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Il Sudan ospita 570 tribù, 57 gruppi etnici e quasi 60 movimenti separatisti. Subito dopo l’indipendenza nel 1956, la parte meridionale del paese prese le armi contro il governo di Khartoum per protestare contro la povertà, la sottorappresentazione politica e il proselitismo islamico forzato. Nel 2011, dopo decenni di conflitti etnici e religiosi, il Sud Sudan si è staccato ufficialmente, diventando un altro stato sovrano.
Anni prima era scoppiato un conflitto armato tra beduini nomadi arabi e tribù africane stanziali nel Darfur, la regione occidentale del Sudan che si estende ai confini tra Libia e Ciad. La ribellione era dovuta alle politiche razziste perseguite dall'ex presidente Omar al-Bashir contro le tribù non arabe. L'esercito sudanese subì pesanti sconfitte, soprattutto a el-Fasher, capitale del Darfur settentrionale. Al-Bashir, presidente del Sudan, rispose armando milizie arabe di beduini e pastori, note come Janjaweed, per fiancheggiare l'esercito nel contrastare i ribelli che chiedevano un federalismo esteso.
I Janjaweed commisero atrocità contro i civili africani: uccisioni di massa, stupri diffusi e lo sfollamento di centinaia di migliaia di residenti. Conquistarono la regione ricca di oro conosciuta come Jebel Amer, garantendo così al loro leader indipendenza finanziaria e una crescente influenza. Nel 2013 al-Bashir riuscì a trasformare i Janjaweed in una forza regolare chiamata Rapid Support Forces e affidò il controllo del gruppo a un ex pastore di cammelli, Mohammed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto come Hemedti. Ma le RSF rimasero fedeli a Hemedti, non ad al-Bashir, così divennero un esercito ben equipaggiato, finanziato in modo indipendente dal contrabbando di oro. Hemedti divenne l'uomo più ricco del Sudan, stringendo un'alleanza con il suo principale partner commerciale: gli Emirati Arabi Uniti. Da allora, Hemedti si è assicurato il potere in cambio dell'attuazione della politica emiratina volta a espandere l'influenza degli Emirati Arabi Uniti in Africa.
Il momento di svolta per le RSF arrivò nel 2015. Alcune unità parteciparono alla coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita in Yemen e ricevettero in cambio generosi finanziamenti da Riyadh e Abu Dhabi. L'esercito sudanese regolare cominciò a nutrire forti sospetti nei confronti della RSF. Nel 2019 al-Bashir fu destituito da un colpo di stato militare e Hemedti divenne uno dei vicepresidenti del Consiglio di Sovranità Transitoria. L'altro vicepresidente era il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, il Generale Abdel Fattah al-Burhan. I due formarono una difficile alleanza, ma le tensioni aumentarono e sfociarono in una guerra civile che continua ancora oggi.
Di fatto il Sudan è già diviso in quattro regioni, ma quasi certamente si sgretolerà ulteriormente. L'accordo di pace di Juba del 2020 prevedeva la divisione del Sudan in tre stati semi-indipendenti – Darfur, Kordofan del Sud e Nilo Azzurro – oltre agli stati controllati dal governo centrale di Khartoum a nord, centro ed est. Il piano, supervisionato dagli Emirati Arabi Uniti, è fallito.
Dalla Primavera Araba in poi gli Emirati Arabi Uniti hanno condotto una campagna controrivoluzionaria in tutto il mondo arabo, finanziando colpi di stato, armando milizie e alimentando guerre per procura. La loro politica estera si basa sul sabotaggio preventivo per sventare le rivolte. Il sostegno degli Emirati Arabi Uniti alle RSF è innegabile: i loro veicoli di trasporto sono di fabbricazione emiratina, equipaggiati con motori britannici. Il flusso di armi dagli Emirati verso la RSF dal Ciad e dalle regioni orientali della Libia è controllato dal Generale Khalifa Haftar, così come mercenari, droni avanzati di fabbricazione cinese, armi leggere, mitragliatrici pesanti, veicoli corazzati, artiglieria da campagna e da mortaio.
La guerra in Sudan è uno dei conflitti più sanguinosi e non è più soltanto un conflitto interno: è diventata un'arena aperta per l'intervento straniero. Complesse alleanze regionali alimentano la violenza contro i civili e aprono la strada alla frammentazione della regione. Il fatto che Hemedti si presenti come il nemico giurato delle forze di ispirazione islamista (jihadista) lo allinea alle politiche degli Emirati Arabi Uniti, che cercano attivamente di frenare l'influenza dei Jihadisti in tutti i paesi arabi.
A marzo 2025 l'esercito sudanese regolare, con l'aiuto dei Fratelli Musulmani, ha preso il controllo di Khartoum ed espulso le RSF, provocando l'ira degli Emirati Arabi Uniti. I Fratelli Musulmani hanno dichiarato di voler far risorgere il Califfato su tutto il mondo islamico, partendo da Khartoum. Due giorni dopo la riconquista di Khartoum il generale al-Burhan si è recato in Arabia Saudita per incontrare il principe ereditario Mohammed bin Salman. La visita ha evidenziato la profonda frattura tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti in merito all'influenza sulla regione del Mar Rosso. L'instabilità lungo il Mar Rosso rappresenta una minaccia diretta per la Vision 2030 e il progetto NEOM dell'Arabia Saudita, nonché per il suo terminal di Yanbu, che mira a diversificare le rotte di esportazione del petrolio lontano dallo Stretto di Hormuz. La politica degli Emirati minaccia anche gli investimenti vitali dell'Arabia Saudita (paese desertico) nei grandi progetti agricoli del Sudan, che sono un pilastro delle relazioni bilaterali. Lo sceicco emiratino Mohammed bin Zayed Al Nahyan ha già investito in 500 chilometri quadrati di terreni agricoli in Sudan e intende acquistarne altri 1620 chilometri quadrati, per garantire la sicurezza alimentare degli Emirati. Un progetto infrastrutturale intende collegare queste aree al porto di Abu Amama, a nord di Port Sudan, costruito dagli Emirati Arabi Uniti per 6 miliardi di dollari. Il progetto agricolo lascia il 35% dei ricavi al governo sudanese in cambio del controllo completo dell'impresa da parte di Abu Dhabi. Ma dal 2021 al-Burhan sostiene che l'accordo non rende giustizia al Sudan. Il rifiuto di al-Burhan ha indotto l’Emiro ad ampliare il sostegno a Hemedti per smantellare lo stato sudanese.
Diversi attori locali, regionali e internazionali sono intervenuti nella guerra civile sudanese: Turchia, Qatar, Egitto, Arabia Saudita, Iran e Russia sostengono l'esercito regolare, mentre Emirati Arabi Uniti, Kenya e Ciad sostengono le RSF. I paesi che sostengono l'esercito sudanese sono in disaccordo su diverse questioni regionali, ma tutti vogliono frenare la rapida crescita dell'influenza degli Emirati Arabi Uniti in Yemen, nel Corno d'Africa, in Sudan e in altre parti del continente. Molti in Medio Oriente e in Africa considerano gli Emirati Arabi Uniti un pericolo grave. Per diversificare la propria economia gli Emirati Arabi Uniti stanno ora cercando di acquisire un'importante miniera di rame in Zambia.
In sostanza, gli Emirati Arabi Uniti vogliono dominare il mercato alimentare in Medio Oriente e in Africa ed avere una quota rilevante nel mercato delle materie prime, il che richiede il controllo sui porti lungo la costa del Mar Rosso e in generale dei paesi africani più ricchi di risorse. Aspirano a costruire una rete marittima che superi quella dell'Impero omanita, che fiorì nel XVIII e XIX secolo.
Molti oggi chiamano Abu Dhabi la Piccola Sparta, per le sue ambizioni imperiali. Riconoscendo il ruolo svolto dagli espatriati sudanesi nello sviluppo di Abu Dhabi, il precedente Emiro era solito affermare di voler rendere Abu Dhabi simile a Khartoum, apprezzandone la bellezza e l'architettura. Ma ora suo figlio ha lasciato Khartoum in rovina.
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