Dopo diversi casi di autocombustione ed esplosione del dispositivo, la Samsung ha annunciato l’interruzione della produzione del Galaxy Note7 e il suo ritiro dal mercato. È una pessima notizia per l’intera Corea, dato che la Samsung rappresenta circa il 20% dell’economia industriale del paese. Non è la sola brutta notizia: oltre alla presidente Park Geun-hye − coinvolta in uno scandalo che ha causato enormi proteste e la richiesta di dimissioni − anche l’economia sudcoreana si trova in difficoltà, indebolita da fattori sia interni che esterni che stanno fermando la crescita del PIL.
Il problema principale è la riduzione delle esportazioni, che si protrae ormai da 21 mesi consecutivi (a eccezione di agosto), dovuta in particolar modo alla frenata della domanda cinese, che assorbe circa un quarto dei prodotti sudcoreani. Le esportazioni di prodotti ad alto valore aggiunto costituiscono circa la metà dell’economia della Corea del Sud. Decisamente troppo, perciò il governo cerca di riorientare l’economia verso i servizi e verso nuovi mercati, ma i risultati non si vedranno per anni. Il rallentamento dell’economia globale ha colpito in particolare le raffinerie e l’industria petrolchimica: nel 2013 la vendita di petrolio raffinato ha fruttato 52,78 miliardi di dollari, nel 2015 solo 30,7. Anche i cantieri e i trasporti navali – altre voci fondamentali dell’economia sudcoreana − sono stati fortemente colpiti dalla contrazione del commercio globale. I principali costruttori di navi del paese − Hyundai Heavy Industries, Daewoo Shipbuilding & Marine Engineering e Samsung Heavy Industries – hanno dichiarato circa 5 miliardi di dollari di perdite nel 2015 e sono ricorsi a massicci licenziamenti per tagliare i costi; grandi imprese come la Hanjin Shipping (foto a lato) sono sull’orlo del lastrico. Per ridurre i danni e il malcontento il governo ha annunciato sovvenzioni all’industria navale e l’acquisto di più di 250 navi da parte dello stato entro il 2020.
È grazie all’industria manifatturiera che la Corea del Sud ha potuto risollevarsi dalla povertà e divenire l’undicesima economia al mondo nel giro di sole due generazioni, ma la centralità della produzione industriale rivolta all’esportazione è anche una forma di dipendenza. Le principali aziende del paese sono “chaebols”, conglomerati di industrie che includono al proprio interno anche i servizi di cui hanno bisogno. I primi dieci chaebols – fra cui Samsung, Hyundai e Lotte – rappresentano circa il 75-80% dell’economia sudcoreana. Mancano le piccole e medie aziende, perciò il sistema manca di flessibilità.
La cultura del posto di lavoro in Corea offre un lavoro sicuro e premia i lavoratori con promozioni automatiche per anzianità, più che per merito. Licenziare lavoratori con scarso rendimento è estremamente complicato, il che va a discapito della produttività e dell’efficienza. Il governo ha cercato di modificare le norme sul lavoro rendendole più flessibili, ma questo ha alimentato un’ondata di proteste e di scioperi in varie aziende, fra cui la Hyundai.
La Corea è in difficoltà anche per la rapida e pericolosa espansione dell’indebitamento delle famiglie, che oggi sono mediamente indebitate per il 60% del reddito. Le difficolta delle famiglie potrebbero portare a una crisi bancaria di proporzioni devastanti. In passato l’economia coreana ha dimostrato resilienza e buona capacità di adattamento, grazie a una cultura sociale improntata alla disciplina e al pronto intervento. Questa volta, però, la congiuntura dell’economia globale è sfavorevole e i problemi sono di grandi proporzioni.
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