L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa?
di Philip Zimbardo

15/09/2014

L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa? è un volume di oltre 750 pagine che si leggono d’un fiato, tanto è appassionante la narrazione e l’argomentazione di Zimbardo.

La domanda ‘cattivi si diventa?’ fa da contraltare alla convinzione degli studiosi di antropologia bio-fisica del tardo ‘800, che gli uomini possono essere ‘delinquenti nati’, e che chi è buono o malvagio per una parte della vita tale è tutta la vita, perché l’attitudine alla mitezza o alla violenza è una attitudine personale che non varia.

Per investigare l’influsso del sistema di appartenenza e della situazione sul comportamento umano Zimbardo organizzò nel 1971 il famoso esperimento carcerario all’Università di Stanford, dove era professore di psicologia. Preso un gruppo di giovani disponibili ad assoggettarsi all’esperimento per un compenso in denaro, che non avevano tare fisiche o psichiche, né alcun tipo di fragilità piscologica, li divise a caso in ‘carcerati’ e ‘carcerieri’ per un esperimento di due settimane in una finta prigione, che sembrava vera e funzionava come quelle vere. Lo scopo era capire come la situazione avrebbe influenzato il comportamento, le percezioni e le opinioni dei giovani carcerati. L’esperimento fu interrotto dopo cinque giorni, non soltanto perché alcuni carcerati rivelavano condizioni di stress grave, ma soprattutto perché, cosa ben più grave, una parte dei ‘carcerieri’, avevano comportamenti sadici nei confronti dei prigionieri, mentre gli altri non reagivano, non li fermavano: tutti sembravano considerarli segni di legittima severità e necessità indiscutibile di sottomettere e punire i ‘cattivi’. Anche i carcerati finivano con l’obbedire con rassegnazione, con ira o con paura, ma non si attivavano per ribellarsi tutti insieme.

Nel libro Zimbardo illustra e analizza dettagliatamente quell’esperimento, in modo interessante e vivace, paragonando quei comportamenti non soltanto a quelli di prigionieri e carcerieri nei campi nazisti, ma anche alle atrocità commesse da gruppi di soldati americani nella guerra del Vietnam, dagli Hutu in Ruanda, e dai soldati-carcerieri americani ad Abu Graib, in Siria, che suscitarono orrore e incredulità nel 2004, quando le foto di torture e umiliazioni gravi dei detenuti − scattate dai carcerieri stessi con i loro cellulari e inviate agli amici − fecero il giro del mondo. Durante il processo ai carcerieri- soldati di Abu Graib Zimbardo fu perito per la difesa, sostenendo che sono le regole delle situazioni e delle strutture a trasformare persone normali in sadici torturatori, e che dobbiamo cambiare le regole e le strutture, non condannare all’ergastolo gli individui quando l’orrore emerge, e noi vogliamo lavarci la coscienza.

Dovremmo preoccuparci molto di più delle regole vigenti in ogni struttura e in ogni situazione nei nostri paesi, sapendo che nella grande maggioranza delle persone normali si possono facilmente scatenare comportamenti sadici e assassini, a partire dalle regole del «sistema di appartenenza» e dalla «situazione» in cui ci si viene a trovare. Soltanto pochissime persone riescono a vedere l’orrore anche nelle regole accettate e condivise, e rifiutano di trasformarsi in bruti o assassini. 

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