Da Attila a Trump, la storia secondo Mackinder
Parte prima – Premessa

08/05/2025

Sir Halford John Mackinder, geografo, è considerato il fondatore della geopolitica come scienza, ma è stato molto di più. L’importanza del suo contributo per capire i motori della ‘grande storia’ è paragonabile all’importanza del suo contemporaneo Freud per la comprensione dei motori delle storie personali.

Per capire l’apporto di Mackinder è utile una premessa che elenchi brevemente i concetti attualmente condivisi dall’insieme delle scienze umane (antropologia, archeologia, sociologia…) riguardo all’origine e all’evoluzione dei gruppi umani, e all’identificazione dei ‘motori’ che li spingono ad agire collettivamente. All’interno di questa cornice potremo poi inserire l’apporto di Mackinder.

Chiedersi che cosa innesca e determina le decisioni di azione dei gruppi umani equivale a chiedersi ‘quali sono i motori della storia’? Ecco le risposte date dalle varie scienze umane negli ultimi 150 anni. I motori dell’agire personale e collettivo degli umani sono tre: necessità, curiosità, paura:

  • la necessità di cercare, trovare, produrre quanto necessario a sopravvivere
  • la curiosità di esplorare, conoscere, capire il mondo che ci circonda
  • la paura di essere assaliti, derubati delle risorse necessarie per vivere, feriti o uccisi, ridotti in schiavitù.

Per soddisfare le nostre necessità e curiosità e acquietare le nostre paure ci è necessario vivere e agire in gruppo, perché soli non possiamo sopravvivere. I piccoli gruppi famigliari agiscono insieme alle altre famiglie della tribù, le diverse tribù formano alleanze di clan…, e così via fino alla creazione degli stati.

Per vivere e agire in gruppo è però necessario concordare complesse regole di comportamento. Il vivere insieme con regole comuni, su di uno stesso territorio di cui si condividono le risorse, condividendo il lavoro e la difesa dai pericoli, alimenta il senso di appartenenza, il legame con l’ambiente umano e fisico cui apparteniamo o che ci appartiene. L’appartenenza è sempre un collegamento a doppia direzione, in cui le due carreggiate sono i diritti e i doveri reciproci.

L’appartenenza è anche amore. George Friedman dice che le azioni umane sono sempre sostenute da ‘love of one’s own’, l’amore per ciò che ci è proprio. Love of one’s own è il senso di identità condivisa, tanto più forte quanto più lunga e difficile è stata la condivisione dello stesso destino, sullo stesso territorio, seguendo le stesse norme sociali.

Il territorio è una variabile importante dell’identità di gruppo. Tutti sappiamo che le caratteristiche delle comunità alpine sono diverse da quelle delle comunità marinare, non soltanto per gli aspetti esteriori. I modi specifici in cui ogni popolazione si procura il cibo, si difende, esplora altri territori o mari, si dà regole sociali e morali, cioè tutto ciò che chiamiamo cultura, varia col variare della posizione geografica e delle caratteristiche fisiche del territorio. In qualunque regione del mondo, però, regole sociali e morali e senso di appartenenza sono forgiate, mantenute e rafforzate attraverso miti di fondazione, narrazioni che attribuiscono al gruppo antichi progenitori comuni, eroici e protettivi, figli di dei o comunque dotati di poteri sovrannaturali.

Questi miti sono costantemente rievocati in grandi riti e cerimonie collettive in cui vengono costantemente ribaditi i valori comuni la cui origine si fa risalire all’esplicita volontà dell’ente sovrannaturale che è nostro protettore. Così il mito diventa re-ligione, cioè legame che unisce fra di loro i membri del gruppo e lega il gruppo al territorio in cui si è rivelato l’eroe o il semidio protettore. Le religioni diventano la forza che unifica e traina i popoli all’azione comune, lo strumento per forgiarne l’identità, legittimare il potere di imporre regole, giudicare chi le viola, esigere tasse e imporre lavori per organizzare la difesa comune del territorio, dei beni, delle persone. Legittima anche l’indicazione dei potenziali nemici come portatori del MALE metafisico, in quanto sostenuti da potenze sovrannaturali nemiche di quelle che sostengono noi.

Le religioni creano e offrono l’aspettativa di salvezza al gruppo, seguendo un sistema di regole; diventano il nucleo di ogni cultura nazionale, la base morale e il modello di ogni altra ideologia, incluse quelle anticlericali, quelle razziste, quelle comuniste, quelle sataniche, quelle salutiste… tutte ideologie salvifiche. Ogni ideologia, seppur banale, presenta le caratteristiche delle religioni, soprattutto le riunioni e i riti collettivi.

Le civiltà si suddividono tradizionalmente su base religiosa. Ogni civiltà pone sé stessa come il centro spirituale e territoriale della storia. Noi tutti siamo consapevoli del valore spirituale simbolico di luoghi quali Gerusalemme, Bisanzio, Roma, La Mecca…

Ogni cultura interpreta ideologicamente l’evoluzione degli eventi. Ma le ristrette classi dirigenti che hanno concrete responsabilità di comando militare e politico sono sempre state educate a ragionare, pianificare e agire in termini di posizioni di potenza o vantaggio, e capacità di controllo del territorio e delle sue risorse

Chiunque abbia responsabilità di gestione della res pubblica pianifica le azioni in termini di potere, oppure sparisce rapidamente dalla scena. Per mantenere il potere occorre non soltanto costruirlo, ma prevenire costantemente la possibilità che altri possano distruggere il nostro potere, diventando più potenti di noi. I politici locali si preoccupano di non venir scalzati in Comune o in Regione. I politici nazionali si preoccupano di non venire scalzati nel parlamento o nel governo

Gli statisti, cioè i membri del gruppo dirigente che esprime i capi dello stato, dovrebbero lasciar fare tutto ciò ai sottoposti o sodali e non farsi invischiare a fondo in questioni locali, giacché LO STATO ha ISTITUZIONI, e le istituzioni hanno lo scopo e l’obbligo di prevenire, giudicare e superare i pericoli interni, indipendentemente dall’azione del Capo di Stato. Se costituzione e istituzioni sono stati correttamente ideate, gli statisti dovrebbero avere soltanto responsabilità strategiche di medio-lungo periodo.

Gli statisti dovrebbero aver come scopo lo sviluppo della potenza complessiva dello stato (o nazione) e la prevenzione dello sviluppo di forze esterne che in futuro potrebbero attaccare e sottomettere – o distruggere stato e nazione. Questi sono sempre stati gli obbiettivi degli statisti. Tutti conosciamo il martellante ammonimento di Catone circa 150 anni avanti Cristo: Carthago delenda est… Perché Catone temeva Cartagine e non Gerusalemme, ad esempio? Perché Cartagine era molto più vicina ed aveva tantissime colonie nel Mediterraneo. Per una questione geografica, dunque.

Gli statisti dovrebbero conoscere bene la geografia e capire la geostoria. Per geostoria si intende la visione e interpretazione della storia umana (di conseguenza anche della politica) su base geografica globale, non su base ideologica, né con visione esclusivamente locale. Studiando la geostoria occorre chiedersi: in che cosa consiste il potere di una nazione o di uno stato, o di un impero sovranazionale?

 

Tre sono gli elementi del potere:
1) la demografia. Non si costruiscono grandi infrastrutture, non si occupano territori, non si difendono i confini con una piccola popolazione
2) l’autonomia di approvvigionamento e la capacità di produzione di risorse, cioè un’economia che ha pieno accesso a tutte le risorse utili alla vita, e le sa sia produrre sia trasformare
3) la tecnologia più avanzata per mantenere validi sistemi di difesa non soltanto del territorio, ma anche dei mari e dei cieli. La tecnologia evolve, chi rimane in arretrato è destinato a soccombere. La cavalleria, ad esempio, ha quasi sempre vinto contro la fanteria, finché cannoni e mitragliatrici l’hanno resa obsoleta.
 

Per mantenere uno stato libero e forte è necessario trovarsi sempre in vantaggio sui vicini potenzialmente ostili:

  • in vantaggio tecnico qualitativo e quantitativo di armamenti e di mezzi di trasporto,
  • in vantaggio per confini geograficamente ben definiti e facili da difendere,
  • in vantaggio economico per riuscire a sostenere sul lungo tempo sia il vantaggio demografico sia quello militare

Tutti i grandi eventi storici sono marcati da guerre, rivoluzioni, vittorie, sconfitte. Tutti gli stati esistenti al mondo sono frutto di una serie di guerre e di rivoluzioni armate, che ne hanno determinato sia i confini sia le istituzioni e le costituzioni. Eppure la storia è quasi sempre narrata e interpretata da intellettuali e chierici, per lo più in termini morali e ideologici, perché questo serve al mantenimento della coesione interna. Ma non serve molto alla comprensione degli eventi.

Soltanto la chiara visione geografica dell’intero globo raggiunta nel corso del 1800 ha reso possibile riconoscere schemi ricorrenti nella storia d’Eurasia, legati alla geografia del territorio. Lo fece per primo Sir Halford Mackinder, che nel 1904 pubblicò su The Geographical Journal un saggio dal titolo The geographical pivot of history (il perno geografico della storia), che portò a una grande svolta del pensiero storico e strategico in tutto il mondo anglosassone.

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