Si avvicinano le vacanze, tempo per la lettura. Vi invito a leggere Il grande frastuono di Roy Chen (Giuntina 2025) e i due volumi di Zhang Jie: ‘Senza parole’ (Salani editore 2008) e ‘Anni di buio’ (Salani editore 2010). I due scrittori narrano le storie di tre generazioni di donne, storie che in larga parte coprono lo stesso periodo storico, dalla Guerra Mondiale sino ai tempi attuali, ma in due parti diverse del mondo: in Israele e in Cina.
La trilogia di Zhang Jie, morta nel 2022, ha base autobiografica. Entrambe le narrazioni ci mostrano come nonna madre e figlia vivano o rivivano una stessa storia, quasi come incarnazioni diverse di una stessa anima che sperimenta la vita in modi diversi. È un tema che Roy Chen presenta e affronta in tutte le sue opere, o per lo meno in quelle che ho potuto leggere perché tradotte in italiano.
Gli stili narrativi di Roy Chen e di Zhang Jie sono però molto diversi - non a caso, penso. Rivelano, secondo me, il diverso carattere di due civiltà che radicano la morale pubblica e privata in principi profondamente diversi.
Ho riletto recentemente Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Il futuro geopolitico del pianeta, di Francis Fukuyama, per rivedere come Fukuyama suddivide, elenca e descrive le diverse civiltà. Il suo elenco di civiltà diverse a me non pare affatto convincente. Neppure a Fukuyama stesso, a dire il vero. Asserisce che le civiltà sono la forma più duratura di associazione fra le persone, che costituiscono la struttura primaria dei principi sui quali ogni generazione successiva condensa le proprie riflessioni. Quindi inizia a riassumere la storia di come le civiltà si sono autodefinite, a iniziare dagli Ateniesi, osservando ripetutamente che l’unico elemento sicuramente alla base di ogni civiltà è la religione. Anche lingua e razza sono spesso elementi di base delle diverse civiltà, ma non sempre - la religione invece sì.
La mia ormai lunghissima esperienza di vita, di studio e di lavoro mi ha portata a convincermi che la differenza primaria fra le diverse civiltà del globo è fra quelle che credono che la Verità e la Legge di Dio possano essere rivelate e scritte in linguaggio umano, e quelle che credono che una o più potenze sovrannaturali conferiscano misticamente il potere di gestire la realtà ‘sotto il cielo’ ad alcune persone e/o dinastie, ma senza rivelazione scritta. Costoro accettano il potere così come è, valutandone soltanto i risultati di lungo periodo. Finché i popoli credono che il potere sia gestito legittimamente, perché i risultati non portano catastrofi, sentono il dovere morale di obbedire al potere centrale. Perciò le dinastie ed i sistemi sociali sono molto stabili, non crollano dall’interno, finiscono col soccombere soltanto per attacchi esterni. Quando crolla una dinastia e ne sale al potere un’altra, anche la storia ricomincia, si ricominciano a contare gli anni da zero. Inizia l’era di nuove leggi.
Gli Ebrei non furono i primi a concepire la presenza di un’unica potenza creatrice e normatrice nell’ universo, cioè di un Dio unico, ma furono il primo popolo a credere che Dio avesse rivelato la Sua Legge a un uomo, Mosè, incidendola in parte sulla pietra. Una Legge scritta, tassativa. Poiché più alta autorità non poteva darsi, tutti avrebbero dovuto osservare la Legge, che sarebbe stata la base legittima del potere sempre e ovunque, garantendo la salvezza dell’umanità. Invece sappiamo come andò la storia: quando la Legge divina fu rivelata agli umani sotto forma di parole, non soltanto orali ma anche scritte, proprio allora divenne questione del tutto umana. I testi ebraici tramandano le discussioni fra le grandi scuole rabbiniche circa l’interpretazione e l’applicazione della Legge. Nel I secolo avanti Cristo le grandi scuole erano quella di Hillel e quella di Shammai. È scritto che durante una disputa lo stesso Dio fece udire la Sua voce a favore di una delle due tesi (quella di Hillel, se ricordo bene). L’altro rabbino però obbiettò che Dio aveva consegnato e affidato la Legge agli uomini sul Monte Sinai, dunque ora quella Legge era degli uomini e Dio non poteva essere accettato come testimone in una disputa interpretativa fra uomini. Dio doveva mantenere il proprio posto al di sopra delle parti, che diamine! Anche la controparte accettò quel punto di vista e la testimonianza di Dio venne ricusata. Paradossalmente la laicità della Legge deriva proprio dal suo essere verità rivelata da Dio sotto forma di parole! Parlare di laicità della legge in Cina o in India non significa nulla, perché non esiste l’idea che la Legge divina sia contenibile e rivelabile in linguaggio umano, dunque leggibile in un testo.
Sappiamo come è proseguita la storia. Per poter divenire la base indiscutibile del potere imperiale romano la Legge di Dio dovette essere nuovamente rivelata (nel Nuovo Testamento) direttamente da Dio, sceso in terra sotto forma di uomo in carne e ossa, chiamato Gesù. La nuova Rivelazione assegnava a pochi eletti il potere di interpretazione e applicazione e al Papa il potere unico di imporre le interpretazioni sotto forma di dogma. Si fece iniziare ex novo il tempo della storia e l’adozione della Legge dalla nascita di Gesù.
Nel 610 dopo Cristo in Arabia Maometto si proclamò ultimo e definitivo Profeta cui Dio aveva direttamente rivelato l’ultimo aggiornamento della Sua Legge, poi ratificata nel Corano e circa 500 anni più tardi dichiarata non interpretabile. Si fece iniziare ex novo il tempo della storia e l’adozione della Legge dall’inizio della predicazione di Maometto.
Nel XVI secolo Lutero e i Germanici si ribellarono al potere papale e proclamarono che tutti avevano il diritto di leggere e interpretare la Legge sia del Vecchio che del Nuovo Testamento. Da allora in poi la grande fioritura di Chiese Riformate, in guerra fra di loro per secoli, è paragonabile soltanto alla grande fioritura di Comunità ebraiche riformate e/o di diversa ortodossia in varie parti del mondo, che però non si mossero mai guerra perché non avevano nessun potere temporale da gestire. Le altre religioni del Libro, che avevano l’interesse primario di legittimare e gestire il potere temporale, hanno sempre visto la libertà di interpretazione e di pensiero degli Ebrei, detentori della prima Rivelazione scritta, come il maggior pericolo per la legittimità del proprio potere. Questa è la radice primaria dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo, ormai di millenaria durata.
L’inarrestabile interpretabilità della Rivelazione sotto forma di Parola ha fatto sì che anche i popoli che si sono dati le Religioni del Libro finissero col giustificare la legittimità del potere in base ai risultati dell’esercizio del potere stesso? No, perché le popolazioni hanno continuato – e continuano- a credere nell’esistenza della Verità, della Legge universale sotto forma di Logos, anche se non necessariamente nell’ interpretazione delle singole chiese. Se la Verità assoluta esiste ed è comprensibile in linguaggio umano, è primo dovere di ogni essere umano continuare e cercarla, a pensarla, ad attuarla. Questa fede ha forgiato la morale individuale e pubblica dei Popoli del Libro. Fukuyama, come molti altri, sottolinea il fatto che tutte le ideologie politiche e sociali della storia moderna, dal nazionalismo al razzismo, dal comunismo ai diritti universali dell’Uomo, dallo scientismo all’ecologismo, si sono sviluppate in Occidente e di lì si sono espanse nel resto del mondo. La perdita di fede nelle singole rivelazioni scritte non ci ha fatto perdere la fede nell’esistenza della Verità, né la necessità morale di continuare a cercarla, assumendoci il rischio di pensare e agire con responsabilità-libertà personale. Quanto sia forte e peculiare questa nostra caratteristica lo scopriamo soltanto vivendo e lavorando presso altre popolazioni, portatrici di altre grandi e antichissime civiltà, in Asia.
La grande differenza fra ‘noi’ e ‘loro’ si coglie bene nella letteratura, in particolare nelle due trilogie al femminile di Roy Chen e di Zhang Jie, scrittori che appartengono entrambi alla grande cultura comune delle élites globali del nuovo millennio.
Il ‘grande frastuono’ nella narrazione di Roy Chen è nella testa e nel cuore di ognuna delle tre donne e si rivela attraverso il flusso impetuoso del dialogo interiore di ognuna delle tre protagoniste, alle prese con la propria storia personale e con gli avvenimenti. Le donne di Roy parlano costantemente a sé stesse, ragionano, scelgono di agire o non agire, modificano il corso della propria azione in base all’andamento di questo tumultuoso e inarrestabile dialogo interiore. Emettono dentro di sé valutazioni e giudizi che rimettono in discussione e modificano nell’arco di breve tempo, pur rimanendo profondamente se stesse. Sono in perenne ricerca della verità, dibattendo aspramente e liberamente con stesse. Comportamento tipico della società ebraica, in particolar modo della società israeliana.
Le donne di Zhang Jie narrano di sé e della società cinese dall’esterno, in modo fattuale, con toni pacati. Non c’è ribellione, non c’è giudizio apertamente espresso. La trilogia è ai nostri occhi una denuncia del potere, ma non lo è formalmente né stilisticamente. Madre figlia e nipote sono impegnate allo stremo per la sopravvivenza e utilizzano i pochi interstizi lasciati liberi da un potere esterno onnipervasivo. Rivelano le loro emozioni soltanto nella contemplazione e descrizione di paesaggi naturali onirici, a macchie sfumate, come negli inchiostri classici cinesi. Hanno un forte senso del valore della vita, che il potere mette e rimette a repentaglio, ma si astengono dal giudizio e dalla ribellione. Anche le donne israeliane hanno forte il valore della vita, ma attribuiscono a sé stesse, soltanto a sé stesse, il diritto e il dovere di salvaguardarla secondo le proprie convinzioni, anche contro i poteri esterni.
Ritengo che le guerre siano sempre causate da squilibri geopolitici che generano paure e strategie di difesa e di attacco fra popolazioni e strutture di potere contigue geograficamente e appartenenti alla stessa sfera di civiltà. Penso che i popoli la cui civiltà è radicata nella convinzione che la Verità e la Legge universale possano essere razionalmente definite in linguaggi umani siano molto più inclini a credere in ideologie salvifiche e siano più ribelli e più bellicosi di quelli che credono che il potere legittimi sé stesso. Per questo motivo credo che per lungo tempo ancora dovremo preoccuparci molto di più degli scontri con/ fra popoli a noi vicini, piuttosto che di scontri fra gli egemoni globali.
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