Gli attentati del 22 marzo a Bruxelles ci hanno colpiti ma non ci hanno stupiti: sapevamo che sarebbe successo, sappiamo che succederà di nuovo, prima o poi anche in Italia. Nel mondo contemporaneo, fatto di comunicazioni istantanee, trasporti di massa, economie e culture interconnesse ad ogni livello, ogni gruppo di interesse, ogni rivalità locale si estende ad altre regioni e continenti, contagia cerchie più ampie di popolazioni. In questo processo l’obbiettivo dei conflitti e degli atti terroristici assume decine di declinazioni diverse, spesso in contrasto fra loro, perché la rozza e semplicistica ideologia su cui si basa il terrorismo può adattarsi a ogni scopo, laico o religioso, economico o militare, politico o sociale. E gli ‘amici’ di oggi possono diventare i feroci nemici di domani, senza bisogno di cambiar ideologia.
Per potersi difendere in tale situazione è essenziale capire chi sono i vari gruppi di terroristi, per quale scopo e con quali metodi agiscono. Generalizzare, cercar di identificare una volta per tutte amici e nemici, buoni o cattivi, sarebbe una gran stupidaggine. Si tratta di una lunga guerra di intelligence e di prevenzione, che dobbiamo condurre con precisione professionale.
Si guardi ad esempio ai molti attentati che hanno colpito la Turchia negli ultimi sei mesi: hanno almeno tre matrici diverse e tre gruppi di interesse diversi alle spalle. Gli attentati dell’ISIS colpiscono sempre soft targets, cioè aree frequentate da turisti, studenti, gente comune. Mirano a far il massimo di impressione, a intimidire e angosciare le persone comuni che conducono una vita comune: sono una forma di propaganda più che di guerriglia. Gli attentati terroristici compiuti da gruppi curdi legati al PKK tendono invece a colpire stazioni di polizia, complessi amministrativi, persino strutture dell’esercito: sono una forma di guerriglia contro le strutture del potere turco. Il terzo gruppo è il Fronte Marxista Rivoluzionario di Liberazione del Popolo, DHKP-C, un gruppetto sopravvissuto alla fine del comunismo globale. Conduce frequentemente assalti a mano armata su strade poco frequentate contro i mezzi della polizia, molto spesso per mano di donne. I tre gruppi non sono isolati, hanno contatti fra di loro, a volte si scambiano esplosivi e mezzi, ma ognuno mantiene il proprio modus operandi e i propri obbiettivi nel compiere attentati.
Anche gli attentati in Europa, da Charlie-Hebdo al Bataclan all’aeroporto di Bruxelles, non hanno la stessa matrice, non sono stati organizzati da uno stesso gruppo. In comune hanno la carne da macello, gli attentatori suicidi: immigrati islamici di seconda generazione, pienamente europei di diritto e di fatto, ma scontenti e radicalizzati, pronti a uccidere e farsi uccidere a comando. Dovremo avere programmi europei per prevenire la radicalizzazione di questi giovani islamici europei disadattati, ma l’intelligence deve conoscere e sorvegliare ogni diverso gruppo organizzatore, ogni diverso gruppo d’interesse, seguirne le tracce ovunque nel mondo, prevederne i probabili accordi operativi e le probabili rivalità. Soltanto con una tale accurata mappatura della realtà sarà possibile combattere il terrorismo e provvedere una buon livello di sicurezza alle nostre società libere e aperte.
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