Turkmenistan sconosciuto

28/08/2021

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Il Turkmenistan è uno dei paesi meno conosciuti da noi Europei, i nostri giornalisti e politici se ne occupano raramente. Eppure è una terra ricca di risorse minerarie anche se prevalentemente desertica, con una posizione geografica strategica e un passato glorioso. La zona orientale dell’attuale Turkmenistan è stata per secoli parte del Khurasan, provincia dell’Impero Persiano; la città di Merv, che sorgeva nei pressi dell’attuale Mary, fu una delle principali città-oasi sulla Via della Seta e uno dei più rilevanti centri commerciali e culturali del mondo islamico. Tra il 1865 e il 1885 il paese venne annesso alla Russia, nel 1924 divenne una delle repubbliche sovietiche e lo fu fino alla dissoluzione dell’URSS, nel 1991.

La scarsissima popolazione – circa 5 milioni di abitanti per quasi 500000 chilometri quadrati di superficie – è composta per la stragrande maggioranza da turkmeni, un tempo chiamati turcomanni, ma esistono minoranze uzbeke, russe e kazake che comunicano fra di loro e con la maggioranza non in turkmeno ma in russo, la lingua dell’ultimo impero. I turcomanni si convertirono all’islam già nel XII secolo, prima delle altre popolazioni nomadi dell’Asia Centrale e ancor oggi la religione più diffusa in Turkmenistan è l’islam sunnita, con forti influenze da parte del misticismo sufi. Vi sono poi minoranze di russi ortodossi e circa un migliaio di ebrei (meno della metà di quanti ce n’erano in periodo sovietico), in piccola parte discendenti di ebrei iraniani che emigrarono nel corso del XIX secolo, ma soprattutto ebrei aschenaziti che arrivarono in Turkmenistan durante il periodo sovietico. Però per quanto concerne le minoranze sia religiose che linguistiche  i dati sono vaghi e ufficiosi, data la mancanza di libertà di espressione e la scarsa trasparenza della repubblica, che è di fatto un regime autocratico (si pensi che, ufficialmente, il paese non ha riscontrato neanche un caso di Covid-19!).

La Repubblica turkmena è situata nella parte sud-occidentale dell’Asia Centrale: confina a nordest con l’Uzbekistan, a nordovest con il Kazakhistan, a sud con l’Iran e a sudest con l’Afghanistan, mentre a ovest si affaccia sul Mar Caspio. Occupa dunque una posizione strategica, sulle direttrici che collegano l’Europa all’Asia Centrale e la Russia al Golfo Persico. Il suo territorio aspro e montagnoso, occupato per l’80% dal deserto di Karakum (nell’immagine in testata, la celebre “porta dell’inferno”), ospita la quarta riserva di gas al mondo ed è compreso nella cosiddetta “ellisse strategica dell’energia”, l’area che va dalla Siberia settentrionale alla Penisola arabica nella quale è concentrato più del 70% delle riserve mondiali di petrolio e gas convenzionali. Non sorprende dunque che il Turkmenistan susciti l’interesse e la competizione delle potenze regionali: la Russia che vuole riaffermare la sua influenza nello spazio post-sovietico; l’Iran che condivide con il Turkmenistan un lungo confine nonché legami storici e culturali vecchi di secoli; la Turchia che vorrebbe rafforzare la sua posizione politica, ideologica ed economica nella regione e infine la Cina che vuole avere accesso alle sue risorse energetiche a basso costo.

Nella sua storia di stato indipendente, il Turkmenistan ha sempre mantenuto un atteggiamento di prudenza, isolamento e neutralità. Non fa parte di alcuno dei gruppi economici o politici della regione, come l’Unione Economica Eurasiatica o la Comunità degli Stati Indipendenti (di cui è membro associato) ed evita organizzazioni militari e alleanze come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva. Ciò gli consente di mantenere intatta la propria sovranità ed evitare di lasciare troppo spazio all’influenza delle potenze straniere. Ora, però, il collasso del governo afgano rischia di far scoppiare la bolla isolazionista in cui il Turkmenistan si era rinchiuso. Il probabile arrivo di afgani e persone di etnia turkmena − che costituiscono il sesto gruppo etnico in Afghanistan – potrebbe costituire un pericolo per il Turkmenistan.  Da giorni le autorità di Ashgabat stanno impedendo agli Afghani di oltrepassare il confine per entrare nel loro territorio, ma non è chiaro fin quando riusciranno a farlo. Il vicino Uzbekistan ha costruito una barriera lungo la frontiera con l’Afghanistan, al momento il confine più protetto al mondo. Il confine tra Tagikistan e Afghanistan è rafforzato dalla presenza costante di truppe russe che compiono esercitazioni congiunte con i Tagiki. L’esercito turkmeno non ha le capacità delle controparti pachistane o cinesi e in ogni caso il suo confine con l’Afghanistan è lungo circa 800 chilometri e corre attraverso pianure difficili da controllare e facili da attraversare. Gran parte delle armi a sua disposizione è un lascito dell’era sovietica, probabilmente inutilizzabile. Gli sforzi di ammodernamento sono stati inadeguati e si dice che i militari siano mal addestrati e poco qualificati.

Inoltre il paese soffre da anni per la scarsità di prodotti alimentari e di moneta e per gli alti tassi di disoccupazione. La crisi economica è iniziata anni fa, in parte a causa dei mancati introiti dalla vendita del gas per la chiusura del contratto con Gazprom nel 2016 (accordo che è stato poi rinegoziato nel 2019), in parte a causa di anni di iperinflazione. Le restrizioni dovute alla pandemia hanno fatto salire i prezzi del cibo, il che ha colpito in particolar modo quelle parti del paese che sono costrette a comprare frutta e verdura perché non le producono. Ashgabat ha distribuito buoni per avere farina, burro, zucchero e altri beni di prima necessità, ma presto sono diventati introvabili e in alcune regioni sta crescendo il malcontento per come le autorità locali hanno gestito e distribuito i sussidi. Si alzano sempre più forti anche le critiche degli oppositori politici del governo, specie di coloro che sono in esilio all’estero. Un grande flusso di rifugiati non farebbe altro che destabilizzare ulteriormente l’economia e alimentare le proteste e la fragilità del paese potrebbe attrarre cellule terroristiche.

L’economia turkmena ruota attorno all’esportazione di energia, che copre quasi il 90% del totale delle esportazioni e costituisce un quarto del PIL. Ma i maggiori giacimenti di gas si trovano proprio vicino al confine con l’Afghanistan. Inoltre il Turkmenistan gioca un ruolo centrale nella rete di gasdotti che copre Russia, Cina e Iran, è al centro del progetto per un gasdotto transcaucasico che deve raggiungere l’Europa e di quello che dovrebbe rifornire di gas l’India attraverso l’Afghanistan e il Pakistan. I Talebani sostengono quest’ultimo progetto − denominato TAPI (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India) − ma non è chiaro come intendano difenderne le infrastrutture in Afghanistan. Inoltre gli altri partner potrebbero non essere felici di dare ai Talebani un ruolo così importante, fornendo loro l’opportunità di estendere la propria influenza fuori dai confini dell’Afghanistan.

La diplomazia turkmena adotta solitamente una politica di amicizia con tutti. Mantiene relazioni regolari con Russia, Cina, Iran, Turchia e Talebani per assicurare i propri confini e descrive il rapporto tra Afghani e Turkmeni come fraterno. Ma Ashgabat non è attrezzata per prevenire e contrastare la diffusione dell’estremismo e dell’instabilità. Non era cosa molto grave fintanto che l’esercito americano era in Afghanistan, ma ora economia e sicurezza interna sono potenzialmente sotto attacco e la neutralità potrebbe non esser più un’opzione. Probabilmente i leader turkmeni non potranno far altro che abbandonare la neutralità per allinearsi a Russia, Iran, Turchia o Cina. Il Turkmenistan sta entrando nel mirino di queste potenze, perciò ne sentiremo parlare spesso.   

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