Contrariamente alla generalità degli altri saggisti, in ‘Le virtù del nazionalismo’ Hazony presenta il pungiglione negli ultimi tre brevi capitoletti. Parte dalla constatazione che il paradigma con cui gli occidentali colti guardano a Israele è cambiato nell’ultima generazione. Quale è il vecchio paradigma? E qual è il nuovo su cui si è assestata l’arena internazionale? Ecco i punti del discorso di Hazony:
- Il moderno stato di Israele è stato fondato in quanto stato nazionale, frutto cioè di una teoria politica risalente agli albori della modernità, che riconosce la libertà delle nazioni di rivendicare e difendere la loro indipendenza rispetto agli appetiti ferini degli imperi internazionali.
- Dopo aver brevemente riassunto il percorso attraverso il quale si sviluppò il concetto ed il diritto dello stato nazione, dal tardo 1500 fino al 1950 circa, Hazony nota che durante la Guerra fredda gli stati nazionali europei si schierarono attorno ai due poli USA e URSS, due potenze imperiali – per quanto non ufficialmente definiti ‘imperi’- basate su forti ideologie universalistiche. Durante la Guerra fredda in Europa collassò la fiducia negli stati nazionali. L’imperialismo germanico nazista venne re-interpretato come una fatale evoluzione del nazionalismo (cosa che non fu - fu uno dei ripetuti tentativi di ricreare l’impero germanico in Europa condotti dal 1870 in poi. Basta andare al Museo del nazismo a Norimberga perché questo appaia immediatamente lampante).
- Con la costituzione dell’Unione Europea negli anni 1990, ‘le nazioni d’Europa radicarono un nuovo paradigma, secondo cui il singolo stato nazionale indipendente non è più ritenuto in grado di far progredire il bene dell’umanità’, mentre ‘un impero multinazionale, in cui J. S. Mill ravvisò la quintessenza stessa del dispotismo, veniva additato sempre più, e con eccezionale trasporto, come modello per l’umanità post nazionale’. Perché? Sappiamo che ‘L’unificazione delle nazioni sotto un imperatore tedesco, sacro e romano, e sotto un’unica Chiesa universale corrisponde a un antico sogno europeo’, scrive Hazony. Infatti, aggiungo io, fin dal 2003 molti commentatori e geopolitici anglosassoni interpretarono l’Unione Europea come la realizzazione di un informale impero tedesco in Europa – finalmente senza colpo ferire, con il consenso degli altri popoli. Così videro l’Unione Europea gli Inglesi che votarono a favore di Brexit. Così la videro i Russi che si affrettarono ad avanzare in Crimea, in Georgia, poi nel Donbass ucraino, per riconquistare quelli che ritenevano territori indispensabili all’Impero che la Russia doveva affrettarsi a ricostituire in Europa orientale, per non ritrovarsi troppo debole e troppo vicina al cuore del nuovo ‘impero germanico’ d’Europa.
Hazony vede le radici del rinnovato sogno germanico di universalismo e di impero nella filosofia kantiana. Nel 1795 Immanuel Kant pubblicò ‘Per la pace perpetua. Un progetto filosofico’, in cui equiparava l’autodeterminazione dei popoli all’anarchia dei popoli selvaggi che ‘si attaccano alla loro libertà senza legge’ e auspicava la creazione di una civitas gentium, uno stato internazionale, dotato di leggi coercitive, che dovrà continuare ad estendersi fino ad accorpare tutti i popoli della terra. Questa doveva essere, per Kant, la marcia dell’umanità verso la ragione. Sappiamo che anche i nazisti sostenevano di difendere e instaurare in Europa la civiltà della ragione, credevano di ‘dover‘ uccidere i deboli e i ‘degenerati’ fisici e morali per il bene dell’umanità. Per innumerevoli anni il paradigma kantiano, che imputava un’intrinseca immoralità agli stati nazionali, trovò pochi adepti in Europa.
Soltanto dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando molti intellettuali presero a considerare (erroneamente) il nazismo e la guerra come una degenerazione del nazionalismo, i popoli d’Europa lentamente abbandonarono il paradigma che vede nello stato nazionale la base della libertà e della democrazia. Ora assistiamo alla crescita di una generazione di giovani che, per la prima volta in oltre 400 anni, vede nello stato nazionale un male.
Questo cambio di paradigma impatta grandemente sul giudizio che si dà su Auschwitz e su Israele.
Per la grande maggioranza degli ebrei, Auschwitz ha in significato preciso: più di metà degli ebrei del mondo furono uccisi perché non avevano la protezione di uno stato e di un esercito. Nessuno combatté per difenderli, neppure fra coloro che combatterono Hitler. Nessuno li accettò come profughi, nessuno ‘sprecò’ energie per bombardare le linee ferroviarie che trasportavano gli ebrei alla morte. Disse Ben Gurion all’Assemblea nazionale egli Ebrei di Palestina nel novembre 1942: ‘ noi siamo l’unico popolo al mondo di cui è permesso, in quanto nazione, liberamente versare il sangue… ma per un’unica colpa: perché gli ebrei non hanno alcun peso politico, non hanno un esercito ebraico, non dispongono di un’indipendenza ebraica… Noi rivendichiamo il diritto a una madrepatria e all’indipendenza… Quanto è accaduto in Polonia… è l’olocausto di un popolo senza patria.’
Anche per moltissimi europei Auschwitz è il cuore della lezione appresa con la Seconda guerra mondiale’ dice Hazony (pag. 287). Tuttavia le conclusioni tratte dagli Europei sono esattamente opposte a quelle tratte dagli ebrei’. Dal loro punto di vista, i campi di sterminio forniscono la prova definitiva del male insito nel permettere alle nazioni di decidere autonomamente di come disporre della forza militare in loro possesso. Dunque la risposta ad Auschwitz non è Israele, ma è l’Unione Europea.
Paradigma A: Auschwitz rappresenta l’indicibile orrore delle donne e degli uomini ebrei, indifesi e ignudi, costretti a veder morire i propri figli senza poter impugnare un’arma per difenderli
Paradigma B: Auschwitz rappresenta l’indicibile orrore dei soldati tedeschi che usano la propria forza contro altri, esclusivamente in nome delle opinioni del loro governo circa i diritti e gli interessi nazionali (pag. 288)
Si tratta di due opinioni talmente diverse che non sembrano neppure descrivere gli stessi fatti! Applicando i due paradigmi alla prospettiva con cui si guarda a Israele, ne conseguono opinioni ancora più spaventosamente contrastanti. Eccole:
Paradigma A: Israele rappresenta donne e uomini ebrei, dotati di armi, che sorvegliano e proteggono i loro bambini e, con loro, tutti i bambini ebrei. Israele è l’opposto di Auschwitz.
Paradigma B: Israele rappresenta l’indicibile orrore dei soldati ebrei che usano la loro forza contro altri, esclusivamente in ragione delle opinioni del loro governo circa i propri diritti e interessi nazionale. Israele è Auschwitz (pag 289)
È esattamente questo che riposa sotto il contemporaneo sfrenato disprezzo nutrito da molti contro Israele, specialmente quando si tratta di qualchecosa che abbia a che fare con l’autodifesa israeliana. In Europa - e ovunque il nuovo paradigma abbia attecchito - questo è il motivo per cui si sente così frequentemente il paragone fra Israele e il nazismo, per quanto assurdo possa sembrare. Si noti che Hazony scriveva questo saggio cinque anni prima del 7 ottobre e della guerra di Gaza, in un periodo in cui Israele era in pace con i vicini, stringeva accordi nella regione, era un faro di sviluppo culturale e scientifico. Eppure le accuse di ‘nazismo’ erano quotidiane e crescenti.
Nell’ultimo capitolo Hazony si chiede perché le atrocità perpetrate dal ‘Terzo Mondo’ e dall’Islam passano sotto silenzio in quella stessa Europa, o in quelle stesse organizzazioni sovranazionali pronte a condannare Israele a ogni passo. E risponde ricorrendo di nuovo a Kant, che in ‘Idea per una storia universale in una prospettiva cosmopolitica’ (1784) scriveva che i popoli abbandonano lo stadio di ferinità e raggiungono la civilizzazione quando costituiscono gli stati nazionali, ma raggiungono la maturità etica soltanto con la sottomissione allo stato federale universale. La maturità etica corrisponderebbe dunque alla rinuncia al proprio giudizio circa ciò che è giusto e al proprio potere di agire al servizio di ciò che riteniamo giusto, osserva Hazony. Gli Occidentali che ritengono morale soltanto la forma di stato sovranazionale non si indignano per le guerre e le stragi condotte da quei popoli che non ritengono ancora culturalmente ed eticamente ‘maturi’, cioè per un malcelato e spesso inconsapevole disprezzo nei loro confronti. Pensano che, come i bambini, non sappiano e non possano ancora fare le scelte ‘giuste’. Soltanto gli Ebrei, che rappresentano una delle massime espressioni della civiltà europea meritano invece il giudizio più severo e più duro.
Si noti come l’idea che l’evoluzione storica e culturale dell’umanità debba razionalmente portare alla civitas gentium e allo stato etico universale sia - ahimè - terribilmente simile alla visione millenarista della storia, che ipotizza il regno finale del Bene dopo perduranti lotte fra forze buone e forze malvage. Furono visioni millenariste sia il nazismo, sia il comunismo, entrambe ideologie assassine, come tutte le ideologie totalitarie. Hazony ci spiega che anche il razionalismo, se applicato alle istituzioni di potere, è un’ideologia totalitaria, potenzialmente assassina. Il razionalismo politico non è da confondersi con il razionalismo scientifico, che è empirico, si nutre di dubbio e di sperimentazione. Il razionalismo politico sostituisce la Ragione a Dio, non è empirismo, non è dubbio programmatico.
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