamente e ha spostato l'equilibrio regionale in modi che Tokyo ora è obbligata a contrastare. Tanto più che in futuro la protezione assoluta degli USA potrebbe non essere certa.
La Cina non può affrontare direttamente il Giappone senza mettere a rischio il suo più ampio sforzo di orchestrare una distensione con gli Stati Uniti, di cui oggi ha bisogno per guadagnare tempo e stabilizzare la propria economia. Il modo in cui Washington, Pechino e Tokyo navigheranno in questo delicato dialogo determinerà non solo la stabilità dell'Indo-Pacifico, ma anche il più ampio equilibrio di potere nel XXI secolo.
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