L’Unione Europea ripensa la politica africana

22/04/2025

Dalla fine del periodo coloniale in poi gli Europei hanno sviluppato in Africa una politica di promozione di valori condivisi e di aiuti allo sviluppo, in parte sotto la spinta dei sensi di colpa, in parte per prevenire la migrazione di massa e creare mercati con cui commerciare. L'Unione Europea ha fornito donazioni finanziarie ai governi africani per creare sviluppo, mentre il sostegno politico ed economico è stato gestito direttamente dalle ex potenze coloniali. L’Europa fornisce anche sostegno militare in Africa, ma in modo indiretto, con missioni di addestramento che hanno rigide regole di ingaggio e generalmente prevedono aiuti non letali. Per l'Europa i principi operativi sono il rafforzamento delle capacità, l'assistenza allo sviluppo e i valori condivisi.

Ma le circostanze stanno cambiando rapidamente e i paesi occidentali sono costretti a riconsiderare l’approccio all'Africa. Gli USA hanno smantellato l’USAID, il maggior fornitore di aiuti a livello globale, lasciando un vuoto enorme che Bruxelles si chiede se e come colmare. Come l’Europa, anche gli Stati Uniti hanno lavorato sino a ieri in Africa per promuovere la buona governance, lo stato di diritto, il rispetto dei diritti umani, lo sviluppo sostenibile, la parità di genere, l'istruzione, la gestione delle migrazioni e la tecnologia verde. Ora Washington ha dichiarato che questa politica è stata fallimentare.

L’Europa non può più permettersi di restare in disparte, soprattutto perché sono a rischio le catene di approvvigionamento essenziali. L'European critical raw minerals act, approvato dalla Commissione Europea nel 2023, mira alla resilienza delle catene di approvvigionamento e a un certo grado di autosufficienza. Poiché le riserve di alcune materie prime strategiche non sono sufficienti, l'Europa deve stringere partnership di estrazione e lavorazione con altri paesi. I paesi africani hanno molti di questi minerali essenziali e hanno già accordi di fornitura con numerose terze parti, soprattutto con la Cina.

Pechino è attiva in Africa da anni ed è riuscita ad assicurarsi accordi minerari e accesso alle materie prime in cambio di infrastrutture. Ora anche Russia, Turchia, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, India e persino gli Stati Uniti stanno cercando di entrare nel mercato e ritagliarsi una propria quota. Ci sono molti modi per farlo: corruzione di funzionari, accordi infrastrutturali unilaterali, promesse di protezione del regime – nessuno dei quali è in linea con i valori professati dall’Europa. Ciò significa che Bruxelles ha ormai poco spazio sul mercato per garantire catene di approvvigionamento resilienti.

C’è poi la questione migratoria. In seguito alla crisi della metà degli anni 2010, l'Europa ha esternalizzato agli stati nordafricani gran parte della protezione delle sue frontiere dall’immigrazione illegale. Gli elettori all'interno dell'UE erano più che disposti a spendere soldi per raggiungere questo obiettivo. La politica è stata efficace, quindi sarà difficile per i governi convincere gli elettori che è necessario continuare a spendere soldi per una crisi che non esiste più. Man mano che si esauriranno i fondi, la crisi migratoria tornerà ad impennarsi.

C’è poi da considerare il drammatico fallimento della politica francese in Africa. Parigi è stata di fatto il leader della politica estera dell'UE per l'Africa. Tuttavia una parte delle nazioni africane francofone hanno voltato le spalle alla Francia e si sono ora affidate all’aiuto militare dei Russi e /o alla politica di investimenti dei Cinesi.

L’Europa è consapevole di dover cambiare politica. Ne è esempio la Somalia. La Missione di transizione dell'Unione Africana in Somalia - finanziato in gran parte dall'UE e sostenuta dagli Stati Uniti – si è conclusa nel dicembre 2024 e il suo sostituto stenta ad attrarre nuovi finanziamenti, nonostante l'avanzata del gruppo islamista al-Shabaab verso la capitale Mogadiscio. L'Unione Europea ha rifiutato di rinnovare l’aiuto. Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto, lo spazio è piuttosto affollato. La Turchia e gli Emirati Arabi Uniti competono tra loro in Somalia per imporre la propria influenza. Entrambi i paesi pagano gli stipendi di alcune forze armate e un'unità militare privata turca nota come SADAT addestra le forze speciali somale. La Turchia trae vantaggio dall'accordo ottenendo accesso favorevole ai mercati somali e contratti a lungo termine su petrolio e gas. Nonostante la sua generosità, l'UE non ricava alcun vantaggio dagli aiuti.

Un altro esempio è il Sahel. Attraverso vari meccanismi (la Politica di sicurezza e di difesa comune, il Fondo europeo per la pace e il G5 Sahel) nel decennio 2014-2024 Bruxelles ha speso più di 10 miliardi di dollari in missioni diplomatiche e di sicurezza. Il risultato è stato l’arresto dell'avanzata dei gruppi jihadisti e la presa del potere da parte di giunte militari che hanno subito arrestato ogni riforma della governance e si sono rivolte alla Russia per la propria sicurezza. Ora la Russia estrae risorse minerarie in cambio della sicurezza dei regimi. Tutti i finanziamenti stanziati dagli Europei per la democratizzazione e la costruzione dello Stato sembrano ora vani, con i gruppi jihadisti che tornano ad espandersi e uccidono i civili.

Un esempio dei dilemmi dell’Europa in Africa è la Repubblica Democratica del Congo. Il governo di Kinshasa è incapace di controllare tutto il territorio nazionale. Il vicino Ruanda è da tempo accusato di sostenere il gruppo ribelle noto come M23 nel Congo orientale, area ricca di minerali essenziali, dove il governo centrale ha una presenza molto limitata. Il Ruanda è partner dei paesi occidentali nel garantire la sicurezza regionale, il che spiega perché le forze armate ruandesi sono relativamente forti e disciplinate. La Cina gestisce molte delle miniere di terre rare e di minerali essenziali del Congo: il 100 percento di tutto il cobalto e il 65 percento del rame del Congo sono destinati alla Cina. Gli accordi sono stati firmati in cambio della promessa di investimenti infrastrutturali. In vista delle elezioni del 2023, il presidente congolese Felix Tshisekedi ha affermato che gli accordi dovevano essere rinegoziati perché la Cina ne stava traendo vantaggi notevolmente maggiori rispetto al Congo, ma poi questi discorsi sono stati abbandonati. L’UE ha condannato il coinvolgimento del Ruanda nel conflitto e ha preso in considerazione l’imposizione di sanzioni. Ma se il Ruanda non sarà più in grado di vendere minerali essenziali all'UE, avrà a disposizione molti altri potenziali acquirenti. L'anno scorso l'UE ha promesso al Ruanda circa 935 milioni di dollari in cambio dell'accesso ai minerali, tra cui stagno, tungsteno e oro. Mentre l'Europa tentenna sugli ideali democratici, il governo degli Stati Uniti sta cercando di negoziare con il Ruanda un accordo di sicurezza in cambio di minerali, tramite un appaltatore di sicurezza privato (guidato dal fondatore di Blackwater, Erik Prince). Anche la Russia e gli stati del Golfo offrono servizi simili. Questa situazione lascia l'Europa isolata, incapace di garantirsi l'accesso alle materie prime su cui si basano la sua industria high-tech e la sua transizione verde.

 

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