Perché il conflitto in Congo non può fermarsi

27/10/2025

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A ottobre 2025 gli Stati Uniti hanno ospitato l’ennesimo round di colloqui per mediare la pace tra la Repubblica Democratica del Congo e l'M23, gruppo ribelle che ha preso il controllo di gran parte della parte orientale del paese, ricca di minerali. Lo scopo ultimo del coinvolgimento di Washington è ottenere licenze minerarie per minerali essenziali. A ostacolarlo c'è la Cina, che mantiene una posizione dominante nel paese. Nel frattempo il Ruanda, l'altro protagonista del conflitto in Congo, beneficia dello status quo. Non ci sono concrete ragioni per credere che il conflitto possa finire presto.

Il gruppo M23 dichiara che il suo obiettivo finale è rovesciare il presidente Felix Tshisekedi, ma la geografia e la capacità militare glielo impediranno. Gli stessi vincoli impediscono al governo di Kinshasa di sloggiare lo M23 dalle aree circostanti le principali zone minerarie, tra cui Goma e Bukavu.

La situazione in Congo non è certo una questione locale. Con il cobalto e il rame sempre più essenziali per prodotti come batterie, veicoli elettrici e motori a reazione ad alte prestazioni, le potenze globali stanno ricalibrando le strategie per proteggere le catene di approvvigionamento. Il Critical Raw Materials Act dell'UE e il Critical Minerals Security Act degli Stati Uniti del 2024 lo dimostrano. Rafforzare le linee di approvvigionamento per i minerali essenziali non è solo una questione economica, ma di sicurezza: affidarsi eccessivamente alla capacità di produzione e raffinazione di stati potenzialmente avversari mette a nudo debolezze fondamentali. Poiché il Congo ospita il 70% della produzione mondiale di cobalto, fornisce il 40% del coltan globale e circa il 13% del rame, il paese è diventato un’arena di competizione tra Stati Uniti e Cina.

Lo M23 è sostenuto da un'economia di guerra basata sulle risorse e dal sostegno del Ruanda, con cui condivide l'identità etnica Tutsi. Il Ruanda trae vantaggio dal commercio illecito di minerali dell'M23 e gli fornisce armi e munizioni.

Il governo congolese di Kinshasa ha messo in atto politiche economiche per cambiare lo status quo. Ha vietato le esportazioni di cobalto, poi stabilito nuove quote e offerto concessioni minerarie per attrarre altri stranieri. Nel frattempo la macchina cinese del rame e del cobalto ha continuato a funzionare senza ostacoli attraverso le società parzialmente statali Sicomines e CMOC. Kinshasa ha coinvolto gli Stati Uniti nel tentativo di mediare una transazione "risorse in cambio di sicurezza". Il coinvolgimento degli Stati Uniti ha spinto la Cina a investire 1,4 miliardi di dollari per rinnovare la ferrovia TAZARA che collega il Congo orientale ai porti dell'Oceano Indiano. L'Unione Europea e gli Stati Uniti hanno invece attinto ai fondi del Global Gateway per ricostruire ed espandere il corridoio ferroviario di Lobito, che collega la cintura del rame in Zambia e Congo all'Oceano Atlantico in Angola.

I problemi che ostacolano gli sforzi di pace sono sistemici e immutabili. Il primo è una geografia estremamente frustrante e variegata. Il vasto territorio del Congo è caratterizzato da estese foreste pluviali che ostacolano il controllo militare e civile. Le carenze di capacità statale del Paese sono profonde: l’esercito è frammentato, scarsamente organizzato e deve far fronte a enormi vincoli logistici. Pochissime infrastrutture collegano una parte del paese all'altra, quindi attrezzature e personale devono essere trasportati per via aerea. Prospettiva costosa e pericolosa, visto che l'M23 ha il controllo degli aeroporti orientali.

I gruppi armati operano quasi liberamente non perché siano particolarmente forti, ma perché lo Stato è sottorappresentato nelle aree periferiche. Le strutture di governance locale sono altrettanto frammentate, con rivendicazioni di autorità e legittimità sovrapposte.

C’è poi da considerare il ruolo svolto dal Ruanda. Il Ruanda considera da tempo le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda – un gruppo armato hutu che opera nel Congo orientale – una minaccia esistenziale. Per questo il governo ruandese sostiene apertamente i ribelli Tutsi dell'M23. Così il Ruanda si isola dalle minacce degli Hutu del Congo ed estende la sua influenza in una regione ricca di minerali. Minerali ‘illeciti’, in particolare oro e coltan, si riversano in Ruanda per alimentare le industrie di raffinazione e di riesportazione. Così il governo ruandese di Kigali mantiene un potere contrattuale con gli attori internazionali che desiderano stabilità per ragioni commerciali o umanitarie.

In questo contesto, l'Uganda svolge un ruolo importante, seppur meno esplicito, nel plasmare le dinamiche regionali. Le relazioni tra Ruanda e Uganda sono tese, segnate da rivalità intermittenti nell'intelligence e da reti di influenza concorrenti tra i gruppi armati congolesi. Sebbene l'apparato di sicurezza ugandese sia ufficialmente allineato alla politica del Congo nelle attività di contro-insurrezione, alcuni elementi tollerano la presenza dell'M23 per garantire all’Uganda le vie di accesso al coltan e all'oro di contrabbando.

Washington, nel frattempo, cerca di assicurarsi i diritti di estrazione mineraria. Ha firmato un accordo di pace in cambio di risorse a giugno, che non è ancora concretizzato. Il fondatore di Blackwater, Erik Prince, ha firmato un accordo con il governo congolese ad aprile per aiutare il Paese a proteggere e monetizzare le sue vaste riserve minerarie, ma anche questo non ha prodotto nulla di significativo.

Senza schierare truppe a lungo termine sul territorio non esiste un modo pratico per costringere l'M23 a cedere. Washington è anche un forte sostenitore del Ruanda ed è il maggiore mercato di esportazione per il coltan ruandese – ottenuto legalmente o meno – quindi qualsiasi accordo venga proposto è probabilmente più un tentativo di spodestare la Cina che di raggiungere la pace.

Sul retroscena si nasconde una situazione di stallo interno tra Tshisekedi e l'ex presidente Joseph Kabila, accusato dalle autorità di aver orchestrato l'insurrezione e di collusione con il Ruanda e l'M23. Un tribunale militare lo ha condannato a morte in contumacia. Questa lotta di potere probabilmente complicherà ulteriormente la risoluzione della crisi.

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