La politica estera dell'amministrazione Trump si basa sul presupposto che alleati e partner assumano la guida della sicurezza nelle proprie regioni. In Medio Oriente questa responsabilità ricade principalmente su Turchia e Arabia Saudita, le due principali potenze sunnite, ma di etnia e lingua diverse. I due stati sembrano al momento allineati, ma sono in concorrenza per l’egemonia regionale. La loro capacità di collaborare dipende non solo dalle relazioni bilaterali, ma anche da quelle con Israele e Iran. Il principale teatro di collaborazione-competizione oggi è la Siria, che è diventata il centro di gravità regionale dopo la caduta del regime di Assad a dicembre 2024. Anche l’'Iran, benché espulso dal Levante, non abbandona la sua politica di espansione egemonica e rimane trincerato al confine orientale della Siria, in Iraq. Nel frattempo Israele ha istituito una zona cuscinetto militare oltre le alture del Golan, al confine con la Siria.
In una conferenza stampa congiunta a Damasco il 31 maggio, il ministro degli Esteri saudita ha annunciato che Arabia Saudita e Qatar finanzieranno congiuntamente gli stipendi dei dipendenti statali siriani. I due Paesi avevano già anticipato un pagamento di 15 milioni di dollari alla Banca Mondiale a favore della Siria. Una settimana prima, il 24 maggio, il presidente siriano Ahmed al-Sharaa aveva effettuato una visita a sorpresa al presidente turco Recep Tayyip Erdogan, per esprimere pubblicamente l’interesse della Siria a costruire una "profonda cooperazione strategica" con Ankara. Pochi giorni prima aveva incontrato a Riyadh il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.
L'Arabia Saudita, in quanto principale produttore ed esportatore mondiale di petrolio, detiene un immenso potere finanziario ma è priva di capacità militare. La Turchia, con il secondo maggior esercito NATO e un'industria della difesa in crescita, soffre di instabilità economica, ed elevata inflazione. Nessuna delle due potenze può plasmare la regione da sola, il che le costringe a una cooperazione tattica, almeno nel breve termine.
Entrambe le nazioni attraversano trasformazioni interne di lungo periodo. Sotto Mohammed Bin Salman l'Arabia Saudita sta rapidamente evolvendo da culla del salafismo – la forma più austera dell'Islam sunnita – a stato moderno. La Turchia ha trascorso quasi vent’anni in un continuo mutamento sotto la guida di Erdogan. Il paese ha abbandonato l’orientamento occidentale e persegue una politica di influenza sul mondo arabo, sui paesi dell’Asia Centrale e sulle regioni musulmane in genere. Ora la popolarità di Erdogan e del suo partito politico è scemata, sollevando interrogativi sul futuro del sistema politico turco nell'era post-Erdogan.
La rivalità tra Arabia Saudita e Turchia ha radici storiche di lunga durata. La fondazione del primo stato saudita nel 1744 rappresentò la sfida interna più seria che l'Impero Ottomano dovette affrontare dal mondo arabo, perdendo il controllo delle città sante islamiche di Mecca e Medina. In risposta, le forze egiziane sostenute dagli ottomani smantellarono il regime saudita nel 1818. I Sauditi tornarono in auge nel 1824 con il secondo regno saudita, che gli Ottomani sconfissero nel 1891 sostenendo una tribù araba rivale. La Prima Guerra Mondiale portò al crollo dell'Impero Ottomano, durato 623 anni, e offrì ai Sauditi l'opportunità di instaurare il loro terzo regime, l’attuale Regno dell'Arabia Saudita.
Per gran parte del XX secolo, la Repubblica di Turchia e il Regno dell'Arabia Saudita si svilupparono in modo isolato l'uno dall'altro. La Turchia era uno stato laico radicale, che si considerava parte dell'Occidente. Il suo unico interesse in Medio Oriente era la questione del separatismo curdo. L'Arabia Saudita era una monarchia profondamente religiosa ma filo-occidentale e negli anni '40 divenne un importante esportatore di petrolio. L’unico denominatore comune dei due paesi era l’alleanza con gli Stati Uniti, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi.
Dopo l'implosione dell'Unione Sovietica, entrambi i paesi dovettero affrontare la sfida dell'islamismo jihadista: al Quaeda in Arabia e i jihadisti affiliati ai Fratelli Mussulmani in Turchia. Le reazioni al sorgere dell’islamismo radicale hanno impresso ai due Paesi evoluzioni in direzioni divergenti: l’Arabia Saudita verso la modernizzazione, la Turchia verso l’abbandono della laicità delle istituzioni.
Turchia e Arabia temono entrambe l’espansione iraniana, ma si temono anche a vicenda. Il cambio di regime in Siria mette ora a grande prova la loro possibilità di cooperazione congiunta. L'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti in questo momento cooperano per impedire alla Turchia di dominare la Siria post-Assad, dimostrando di essere gli unici a poter finanziare la ricostruzione della Siria. Quando occorrerà trovare un accordo di cooperazione per gestire anche le conseguenze del conflitto fra Gaza ed Israele, le divergenze potrebbero rivelarsi ben più aspre e più difficili da colmare.
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