Da un articolo di Francesco Sisci per Settimana News
Nel 1571 il conquistatore Miguel Lopes de Legazpi arrivò a Manila e dichiarò che le Filippine appartenevano all’Impero spagnolo, scacciò le truppe del sultano del Brunei e anche la grande e ricca colonia di mercanti cinesi che ci risiedeva. Sotto gli Spagnoli Manila divenne il principale porto commerciale dell’Oriente: vi si scambiavano gemme indiane, spezie da tutto il sud est asiatico, ma soprattutto sete e porcellane cinesi, che gli Spagnoli pagavano con l’argento del Messico e della Bolivia, che erano parte del loro impero.
Nel 1571 il conquistatore Miguel Lopes de Legazpi arrivò a Manila e dichiarò che le Filippine appartenevano all’Impero spagnolo, scacciò le truppe del sultano del Brunei e anche la grande e ricca colonia di mercanti cinesi che ci risiedeva. Sotto gli Spagnoli Manila divenne il principale porto commerciale dell’Oriente: vi si scambiavano gemme indiane, spezie da tutto il sud est asiatico, ma soprattutto sete e porcellane cinesi, che gli Spagnoli pagavano con l’argento del Messico e della Bolivia, che erano parte del loro impero.
Fu l’avvio del primo sistema commerciale di ampiezza veramente globale: la Spagna era al centro di tutti i commerci e tutti i pagamenti internazionali si effettuavano con l’argento che proveniva dalle miniere del Sudamerica spagnolo. Fu una benedizione per la dinastia Ming in Cina, allora gravemente in crisi perché le spese dello stato superavano le entrate. La Cina aumentò la produzione di porcellane e seta ricavandone molto argento con cui pagare soldati, armi, burocrati e beni d’importazione.
Ma dal 1630 la Spagna dovette impiegare tutte le risorse nella dura e lunga guerra con gli Inglesi e gli Olandesi che le contendevano il dominio dei mari e delle colonie. L’argento non fu più destinato prioritariamente al commercio, ma a pagare le spese militari. Nell’arco di un decennio la Cina si trovò a non avere quasi più argento né per pagare i debiti interni né per pagare le importazioni: la sua economia dipendeva troppo dalle esportazioni. Chi aveva argento lo tesaurizzava, perciò l’argento aumentava rapidamente di valore rispetto alla moneta locale in rame. All’interno della Cina si usava la moneta di rame, ma l’imperatore chiedeva ai sudditi di pagare le tasse in argento. Quando il rialzo di prezzo dell’argento rese impossibile per i contadini pagare le tasse e sopravvivere, i contadini si ribellarono, l’ultimo imperatore Ming si impiccò e la dinastia cadde, sostituita dalla dinastia Manchu (1644). La Cina fu vittima indiretta della guerra fra gli imperi europei, perché la sua economia dipendeva troppo dalle esportazioni e dalla moneta degli Europei.
Circa 200 anni più tardi, nel 1830, la Cina era governata dalla dinastia Qing ed era il paese più ricco del mondo. Esportava molti beni, non importava quasi nulla. Era molto autosufficiente, quasi chiusa al mondo. Gli Inglesi compravano molti prodotti cinesi, soprattutto molto the che avrebbero voluto scambiare con altre merci, ma i Cinesi volevano in cambio soltanto argento, non altri prodotti. La Cina nel 1830 aveva nelle sue casse quasi il 70% dell’argento che circolava nel mondo intero e la sua produzione interna costituiva più della metà dell’intera produzione mondiale. Aveva imparato bene la lezione di 200 anni prima! Ma l’Inghilterra, allora la maggiore potenza commerciale del mondo, vedeva che la Cina risucchiava troppa moneta, senza farla circolare con l’acquisto di beni dall’estero. Sappiamo come andò a finire: l’Inghilterra usò la superiorità delle sue armi per obbligare la Cina ad aprire i suoi porti e permettere lo scambio fra il the e l’oppio che gli Inglesi portavano da altri paesi del sud est asiatico (guerre dell’oppio, 1839-1860). Altre potenze europee seguirono l’esempio degli Inglesi e imposero alla Cina le loro condizioni commerciali. I nazionalisti cinesi si ribellarono (insurrezione Taiping, 1851) e ne seguì una devastante guerra civile in cui morì quasi il 20% della popolazione cinese. L’economia della Cina entrò in crisi, nell’arco di alcuni decenni il paese si ridusse in povertà, la dinastia Qing crollò. Per la seconda volta la Cina, il paese più grande del mondo, non aveva saputo mantenere in equilibrio i suoi rapporti economici (e politici) con il resto del mondo, soprattutto con l’Occidente. Era passata da un eccesso all’altro.
Che succede oggi? L’economia e la potenza cinese sono in rapida ascesa, anche se non primeggiano ancora nel mondo. La Cina dal 2015 sta usando la ritrovata potenza per cercar di imporre le sue regole negli scambi con i vicini o con i paesi più piccoli (Belt and Road Initiative). L’attuale leader negli scambi globali, gli USA, ha iniziato a reagire negativamente.
Nel XVII e nel XIX secolo i Cinesi non seppero gestire il proprio potere economico e commerciale in modo da mantenere un equilibrio accettabile con le altre potenze. Come andrà a finire questa volta?
Il fatto che la Cina abbia o non abbia un sistema democratico è importante. I poteri assoluti fondati sulla religione o su ideologie laiche totalitarie (come il sistema a partito unico in Cina) sono rapidi ed efficienti nel prendere le decisioni, ma sono troppo lenti nel rinunciare a decisioni sbagliate, ed è sempre questo il motivo della loro rovinosa caduta: la pervicacia nel perseguire decisioni sbagliate, quando lo sbaglio è evidente. Le democrazie invece sono lente e farraginose nel prendere le decisioni, ma le cambiano rapidamente e senza spargimento di sangue appena gli elettori si accorgono che sono errate o pericolose.
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