Maggio di sangue nel Sahel

19/06/2025

Gli USA affermano che oggi il Sahel è l’epicentro del terrorismo mondiale.

Burkina Faso, Mali e Niger hanno espulso le forze di sicurezza occidentali e accolto il sostegno russo. Ma stanno collassando, potrebbero cadere totalmente in mano ai gruppi jihadisti. In questo caso sarebbe a rischio anche la sicurezza dell’Europa

Gruppi estremisti islamici hanno preso di mira Burkina Faso, Mali e Niger da 15 anni. Allora l'ONU autorizzò la missione G5 Sahel, forza antiterrorismo di 10.000 uomini, mentre la Francia lanciava una propria operazione si sostegno ai governi e agli eserciti locali, l’Operazione Barkhane. La diffusione dei gruppi rallentò e gli attacchi si fecero più radi.

Ma poi colpi di stato militari in tutti e tre i paesi hanno portato al potere giunte militari, che la Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale (ECOWAS) non ha accettato di riconoscere, sospendendo ogni cooperazione. I nuovi leader militari hanno ottenuto il sostegno popolare promettendo di ristabilire l'ordine ed eliminare il pericolo jihadista. Hanno espulso le forze di sicurezza dell'ONU, le truppe francesi e quelle degli USA, hanno aperto le porte alle forze russe e al Gruppo Wagner. Ma con il deteriorarsi dei rapporti con l'ECOWAS, questi regimi sono diventati più isolati. Di recente i jihadisti di Jama'a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin (JNIM) e dello Stato Islamico nella Provincia del Sahel (ISSP) hanno ripreso a crescere in numero e in potenza, gli attacchi si sono moltiplicati.

Maggio è stato un mese letale nel Sahel. Il morale delle forze militari locali sta crollando, mentre JNIM e ISSP – rafforzati dal saccheggio delle armi dell’esercito e da molte nuove reclute – hanno spostato i loro obiettivi dalle aree rurali ai centri amministrativi e ai centri urbani. Attacchi di vasta portata in Mali durante il mese di maggio hanno causato oltre 300 morti o feriti tra soldati. Un attacco ha quasi raggiunto la capitale e un altro è arrivato a Timbuktu. In Burkina Faso il JNIM ha temporaneamente occupato due capoluoghi di provincia, saccheggiando armi e veicoli prima di ritirarsi. Il governo burkinabé controlla solo il 30-40% del paese. L'ISSP è stato altrettanto attivo in Niger e sta espandendosi in Benin e Nigeria.

Le risposte militari sono state inefficaci e a volte persino controproducenti, poiché la violenza indiscriminata contro le popolazioni locali, in particolare tra le comunità Fulani e Tuareg, alimenta il reclutamento jihadista.

La capacità della Russia di offrire maggiore assistenza è limitata, perciò l’Alleanza degli Stati del Sahel pensa a una possibile riconciliazione con Washington, Parigi e Bruxelles. L’Alleanza ha creato una forza congiunta di 5.000 soldati, dotata di mezzi aerei e di intelligence, ma con scarso coordinamento, senza infrastrutture per usare davvero gli aerei e senza sorveglianza satellitare.

I leader delle giunte militari fanno sempre più affidamento sulla coercizione e sulla protezione russa per rimanere al potere. Temendo un colpo di stato, la giunta in Burkina Faso ha epurato gli alti ranghi militari e represso duramente la società civile, inviando i dissidenti a combattere in prima linea. Tuttavia, le giunte godono ancora di sostegno nelle capitali grazie alle operazioni di informazione russe, che diffondono narrazioni anti-occidentali, promuovono la resistenza panafricana, oscurano le perdite sul campo di battaglia e inneggiano ai leader delle giunte, in particolare Ibrahim Traoré del Burkina Faso.

L'ISSP e Boko Haram lanciano attacchi anche nel nord della Nigeria, per poi ritirarsi nella regione dei Grandi Laghi in Niger, di cui il governo ha perso totalmente il controllo. In Benin la JNIM minaccia non soltanto l’entroterra ma anche la costa, dove ha recentemente ucciso decine di soldati,

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