Dobbiamo aver il coraggio di pronunciare la parola guerra, e di pensarla. È meglio essere coscienti che siamo nella zona in cui si propagano le onde d’urto di una guerra a noi vicinissima, in cui saremo necessariamente coinvolti, poco o tanto. È una guerra fondata su un’ideologia millenarista e salvifica, che travolge il mondo islamico in una serie di guerre civili e di vendette truculente, ma minaccia esplicitamente anche noi per incuterci terrore, per impedire che ostacoliamo il possibile trionfo dell’islamismo radicale. Non soltanto le milizie del Califfato sono a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste, ma all’interno dell’Europa e dell’Italia un numero imprecisato di giovani, fanatizzati dalla propaganda ideologica, sono pronti a colpire. Non costituiscono un vero pericolo per le nostre istituzioni, ma sono sufficienti a farci percepire il rischio di essere uccisi in metropolitana, in un museo, per la strada, affaccendati nelle nostre occupazioni giornaliere – oppure in vacanza. È bene che capiamo di che tipo di pericolo si tratta, perché è per sua natura di lunga durata. Come il nazismo e il comunismo, l’islamismo continuerà a trovare nuovi guerrieri finché non sarà o radicalmente sconfitto sul campo in una guerra che coinvolgerà metà globo, oppure si dimostrerà incapace di migliorare le società in cui avrà la vittoria, e si consumerà dall’interno.
L’islamismo ha vinto per la prima volta in Iran – in campo sciita – nel 1979. Poi le milizie armate islamiste sunnite hanno vinto contro i Sovietici in Afghanistan negli anni ’80. Da allora Iran e Pakistan, Arabia Saudita e Iraq, Siria e Libia hanno alimentato, sostenuto e riccamente finanziato gruppi diversi di islamisti radicali, sempre più fanatici e sempre più armati, sperando di strumentalizzarli e usarli in proprio favore. Così il mondo islamico è diventato tutto terra di guerra civile, eccetto l’Iran, dove gli ayatollah governano col terrore da decenni, reprimendo sul nascere ogni dissenso, eccetto il Marocco e la Giordania, dove le monarchie riescono a mantenere il favore dell’opinione pubblica senza ricorrere al terrore, ed eccetto l’Arabia Saudita, dove la monarchia riesce a distribuire gli enormi proventi del petrolio in modo da tenere tutti tranquilli. Gli altri paesi sono tutti, in misura minore o maggiore, travagliati da attacchi terroristici frequenti e diffusi, o da vere e proprie guerre civili.
Che fare? Gli Stati Uniti di Obama hanno dapprima scommesso sulla possibilità di de-radicalizzare gli islamisti sunniti: sia la tattica del tribal awakening del generale Petraeus, sia il discorso di Obama al Cairo furono chiari segnali di apertura all’islamismo sunnita, quello propugnato dai Fratelli Musulmani, nella speranza di de-radicalizzarlo e renderlo più tollerante. Visto il fallimento di questo approccio, gli USA ora puntano sulla normalizzazione dei rapporti con l’Iran, nella speranza che combatta ovunque sul campo gli islamisti radicali sunniti, tenendoli impegnati in una lunga guerra di logoramento reciproco, in modo che non abbiano abbastanza forze da rivolgere contro l’Occidente. È una scommessa rischiosa: se non dovesse riuscire, potrebbe rafforzare anziché indebolire il radicalismo armato. Per gli Stati Uniti la scommessa è razionale: sono abbastanza lontani dall’epicentro dell’islamismo da temerne poco la guerra. Per noi che ci estendiamo nel Mediterraneo il pericolo di trovarci con la guerra in casa è invece molto più alto.
Per capire la natura delle ideologie politiche millenariste consigliamo la lettura del saggio di Luciano Pellicani ‘Dall’Apocalisse alla Rivoluzione’, che è ormai un classico sull’argomento.
Consigliamo anche la visione dei nostri video sull’argomento (parte I e parte II).
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