Il proliferare del jihadismo radicale, di Tarek Heggy
Il combustibile dell’Islam intollerante
Molti attribuiscono l’attuale diffondersi dell’estremismo religioso a fattori esterni, come l’incitamento e i finanziamenti stranieri ai movimenti estremisti. Questa attribuzione è estremamente pericolosa perché, presentando la questione dell’estremismo religioso come un problema di sicurezza, lo si esclude dal campo dei problemi suscettibili di soluzioni politiche. Coloro che frettolosamente puntano un dito accusatore verso forze esterne dovrebbero capire che un paese aperto alla tolleranza sociale, alla fraternità e alla pace non sarebbe stato vulnerabile ad interferenze esterne, e questo significa che fattori locali devono aver creato un clima favorevole percheé tali tentativi avessero successo.
A. Oppressione politica
Negli ultimi decenni, molte società nel mondo islamico sono state soggette a diversi tipi di governo dispotico. Questo in molti casi ha condotto a una spirale discendente. Fra i molti effetti negativi dell’oppressione politica il più pericolosoè il blocco della mobilità sociale, nel senso che esso limita per i cittadini più qualificati la possibilità di salire a posizioni di comando in vari campi. Persone mediocri arrivano ad occupare posizioni di vertice accettando e sostenendo l’oppressione, mostrando una lealtà incondizionata ai loro superiori. La mancanza di mobilità sociale distrugge la competenza ad ogni livello. La mancanza di competenza a sua volta produce il collasso di tutte le istituzioni e una diffusa mediocrità diviene la norma. Questo a sua volta genera una potente energia negativa, vale a dire la disperazione e la rabbia, di cui si nutre la mentalità violenta. Questa mentalità porta alla svalutazione della vita umana, propria e altrui, e diffonde il desiderio di vendetta.
Per gli stessi meccanismi l’oppressione impedisce lo sviluppo della società civile, produce una generale incompetenza e divide la vita politica in due livelli:
- un livello alla luce del sole (che appartiene esclusivamente ai governanti e alle loro corti)
- un livello sotterraneo (che appartiene ai seguaci di Wahhabi, di Qutbi, o di altre simili versioni dell’islam che ricevono il migliore allenamento possibile a crescere nel segreto del sottosuolo)
Se si verificano cambiamenti che causano la caduta e la rimozione del despota in queste società (Suharto in Indonesia, Saddam Hussein in Iraq), allora emergono i sostenitori delle interpretazioni fanatiche dell’islam come uniche forze politiche esistenti, proponendosi come salvatori. Tuttavia essi porteranno le loro società più profondamente nel sottosviluppo, distanziandole ancora di più dall’età moderna e sprofondandole ancora di più nei problemi sociali. Molte persone si ingannano pensando che questi fanatici siano il solo potere politico prodotto da queste società. Ma come ho spiegato, qui nasce la confusione: questo stato di cose è prodotto dai governanti dispotici e dai loro regimi autocratici che uccidono la mobilità sociale.
Una buona domanda è: perché questo è il solo modello che emerge ogni qualvolta cade un regime oppressivo in un paese musulmano o arabo? La risposta è semplice: questo è il risultato della diffusa disperazione di chi vive sotto un regime autocratico che non permette attività politiche alla luce del sole, per cui le sole organizzazioni che possono sopravvivere nell’ombra sono quelle che operano nel sottosuolo. La cura deve partire dal primo anello della catena, non dall’ultimo. Le istituzioni educative e i media sono incapaci di riparare questo disastro, perché compromessi da una leadership incompetente.
B - Il wahhabismo e i valori tribali
Negli anni tra il 1967 e il 1973, studiando per una laurea in legge e per un master in diritto comparato, acquisii una rudimentale conoscenza dei principi della giurisprudenza islamica. Più tardi, mentre insegnavo all’università all’estero, incominciai a sviluppare una conoscenza più approfondita dell’argomento.
In breve capii che non abbiamo a che fare soltanto con un singolo modello di islam, ma con una moltitudine di interpretazioni di differenti scuole. I testi islamici sono suscettibili di diverse interpretazioni. Alcuni dei primi convertiti all’Islam ammisero qualcosa di simile mille e quattrocento anni fa quando dissero “Il Corano mostra molte facce”. Ancora, ciò che conta non è la scrittura o il testo, ma le persone che lo leggono, lo comprendono e lo presentano.
La pratica di affidarsi a un testo ignorando ogni altro aspetto è un processo distruttivo che si presta ad abusi. Non si può brandire un testo come rivelazione divina al di fuori dal suo contesto storico, umano e cronologico. Per esempio: le fonti della giurisprudenza e il numero degli hadith (detti) del Profeta variano molto da una scuola all’altra. Il grande giurista Abu Hanifah accettò appena un centinaio di precetti apostolici, mentre il teologo conservatore Ahmed Ibn-Hanbal ne accettò oltre dieci mila nel suo libro Al-Musnad. Così gli Hanafiti puntano sull’istihsan (letteralmente preferenza, che significa utilizzare poche tradizioni ed estrarre dal Corano ciò che è adatto alle loro idee), mentre i Malikiti si basano sull’istisiah (vantaggio pubblico). Quindi abbiamo quelli che insistono in una interpretazione dogmatica dei testi sacri e altri che, come Ibn Rushd, rifuggono da un’interpretazione restrittiva in favore del ragionamento deduttivo (al ta weel).
Anche quando si arriva al consumo delle bevande alcoliche, per esempio, abbiamo differenti opinioni. Mentre la maggior parte dei giuristi interpretano il testo che affronta l’argomento come se proibisse del tutto il bere, altri come Abu Hanifa credono che il divieto si applichi solo all’ubriachezza. Egli ha reso chiara la sua visione della questione nel seguente passaggio:
“Se il farlo mi precipitasse all’inferno non berrei. Ma anche se io fossi precipitato all’inferno, non definirei il bere peccaminoso”
Le radici del wahhabismo.
Fin dal primo secolo dell’era islamica l’islam ha conosciuto sette radicali che hanno chiesto ai fedeli cieca adesione alla loro rigida lettura degli articoli di fede, fianco a fianco all’islam maggioritario, i cui aderenti rifiutano la violenza e non sostengono di avere il monopolio della verità. Il fenomeno incominciò con l’emergere degli Al-Khawarij (scismatici) nel 660 d.c., a metà del primo secolo dall’ Hijra (il loro esito dottrinale più importante è la scuola di Abadeya, ancora prevalente in una piccola regione dell’Algeria e nella maggior parte del sultanato dell’Oman). Questa era una setta che predicava un’interpretazione dogmatica della scrittura e bollava come eretici coloro che non accettavano i suoi insegnamenti. Fu la prima di queste sette, ma non l’ultima.
Tra i primi vi fu Hamdan Ibn Qarmat, che rimosse la Pietra Nera della Ka’bah, e l’ultimo è l’uomo che ora si nasconde nelle caverene del Waziristan, Osama Bin Laden. Tra questi due vi è stato Sayed Qutb, che se ne uscì con una teoria che continuerà ad essere un muro che separa i musulmani dal resto dell’umanità e da ogni speranza di progresso finchè non sarà abbattuto. Conosciuta come “teoria del dominio divino”, postula che i mortali non sono governati dai mortali, ma da Dio. Chi, dunque, potreste giustamente chiedere, rende nota ai mortali la volontà di Dio ? La risposta, naturalmente, è“noi, gli ulema”! E’ una teoria che mantiene i musulmani ostaggi di una teocrazia sorpassata dalla marcia del progresso umano e li pone alla mercè di una struttura di potere dominata da una casta di chierici, nonostante il fatto che nella maggior parte delle dottrine musulmane non vi sia qualcosa come un clero islamico e una mediazione tra l’uomo e Dio.
A fianco dei gruppi e delle sette i cui membri insistevano su una interpretazione letterale dei testi sacri e stabilivano regole severe che governavano ogni aspetto delle vita, ci fu la tendenza generale rappresentata nelle maggiori scuole sunnite (le più importanti delle quali sono l’hanbalita, la malikita, la shafita e l’hanafita e le loro diramazioni iniziate da Al Laith e Al Tabari) così come negli sciiti, che sono divisi in numerose sette. La setta sciita più importante eè l’Imamiyah o Ithna’ashariyya , vale a dire i duodecimani, così chiamati perché riconoscono come imam il dodicesimo discendente di All Ibn –Abl Talib (secondo le loro credenze, il dodicesimo imam, che scomparve nell’847 d.c., è ancora vivo e ritornerà). E’ all’interno di questa tendenza generale che emersero i più eminenti sostenitori del ragionamento deduttivo, come il grande giurista Abu Hanifa, così come i campioni intransigenti della tradizione, come Ahmad Ibn-Hanbal.
Il conservatore Ibn-Hanbal funse da baluardo dell’ortodossia e della tradizione contro ogni sforzo intellettuale e per un certo periodo esercitò una considerevole presa sull’immaginazione del pubblico. La sua influenza alla fine calò, ma prima del declino che precedette la recente rinascita nel 1744 d.c., la tradizione regnava suprema e alla ragione veniva lasciato uno spazio molto ristretto. I due maggiori discepoli di Ibn –Hanbal furono Ibn.Taymiyah e Ibn-Qaiym A-Jawzweya, che, come il loro mentore, non accordavano nulla alla ragione o al pensiero indipendente, ma insistevano in una aderenza dogmatica agli hadith come fonte autorevole in ogni materia spirituale e temporale, stabilendo severe linee guida per governare ogni aspetto della vita quotidiana.
Inoltre il mondo dell’islam fu lo scenario di una battaglia di idee tra Abu Hamid Al-Ghazali (Algazel), un rigido tradizionalista che non credeva alla capacità della mente umana di afferrare la verità decretata da Dio, e Ibn Rushd (Averroè), che difese il primato della ragione.
Gli esponenti di queste due scuole combatterono un’aspra battaglia nella quale i primi colpi furono sparati da Al-Ghazali con il suo libro “L’incoerenza dei filosofi” (Tahafut al-Falasifah). Ibn Rushd rispose con il suo brillante trattato in difesa della razionalità “L’Incoerenza dell’Incoerenza” (Tahafut Al Tahafut). Ma a dispetto della sua ispirata difesa, l’esito della battaglia fu chiaramente a favore di Al Ghazali, e la grande maggioranza dei giusristi islamici adottò le idee di quest’ultimo, e interpretò i precetti della legge islamica facendo appello all’autorità della tradizione e disprezzando del tutto la ragione deduttiva. La giurisprudenza islamica fu dominata dai mutakalimun che asserivano il primato della tradizione (naql) sulla ragione (aql), come sostenuto da Al-Ghazali contro Ibn Rushd.
Quando confronto alcune delle opera di Al-Ghazali – come “Il risveglio delle scienze religiose” (Ihya Ulum ad-Din), “Il Criterio della Conoscenza” (Mi’yar al- Elm) , “Il criterio del lavoro” (Mi’yar al-‘Amal), “Salvezza dalla Perdizione”, l’”Essenza dell’Ortodossia” (Al-Mustafa Min Elm al-Osoul) e “L’Incoerenza dei Filosofi” (Tahafut al-Falasifah), che chiaramente mancano di razionalità con gli scritti di Ibn Rashud come “La relazione della Legge religiosa con la filosofia” (Fasl alMaqal fi bayn al-Shari’awa al-hikma min al-Ittisal), La dottrina islamica e le sue prove (Al-Kashf `an Manahij al-Adilla fi `Aqa'id al-Milla), nei quali la razionalità regna suprema, sono meravigliato che la battaglia combattuta dieci secoli fa tra gli esponenti di queste due scuole possa essersi conclusa con una chiara vittoria di Al-Ghazali e una schiacciante sconfitta di Ibn Rushd. Da nessuna parte la differenza di approccio tra i due uomini è più evidente che nel lavoro cruciale menzionato sopra : “L’incoerenza dei filosofi” di Al Ghazali e “L’Incoerenza dell’Incoerenza “ di Ibn Rushd.
Per anni ho cercato di comprendere perchè i musulmani abbiano scelto di seguire la linea sostenuta da Abu Hamid Al-Ghazali, il sostenitore dell’ortodossia e della tradizione per il quale conoscenza significa soltanto conoscenza religiosa, che cancellò del tutto il ruolo della mente negando la possibilità di acquisire la conoscenza tramite l’intuizione, piuttosto che la linea sostenuta da Ibn Rushd, che sostenne il primato della ragione e sparse i semi di un rinascimento cui abbiamo rinunciato. Perché le idee di Al-Ghazali vennero accolte così prontamente, mentre quelle di Ibn Rushd vennero rifiutate? Credo che la risposta a questo paradosso possa essere sintetizzata in una parola: dispotismo. Sono anche stupito di come gli storici del pensiero islamico abbiano celato il fatto che Al-Ghazali sia stato sempre un sostenitore dei governanti dispotici, al contrario di Ibn Rushd, che fu costante fonte di irritazione per i tiranni determinati a mantenere i loro sudditi in uno stato di inerzia intellettuale, onde garantire la perpetuazione delle status quo ed evitare che la loro autorità venisse sfidata. In un periodo nel quale il dispotismo nella nostra parte del mondo era al suo culmine, non è sorprendente che i governanti musulmani abbiano trovato le idee di Al Ghazali più attraenti di quelle di Ibn Rushd. La linea ortodossa era anche più attraente per i loro sudditi che, sotto il giogo della tirannia, trovavano più sicuro e meno impegnativo assecondare le visione di chi non chiedeva loro altro che la sospensione delle loro facoltà critiche.
Il mondo musulmano è stato governato da despoti che non sopportavano nessuna sfida alla loro autorità e da una dirigenza religiosa altrettanto dispotica che ha screditato l’uso della ragione e ha richiesto un’adesione cieca all’autorità della tradizione. Le cose non sono però soltanto bianche o nere. E’ vero, i musulmani hanno perso un’opportunità storica di usare le idee di Ibn Rushd come un trampolino che li avrebbe messi su una via simile a quella che ha portato l’Europa dal pensiero oscurantista del XII secolo al vigoroso clima intellettuale che incoraggia il dibattito, il libero pensiero, la libertà nella letteratura, nelle arti e nelle scienze. E’ anche vero, però che i musulmani hanno conosciuto sia un islam che permetteva di accettare l’altro, sia un altro rigido, dottrinario, che reprime violentemente il libero pensiero. Il primo, che io chiamo “modello islamico turco- egiziano”, prevale nel clima intellettualmente più vibrante delle genti discendenti dalle antiche civiltà in luoghi come l’Egitto, l’Iraq, la Turchia e il Medio Oriente. Il secondo può essere descritto al meglio come il “modello beduino”, ed è stato esposto dalle sette segrete (limitate nel numero e nell’influenza) che emersero in aree remote della penisola araba nel momento dell’ascesa del wahhabismo, un movimento puritano di rinascita religiosa lanciato da Mohamed Ibn-Abdul Wahhab di Najd, che nacque nel 1703.
Anche se il primo modello di islam non può in nessun modo essere descritto come secolare, adotta un approccio illuminato alla religione, che ha a che fare con un sistema di credenze spirituali piuttosto che con un sistema che regola ogni aspetto della vita e le relazioni sociali. Anche se non si può affermare che abbia raggiunto il livello dell’illuminismo, il pensiero progressista e la libertà che caratterizzano le idee di Ibn Rushd è nondimeno un islam affabile e tollerante che può convivere con gli altri, e di fatto lo fa.
Il modello di islam beduino, completamente differente, ha preso forma tra le comunità geograficamente isolate che vivono lontano dalle coste e dunque dall’esposizione al resto del mondo. La loro insularità fornì un terreno di coltura ideale per le idee di Ibn Taymiyah, Ibn Qaiyim Al-Jawzeya e, intorno alla fine del diciottesimo secolo Mohamed Ibn-Abdul Wahhab.. Da allora questo modello si è trasformato in una potente ideologia grazie alla combinazione delle idee di Sayed Qutb (teorico dei Fratelli musulmani, sostenitore della lotta violenta al potere secolare, ndt), dei petrodollari e di una serie di errori da parte di attori internazionali. Un errore di questo tipo è ciò che accadde in Afghanistan alla fine degli anni 70. Un’altra fu la decisione malconsigliata del presidente Sadat di lasciare briglie sciolte ai gruppi islamici e considerarli alleati nella loro guerra contro la sinistra. Non sorprendentemente il colpo di stato fu orchestrato dal membro anziano del Fratelli Musulmani e loro portavoce, il ricco uomo d’affari e stretto confidente di Sadat, Osman Ahmad Osman.
La crescita del wahhabismo
L’uomo che fondò il wahhabismo non era un teologo, ma un propagandista determinato a convertire i fedeli alla sua dura versione dell’islam. Intellettualmente vicino ai teologi dialettici musulmani che asserivano il primato della tradizione (naql) sulla ragione (aql), Mohammed Ibn-Abdul Wahhab fu un discepolo di Ibn-Taymiyah, un rigido tradizionalista che accordava alla ragione e al pensiero indipendente un ruolo molto ridotto. Fu anche un prodotto del suo ambiente geografico, un remoto avamposto della storia. A differenza dell’Egitto, della Siria, del Libano, dell’Iraq e dello Yemen, dove fiorirono antiche civiltà che lasciarono il loro marchio nella storia dell’umanità, o di luoghi come lo al-Hijiaz e numerose città della costa del Golfo, che si trovano su vie di comunicazione e hanno importanti legami con il mondo esterno, il deserto di Najd nella regione orientale di quella che oggi è l’Arabia Saudita non ha una civilizzazione degna di nota prima dell’islam. Nè è diventata un centro culturale come le varie capitali del Califfato, Medina, Damasco, e Baghdad. Per via del suo paesaggio arido e sterile, la regione del Najd rimase culturalmente arretrata, il suo unico contributo all’arte è una forma di poesia tradizionale che tratta di materie strettamente tribali.
Nel 1744 Abdul Wahhab forgiò un’alleanza con il sovrano dell’Al-Dir’iyah, un capo tribale di nome Mohamed Ibn-Saud, che divenne suo genero. L’alleanza condusse alla prima incarnazione dello stato saudita, che, nel 1804, aveva esteso il proprio controllo su quasi un milione di metri quadri della penisola araba.
Un confronto tra i due modelli di islam era inevitabile e, nel secondo decennio del diciannovesimo secolo, si scontrarono sul campo di battaglia. Mohamed Ali, che fece entrare l’Egitto e l’intera regione nell’era moderna, inviò un enorme esercito nella penisola araba. Guidata prima dal figlio del sovrano egiziano, Tousson, poi dal giovane fratello di quest’ultimo, Ibrahim, l’esercito aveva come obiettivo la distruzione dello stato appena costituitosi nella provincia orientale della penisola araba. Basato nel Najd, lo stato era governato secondo la rigida interpretazione wahhabita dell’islam. Nel 1818, sotto il comando di Ibrahim Pasha, probabilmente il più grande dei figli del sovrano egiziano, l’esercito egiziano - e con esso il più illuminato modello turco-egiziano di islam - emerse vittorioso dallo scontro. Esso sconfisse il nemico, distrusse la sua capitale, Al-Die’iyah, e catturò i suoi leader, che vennero in seguito giustiziati a Istanbul. La decisione di Mohamed Ali di mandare prima suo figlio Tousson, seguito da suo figlio Ibrahim Pascià, conosciuto per le sue capacità militari, a distruggere il primo stato saudita, ebbe implicazioni che andarono molto al di là delle ambizioni politiche e militari di un singolo uomo. Fu di fatto l’espressione di in confronto culturale e di civiltà tra i due modelli di islam. Un confronto che l’illuminato modello turco- egiziano decise di portare nella roccaforte dell’ oscurantista, estremista e fanatico modello wahhabita. Mohammed Ali, che era estremamente colpito dal modello di sviluppo europeo e non vedeva contraddizione tra questo e le sue credenze islamiche, credeva che l’interpretazione wahhabita dell’islam fosse uno degli ostacoli principali sulla via del sogno - nutrito da quando giunse al potere nel 1805 fino all’abdicazione in favore di suo figlio Ibrahim bel 1848 - di collocare l’Egitto su una simile via di sviluppo. La versione principale, moderata, tollerante dell’islam, che accettava di coesistere in pace con gli altri e non era patologicamente avversa al progresso e alla modernità emerse vittoriosa dal suo scontro con le forze dell’oscurantismo, ma più tardi fu costretta a retrocedere in seguito ai fattori interni già menzionati, vale a dire l’oppressione, l’assenza di mobilità sociale, la diffusione dell’incompetenza, la disperazione, un sistema educativo superato e la corruzione.
Il collasso dell’Impero Ottomano dopo la prima guerra mondiale pose fine all’ascesa turca, mentre l’influenza egiziana diminuì in coincidenza con il declino dell’ economia e del sistema educativo. Nello stesso tempo i sostenitori del modello di islam che richiedeva una stretta aderenza alla lettera della scrittura e chiudeva la porta alla razionalità si trovarono improvvisamente a controllare una enorme ricchezza, senza precedenti nella storia (data dai giacimenti petroliferi, ndt). Questo diede ai Sauditi un enorme vantaggio sui loro rivali moderati e permise loro di estendere la loro influenza nella tradizionale roccaforte del modello turco-egiziano di islam, dove condussero una campagana sistematica pe cooptare personalità e istituzioni dell’establishment. Il successo di questa campagna trovòla sua espressione più saliente nell’emergere di movimenti fanatici come quello dei Talebani.
L’aspro e spietato ambiente del Najid spiega perchè Ibn-Abdul Wahhab vi trovò un pubblico recettivo al tipo di islam altrettanto aspro e spietato che predicava. Lo stesso ambiente che produsse il fondatore del wahhabismo, produsse più tardi il movimento radicale degli Ikhwan che sfidò l’autorità del Re Abdul Aziz Ibn-Saud. Negli anni 20 del Novecento il re si scontrò con gli Ikhwan, che apertamente lo accusarono di deviare dalla vera fede. Quando ritornò a Riyadh dopo aver unito l’Hijaz al suo regno, gli Ikhwan dissero che era partito su un cammello ed era tornato su una automobile americana! Questa fu solo uno di molti scrontri tra il movimento e il re su questioni come il decidere se la radio fosse peccaminosa e il telefono un’invenzione del diavolo: conflitti su ogni frutto della modernità che minacciasse la loro visione fondamentalista del mondo. Visione che può essere compresa soltanto studiando le sette segrete dell’islam e il messaggio di Mohamed Ibn- Abdul Wahhab, prodotto di molti fattori, incluso l’ambiente sociologico e geopolitico del deserto di Najd. Questi fattori permisero ai Wahhabiti, dopo l’invasione dell’Hijaz, di imporre la loro austera visione dell’Islam nella penisola araba. Tra le altre cose, essi proibirono le tombe e ogni struttura che identificasse siti di sepoltura. Combatterono il sufismo alla Mecca e ovunque, in quanto contrario all’insegnamento dell’islam. Giunsero anche allo scontro armato per il mahmal, una splendida lettiera decorata sulla quale gli egiziani inviavano ogni anno una nuova copertura per la Ka’bah. La cerimonia del mahmal era una felice occasione celebrata dagli egiziano con il loro tradizionale amore per la musica, la danza e la baldoria. Per i Najidi queste disdicevoli manifestazioni di frivolezza non potevano essere tollerate
Educazione difettosa
Il sistema educativo nella maggior parte delle societa islamiche e arabe incoraggia l’insularità e rafforza un senso di isolamento dal resto dell’umanità, promuove il fanatismo senza nessuna base scientifica, inserisce in uno schema religioso battaglie che sono esclusivamente politiche. Invocando testi religiosi fuori contesto, non solo promuove l’intolleranza, il rifiuto degli altri e una mancanza di fiducia nel pluralismo, ma consacra anche lo status di inferiorità della donna. Inoltre molti dei curricula di studio sono progettati per sviluppare una mentalità incentrata su risposte precostituite piuttosto che su domande, in un mondo in cui il progresso e lo sviluppo sono guidati da dinamiche di ricerca. Nella maggior parte delle società arabe e islamiche i programmi educativi falliscono l’obiettivo di instillare nelle menti dei giovani che il “progresso” è un processo umano, nel senso che il suo funzionamento non è nè orientale nè occidentale, ma universale. Questo è confermato dal fatto che la lista dei paesi più avanzati del mondo ne include alcuni che sono occidentali e cristiani, come gli gli Stati Uniti e l’Europa occidentale, e altri con un retroterra giapponese, cinese o musulmano (come la Malesia).
In una lezione che ho recentemente tenuto in una università britannica ho detto che negli anni sessanta ho letto la maggior parte dei classici, da Omero a Sartre, passando per centinaia di nomi, lingue e retaggi. Come molti dei miei contemporanei, ho letto questi lavori in arabo. L’accesso illimitato che avevamo allora ai classici della letteratura mondiale ci collegava all’umanità in un modo che è oggi inconcepibile per la scarsità di traduzioni nell’ambito culturale arabo e islamico
L’insegnamento religioso in Egitto
Secondo alcune statistiche un quarto degli iscritti nel sistema educativo egiziano oggi studia in istituzioni religiose collegate all’università Al-Azhar . Altre statistiche riducono il numero a un quinto, mentre una recente indagine lo fissa a non più di un sesto. Anche assumendo come corretta la stima di un sesto – vale a dire poco più del 16% - ciò significa che più di tre milioni di studenti ricevono tutta la loro educazione nelle istituzioni religiose. E il numero sale a quattro o cinque milioni se accettiamo le altre statistiche. Certo è che ci troviamo di fronte a un fenomeno che produrrà importanti conseguenze politiche e sociali e che dunque deve essere esaminato e analizzato da vicino.
L’enorme numero di istituzioni educative religiose che vediamo oggi è sorto per reazione a specifici problemi, come la mancanza di istituzioni educative facilmente raggiungibili dai bambini che vivono in piccole città o nei villaggi, e come rifugio educativo per gli allievi che, privi di mezzi materiali o di requisiti minimi di istruzione, non possono partecipare al sistema educativo generale. Il nostro approccio al problema dell’educazione è conseguente al nostro approccio a molte altre questioni. Abbiamo stabilito la rete di educazione religiosa come soluzione più semplice per i problemi delle classi sociali più basse e per i segmenti di società con minori abilità di apprendimento. Se è così, questo significa che da un punto di vista strategico stiamo immettendo un enorme numero dei membri più svantaggiati della società - economicamente, socialmente e in termini di abilità di apprendimento – in un sistema educativo religioso che sta assumendo proporzioni gigantesche. E l’abbiamo fatto senza considerare i risultati strategici – politici, economici, e sociali – di questa “soluzione” sul futuro della società..
Negli ultimi decenni la nostra società è stata spazzata da una potente onda di oscurantismo, come evidenziato dall’interpretazione primitiva ed arcaica della religione che è divenuta prevalente. Ancora nessuno sembra aver studiato la relazione tra quest’onda e le masse di membri svantaggiati della società, che sono, per ovvie ragioni, particolarmente vulnerabili al richiamo di una visione semplicistica della religione. Qualcuno dei nostri analisti strategici ha guardato al fenomeno da un’altra angolazione e si èchiesto quale effetto avrà sui settori scientifico, tecnologico, industriale e commerciale questo enorme numero di studenti egiziani iscritti negli istituti educativi religiosi ?
Ci si deve anche chiedere se si sia guardato alla questione dell’educazione religiosa in Egitto dalla prospettiva dei valori progressivi. I valori che promuovono il progresso formano parte dell’ethos di ogni società prospera. Tra i più importanti vi sono la fiducia nella diversità umana, il pluralismo, l’universalità della conoscenza e i diritti delle donne. I curricula di studio delle istituzioni educative legate all’università islamica Al-Azhar o sono totalmente privi di ogni tentativo di piantare i semi di questi valori nelle menti dei loro studenti, o promuovono di fatto valori opposti. E’ bene ricordare che il progresso è il risultato di un insieme di valori più che di risorse materiali.
Assenza di competenza.
Durante i quattro decenni passati, molti hanno scritto del fenomeno della crescente violenza in un grande numero di società islamiche e arabe. Abbastanza stranamente, nessuno di coloro che hanno scritto ha usato i termini “competente” o “incompetente” nelle sue analisi del fenomeno. Questo è altrettanto vero per eminenti professori in università di prima qualità come Samuel P.Huntington e Francis Fukuyama e per i media, che si sono impadroniti dei concetti huntingtoniani usandoli – e abusandone – in modo da trasformarli più o meno in slogan. Si tratta di un’omissione inesplicabile, specialmente per un manager come me, che sa che sa che i problemi sono creati dalla mancanza di competenza, mentre il successo in tutte le sue forme deriva dalla competenza. Credo che lo sconforto provato da tanti nelle società arabe e islamiche, il senso di vulnerabilità e disperazione che nutre la rabbia e la violenza derivi dal fatto che queste società sono governate da dirigenti selezionati non sulla base della loro competenza, ma della loro obbedienza e lealtà.
L’esempio dell’Egitto.
Le radici dell’estremismo religioso in Egitto derivano da tre fattori. Il primo è il duro trattamento riservato ai sostenitori della corrente islamica sotto il regime di Nasser. Fin da quando la disputa tra il regime e i Fratelli musulmani diede luogo a un conflitto aperto, il regime ricorse alla forza e alla tortura contro i membri del movimento. Questo accadde nel 1954 e nel 1965, quando lo scontro fu anche più duro. Certamente i metodi usati da Nasser contro le correnti islamiche, i cui membri furono perseguitati, imprigionati, esiliati e torturati, crearono generazioni di estremisti tra coloro che soffrirono per mano sua e tra i loro discendenti. Se non fossero stati schiacciati così duramente da Nasser probabilemente i Fratelli musulmani non avrebbero prodotto elementi così estremisti, reazionari e gretti come i militanti dei gruppi islamisti che vediamo oggi.
La seconda fonte dell’estremismo nell’odierno Egitto è la situazione socioeconomica prevalente. Molti fattori concorrono a creare il clima perfetto per l’estremismo e le tendenze totalitarie, sia verso la sinistra nei gruppi marxisti che verso la destra nel settarismo e nel dogmatismo religioso. Questi fattori sono: la povertà, il declino negli standard di vita, la comparsa di una minoranza molto ricca nota per i suoi cospicui consumi, i problemi laceranti della vita quotidiana e l’anarchia sociale da essi creata, così come una rottura nel sistema di valori della società, la pietra angolare sulla quale il sistema è costruito.
La terza fonte può essere attribuita a fattori esterni. L’Egitto è al centro di una tempesta di radicalismo che soffia da ogni direzione in Medio Oriente, specialmente dall’Iran e dal Libano, e il contagio è aiutato dai fondi stranieri e dalla propaganda. La protezione della società egiziana dal flagello dell’intervento e dei finanziamenti stranieri è naturalmente l’obiettivo delle forze di sicurezza. Ma per quanto sia importante il loro ruolo nell’ affrontare il fenomeno del fanatismo religioso, non possono eliminare le sue cause nè fermarlo.. L’unico rimedio appropriato è una combinazione di reale democrazia (che non sia esclusivamente di facciata) e di una ferma azione da parte di figure religiose eminenti che dovrebbero contenere il problema, non attizzare le fiamme dell’estremismo come molti fanno.
Lo scontro di civiltà. Vero o falso?
La mentalità della violenza prodotta da fattori interni è dunque una variabile che è emersa soltanto negli ultimi quattro decenni. La sua inclusione come una costante nel paradigma dello “scontro di civiltà” non è solo forzata, ma appartiene più al regno della fantascienza che all’analisi politica. Mi riferisco al famoso libro di Samuel P. Huntington, la cui teoria è strettamente connessa con la questione della mentalità violenta. Anche se non condivido i giudizi ostili contro l’autore, i suoi motivi e le intenzioni, comuni a varie parti del mondo arabo e islamico, trovo che il libro abbia tre grandi difetti. Il primo è che l’autore parla dell’islam come di un monolite, e come se il modello wahhabita fosse la sola versione dell’islam. Di fatto, come ho accennato, il wahhabismo non è stato la corrente maggioritaria nell’islam fino all’allenza tra Mohammed Ibn-Abdul Wahhab e Mohammed Ibn- Saud. Sarei disposto a condividere la maggior parte di ciò che Huntington ha scritto a proposito del probabile conflitto tra l’occidente e l’Islam se avesse utilizzato il termine “islam wahhabita” invece di Islam.
Il secondo difetto è che Huntington non presenta alcuna prova a sostegno della sua teoria di un imminente scontro tra l’occidente e quelle che chiama le società “confuciane”, rendendo tale teoria più simile alla narrativa che all’analisi politica.
Il terzo è che non ha dedicato abbastanza spazio nel suo libro al più grande conflitto nella storia dell’umanità, vale a dire la Seconda Guerra Mondiale, combattuta tra forze appartenenti alla comune civiltà occidentale. E’ stato anche un conflitto all’interno del mondo cristiano, tuttavia nessuno ha mai menzionato la religione come una causa di questo immenso conflitto, che è stato primariamente un conflitto tra il fascismo e le democrazie europee.
Per confutare la pretesa che i gruppi violenti e le tendenze che volgono le spalle alla modernità e chiedono un ritorno al Medio Evo siano i veri rappresentanti dell’Islam, basta considerare come funzionavano alcune delle principali società islamiche all’inizio del ventesimo secolo in paesi come l’Egitto, la Grande Siria (che all’epoca includeva il Libano) e la Turchia. Famose città cosmopolite come Alessandria, Beirut e il Cairo erano sede di un’ampia varietà di minoranze. Gli intellettuali traducevano Omero, il teatro greco, il meglio della letteratura europea e filosofi come Descartes, Rousseau, Diderot, Locke, Hobbes, Kant, Hegel, Schopenhauer e Nietzsche. Sebbene fossero in completa armonia con il progresso scientifico, filosofico e artistico, mantenevano la loro identità di Egiziani, Turchi e Siriani. Vi è stato un tempo nel quale i musulmani non vedevano contraddizione tra la loro fede religiosa e il loro entusiasmo per i frutti materiali e culturali della civiltà europea.
In breve, sotto l’Islam non wahhabita le comunità musulmane in Egitto, Siria, Libano e Turchia erano progressiste, in accordo con i tempi e vivevano in armonia con ampie comunità cristiane ed ebraiche. Al contrario, la versione najide dell’Islam incoraggia i suoi seguaci ad essere in costante contrasto con gli altri, con la loro epoca e con la modernità Nel wahhabismo la parola jihad è interpretata come se rendesse necessario impugnare sempre una spada; eppure l’islam maggioritario per secoli ha interpretato questa parola come se richiedesse ai musulmani di ricorrere alla forza soltanto per proteggersi da aggressioni esterne. L’islam maggioritario accetta anche che i musulmani si fondano con il resto dell’umanità, mentre il wahhabismo considera questa eventualità impossibile e inaccettabile.
Non è il sistema di credenze islamico che conduce inevitabilmente alla violenza e allo scontro con “l’altro”. La violenza e il fanatismo sono caratteristiche di una sola setta di frangia che fino a un secolo fa era di fatto sconosciuta fuori dal deserto del Najd. L’islam maggioritario non wahhabita ha prevalso nelle società islamiche fino a due sviluppi catastrofici che lo costrinsero a ritirarsi: il primo fu l’emergere dalle sabbie del deserto dell’islam violento; il secondo fu il declino degli standard di vita in molte società islamiche, che permise ad esso di diffondersi.
C Fattori esterni
Anche se penso che la mentalità violenta sia causata innanzitutto da fattori interni, credo anche che alla sua diffusione abbia contribuito un fattore esterno, vale a dire malaccorti tentativi da parte di alcuni di utilizzare per scopi politici le forze prodotte dalla mentalità violenta. Un esempio è il sostegno offerto all’inizio del ventesimo secolo da parte dell’Ufficio Indiano dei Servizi Segreti Britannici al gruppo che stava tentando di unificare la penisola araba sotto un sistema politico che basava la sua legittimità sull’interpretazione wahhabita dell’islam. Durante lo stesso periodo, l’Egitto vide un’alleanza tra i Britannici e la monarchia, nella quale entrambe le parti avevano interesse a creare un’entità politica in Egitto che basasse la sua popolarità sulla religione, per controbilanciare l’influente partito Wafd, che conduceva la battaglia per la costituzione, la vita parlamentare e l’indipendenza. Forgiata in segreto, l’alleanza è ora nota a chiunque studi la moderna storia dell’Egitto. Questo gioco fu ripetuto negli anni settanta in Egitto e poi dagli Stati Uniti in Afghanistan.
L’assassinio del presidente Sadat ad opera di un gruppo estremista fu una sveglia che avvertì il mondo della crescita e della diffusione del modello wahhabita di Islam, appoggiato dai Sauditi, e dell’indietreggiare del modello turco-egiziano. Una successione di eventi simili provò il pericoloso espandersi del wahhabismo nella maggior parte delle società con una maggioranza musulmana, come in Nigeria, Algeria, Egitto, penisola araba, Pakistan, Afghanistan e Indonesia.
Il mattino dell’11 settembre 2001 un gruppo di fanatici appartenenti alla versione wahhabita dell’islam, lanciarono l’attacco contro New York e Washington che dimostrò come i membri di questa setta vedono “l’altro” in generale e in particolare la civiltà occidentale.
D Ostacoli alla modernità
La mente araba e islamica pensa che la richiesta di progresso sia una richiesta di dipendenza dall’Occidente, quindi di perdita della specificità culturale. Ciò che esaspera la situazione è che molti arabi e musulmani sentono che i valori della civiltà occidentale sono solo per occidentali, e non per tutti. In realtà la modernizzazione è innanzitutto un fenomeno umano. La ricetta per il progresso non ha nazionalità o religione, come è confermato dai differenti retaggi culturali di società sviluppate come gli Stati Uniti, il Giappone, la Malesia, Taiwan e la Corea del Sud. Avendo applicato su larga scala le moderne tecniche di magement, so che esistono un management di successo e un management fallimentare, ma non ho conoscenza di un management arabo, cinese, africano o francese. Il Giappone si è sviluppato molto rapidamente negli ultimi cinquant’anni, ma la società giapponese, specialmente fuori dalla capitale, è ancora essenzialmente giapponese.
Nel rallentare il progresso, ai regimi oppressivi si unisce il cittadino che manca di ogni collegamento con il mondo esterno e che pensa che la modernità sia il rovescio della medaglia della dipendenza. Non crede che la democrazia sia un prodotto umano e un diritto umano e non una merce occidentale per occidentali e non capisce che la massima per la quale per ogni società va bene un certo tipo di democrazia è sbagliata. Mentre è vero che vi sono diverse forme di democrazia, è egualmente vero che tutte contengono dei meccanismi di controllo concepiti per fare dei governanti non i padroni della società, ma i suoi servi.
I musulmani commisero un grave errore contro se stessi e la propria religione quando chiusero le porte dell’ijtihad (interpretazione razionale) e fermarono la ricerca di nuovi concetti e soluzioni. Divennero soddisfatti della semplice emulazione e ripetizione di ciò che i loro antenati avevano prodotto, anche se queste soluzioni erano il rilsultato di un’era precedente e il frutto delle condizioni di un tempo passato. Pertanto i Musulmani stanno vivendo in uno status quo nel quale ruminano sul pensiero di altri uomini che svilupparono un sistema concettuale adatto al loro tempo, otto secoli fa. Gli attuali studiosi islamici leggono solo in arabo, non sono a conoscenza delle scienze moderne e si trovano in un ambiente sociale che impedisce loro di essere intellettualmente aperti alle innovazioni dell’umanitaà nei differenti campi delle scienze sociali e umane.
Abbiamo ora un terribile bisogno di una nuova generazione di studiosi, che possa comprendere le scienze, le culture e le conoscenze della nostra epoca altrettanto bene di come comprende il retaggio culturale dei primi musulmani. Settanta anni fa il grande imam di Al Azhar, Mustafà abd Al- Raziq, era un ex professore di filosofia in un’università. Quale università, potreste chiedere. Non l’università di Ryad o di Sana’a, ma la Sorbona.
Sono stato impegnato in incontri con numerosi studiosi del Vaticano. Provo sempre dispiacere e stupore perchè il Vaticano abbonda di uomini di religione con un bagaglio educativo e intellettuale così splendido nellediverse aree di competenze, mentre i nostri studiosi difficilmente conoscono qualchecosa dei grandi frutti della creatività umana in molte differenti branche delle scienze sociali e umane?
Abbiamo bisogno di una generazione di studiosi musulmani che abbiano studiato le altre religioni, la storia umana, la letteraturaa mondiale, la filosofia, la sociologia e la psicologia e possa parlare varie lingue, le lingue della civilizzazione. Finchè questo non accadrà, i nostri studiosi musulmani resteranno al loro livello di naiveté, superficialità e isolamento dalle vie della civilizzazione e dell’umanità.
In conclusione, così come siamo sottosviluppati in tutti i campi della scienza, siamo allo stesso modo sottosviluppati nella scienza della nostra stessa religione islamica. La nostra arretratezza nell’islam è la stessa che in medicina, in ingegneria, informatica e ricerca spaziale. Non siamo altro che “parassiti” dell’umanità. Persino le armi usate dalle milizie che si definisco jihadiste sono realizzate fuori dal mondo islamico.
Abbiamo bisogno di vedere l’emergere di una generazione di uomini di religione che combinino l’eccellenza nelle scienze islamiche con quella nelle scienze moderne. Senza questo, la distanza tra i musulmani e il progresso dell’umanità crescerà. Aumenteranno le campagne di critica contro di loro. Gli scontri tra l’Islam e l’Occidente, come ad esempio la guerra contro i Talebani in Afghanistan, potrebbero riprodursi. I Musulmani (o per essere più precisi, ampi settori della popolazione musulmana) diverrebbero il nemico primario della civiltà occidentale, se non dell’intera umanità
Istituzioni
Nonostante sia necessario, un simile sviluppo all’interno delle istituzioni religiose islamiche è molto improbabile. Le più grandi istituzioni islamiche nel mondo moderno, specialmente in Arabia Saudita e in Egitto, espellono chiunque richieda la riforma o il cambiamento più lieve. Se così è, che cosa ci si può aspettare quando si richiedono cambiamenti complessivi?
Una importante università islamica ha bandito il Dr. Ahmad Subhi Mansur per il suo rifiuto di riconoscere gli hadiths (detti) profetici come fonte dei principi giuridici. Abu Hanifah al-Nu’man, uno dei quattro grandi giuristi musulmani, si trovò nella stessa situazione del dottor Ahmad Subhi Mansur quando decise di riconoscere solo alcuni degli hadith profetici mentre gli altri giuristi li accettavano tutti. Alcune moderne università islamiche avrebbero reputato Abu Hanifah un “kafir”, (miscredente) nonostante il fatto che sia il primo dei quattro grandi giuristi islamici e che gli sia stato dato il titolo di “grande imam”. Realisticamente, le condizioni nelle istituzioni religiose islamiche odierne non permettono di produrre uomini della qualità di Abu Hanifa e Averroè. La lunga ricerca di un cambiamento nell’establisment islamico dipende ora da una dirigenza politica incline a una interpretazione razionale della storia. Sfortunatamente, queste qualità sono difficili da trovare all’interno della comunità islamica. Tuttavia dobbiamo cercare una leadeship politica che lavori per ottenere cambiamenti procedurali radicali all’interno della comunità accademica islamica, che abbia la volontà di portare questa comunità all’armonia con la scienza e il progresso dell’umanità. Senza questa forza guida, i musulmani sono destinati a un massiccio scontro con l’umanità che sarà altrettanto disastroso della collisione di due corpi celesti.
Traduzione: Fulvio Miceli
I vostri commenti
Per questo articolo non sono presenti commenti.
Lascia un commento
Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!
Accedi
Non sei ancora registrato?
Registrati