L’Indocina è la regione che comprende Myanmar, Laos, Tailandia, Cambogia, Malesia, Vietnam e Singapore. È caratterizzata da catene di colline e montagne che danno discontinuità e frammentazione al terreno. Per questo i paesi che ne fanno parte non hanno una storia comune e hanno commerciato più con paesi terzi che tra di loro. Tuttavia un elemento inevitabilmente li accomuna: la vicinanza alla Cina, che nei millenni ha, più o meno intensamente, esercitato la sua influenza su di loro, anche con significative migrazioni di popolazione. Quando la Cina è unita e forte, come è ora, tende a proiettare la propria potenza alla sua periferia, anche sull’Indocina.
Pechino oggi costruisce sicurezza in primo luogo attraverso il commercio internazionale e l’Indocina è fondamentale in questa strategia, perché dà alla Cina l’accesso diretto all’Oceano Indiano, avvicinandola al Medio Oriente e all’Africa. Per la Cina è dunque prioritario sviluppare infrastrutture nel Sud-Est Asiatico, come dimostrano sia la strategia del ‘filo di perle’ − la costruzione di porti in compartecipazione tra aziende o capitali cinesi e partner locali lungo le coste dall’Indocina al Mar Rosso – sia la BRI (Belt and Road Initiative) annunciata nel 2013.
La politica cinese viene portata avanti con diversi strumenti. Dai primi anni 2000 la Cina promuove un progetto di integrazione dei trasporti tra i paesi della regione in quanto membro dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico) e incentiva le aziende cinesi a investire all’estero. Nel 2014 la Cina ha creato la Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture, che vede la partecipazione di tutti i paesi dell’ASEAN, e il Fondo per la Via della Seta.
Gran parte dei fondi per i progetti della BRI vengono dalla China Development Bank e da altre banche commerciali cinesi. Questi progetti comprendono ferrovie in Laos e Tailandia, a completamento del Pan-Asian Railway Network, composto da tre rami ferroviari che uniscono la città cinese di Kunming alla tailandese Bangkok, una attraverso il Myanmar, una attraverso il Laos e una attraverso la Cambogia e il Vietnam. Da Bangkok un’unica ferrovia potrebbe proseguire e raggiungere Singapore. Una volta completata, la rete potrebbe legare fortemente questi paesi sia fra di loro sia alla Cina.
Ma la realizzazione di questo tipo di infrastrutture è complessa sia dal punto di vista geografico che politico. Non solo la Cina deve collaborare con ogni paese, ma deve anche accertarsi che i suoi partner collaborino tra loro − entrambi compiti difficili. Il Sud-Est Asiatico non ha una tradizione di interdipendenza economica e Pechino dovrà crearla dal nulla. Inoltre dovrà far fronte alla diffidenza di alcune nazioni poco propense ad aderire a un progetto che accresca tanto l’influenza cinese.
La Cina tratta bilateralmente con gli stati singoli. In Myanmar passa la via più diretta per l’Oceano Indiano. Il paese domina il Golfo del Bengala e ospita la fertile pianura del fiume Irrawaddy, largamente navigabile. Il fiume attraversa più della metà del paese e sulle sue sponde si trovano la maggior parte delle attività commerciali, la maggior parte della popolazione e le tre città principali: Yangon, Mandalay e Naypyidaw. Il fiume fu parte della Via della Seta nell’antichità. Durante la Seconda guerra mondiale costituì la “Strada birmana” degli Alleati per portare rifornimenti da Lashio a Kunming.
Il Myanmar risponde agli interessi cinesi anche per l’importazione di risorse energetiche. Ad aprile è entrato in funzione un oleodotto lungo più di 2400 chilometri che collega la Cina a un nuovo porto in acque profonde sull’isola Maday. Un gasdotto trasporta invece il metano del Medio Oriente in Cina attraverso il porto di Kyaukpyu. Pechino ha poi investito direttamente nell’industria energetica del Myanmar, con partecipazioni nel settore del petrolio e del gas naturale, e grandi investimenti nel campo dell’energia idroelettrica: ventisei imprese cinesi partecipano a quarantaquattro progetti idroelettrici in Myanmar, con un investimento di 1,3 miliardi di dollari soltanto per i 6 nuovi progetti del 2016.
Il Myanmar è ricco di petrolio, gas, carbone, zinco, rame, pietre preziose e legname e ha anche giacimenti di uranio. Non esporta molto – le esportazioni coprono solo il 20% del PIL del paese – ma la Cina è il suo primo acquirente. Il governo di Naypyidaw spera di diversificare gli investimenti stranieri dirigendoli anche verso l’agricoltura e il settore manifatturiero.
La strategia cinese rischia però di essere ostacolata dal fatto che le infrastrutture da realizzare attraversano aree irrequiete e violente. Nella regione il potere politico è suddiviso e conteso tra piccoli gruppi divisi su base etnica, alle cui ribellioni il governo centrale ha dovuto far fronte quasi ininterrottamente sin dal 1948, anno dell’indipendenza. Alcuni gruppi ribelli di montagna sono di etnia cinese e hanno legami storici con la Cina, che sta ora usando attivamente la propria influenza per pacificarli. Il Myanmar è un esempio emblematico del pragmatismo cinese, mostrando come Pechino si comporti nei riguardi di un paese strategicamente importante: incentiva la cooperazione economica, evita di interferire nella politica interna ed esercita sul governo la pressione strettamente necessaria per scoraggiarlo dal corteggiare finanziatori stranieri in concorrenza, come l’India e gli Stati Uniti.
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