La caduta del regime di Assad in Siria è un bel grattacapo per gli stati arabi, in particolare l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Da un lato è un sollievo che l'Iran, loro tradizionale rivale, abbia perso potere e influenza nel Levante, ma è preoccupante dover affrontare il rafforzamento e la legittimazione degli islamisti sunniti anti-monarchici in Siria.
Per ora le dinastie arabe cercano di giocare bene. Il 2 gennaio una delegazione del costituendo governo siriano, che includeva il ministro degli Esteri Asaad al-Shaibani, il ministro della Difesa Murhaf Abu Qasra e il capo dell'intelligence Anas Khattab, è arrivata in Arabia Saudita: il primo viaggio all’estero dell'amministrazione guidata da Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Nel frattempo i Sauditi hanno inviato 60 camion e sei aerei carichi di beni essenziali per il popolo siriano.
Dopo anni di tensioni, l'Arabia Saudita aveva riaperto la sua ambasciata a Damasco soltanto lo scorso settembre, approfittando del fatto che Israele stava degradando la posizione dell'Iran nel Levante. Gli Arabi pensavano fosse il momento giusto per indurre Assad a prendere le distanze dall'Iran (cosa che, a quanto pare, voleva fare ma non ne aveva la capacità). Gli Arabi non si rendevano conto che il vuoto lasciato dalla ritirata dell'Iran sarebbe stato così rapidamente colmato dall'alleanza ribelle sostenuta dalla Turchia.
Gli stati arabi sono ora sotto pressione da parte di forze radicali su entrambi i lati della divisione geopolitica regionale: da un lato dall’Iran e dai suoi alleati islamisti sciiti in Iraq, Libano, Siria e Yemen. dall'altro da una vasta gamma di forze islamiste sunnite repubblicane, sostenute dalla Turchia.
Sino ad ora l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (così come le altre monarchie arabe) sono stati in grado di contenere la minaccia sunnita dall'interno, anche durante la Primavera araba, ed hanno temuto maggiormente gli sciiti all'esterno. A vari livelli, la Siria è stata l'arena in cui si sono scontrate entrambe le minacce. Gli islamisti sunniti sostenuti dalla Turchia sono ora la priorità per l'Arabia Saudita e le altre monarchie arabe. La buona notizia è che la situazione in Siria sarà fluida per un bel po’ di tempo, quindi le monarchie arabe possono riflettere e nel frattempo mantenersi margini di manovra. Ma sono molto preoccupate che il successo degli islamisti in Siria possa essere replicato in Giordania e in Egitto. Cercheranno di impedire che ciò accada, ovviamente, e cercheranno di impedire che la Siria cada interamente nelle mani di Turchia e Qatar.
I Sauditi utilizzeranno il potere finanziario per ottenere influenza sul governo siriano. È una strategia sensata a breve termine, ma i Sauditi sanno di essere anni indietro rispetto a paesi come Turchia e Qatar. A lungo termine, non hanno soluzione al fatto di essere intrappolati tra gli islamisti sciiti, sostenuti dall'Iran, e gli islamisti sunniti, sostenuti da Turchia e Qatar. Contrastare l'uno rafforza l'altro in un ciclo da cui non sembra esserci via di fuga, a meno che non avvengano altri imprevisti sconvolgimenti regionali.
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