Democrazia o tecnocrazia?

25/02/2017

Nei consessi internazionali si dà per scontato che le politiche debbano venir elaborate dagli esperti: esperti di sociologia, di economia, di difesa, di salvaguardia ambientale, di aiuti allo sviluppo e così via. Compito della politica sembra essere la ricezione e l’applicazione a livello nazionale e internazionale delle politiche elaborate dagli esperti, sulla base delle loro opinioni. In larghi settori dell’opinione pubblica desta scandalo che politici di governo possano sostenere opinioni diverse da quelle su cui concorda la maggioranza degli esperti di prestigio. Gli elettori però negli ultimi anni tendono a non dar più retta agli esperti se vedono che le ricadute sui loro interessi sono negativi. Ne è esempio la recente elezione di Trump. Ne è esempio la ribellione degli elettori di vari paesi europei contro le tecnocrazie dell’Unione Europea. Questo indigna o preoccupa molti, che pure si ritengono sinceri sostenitori della democrazia.

La nostra democrazia è figlia della civiltà politica di Atene e di Gerusalemme, poi della rivoluzione americana e di quella francese, che insieme al principio illuministico del primato della ragione (che giustificherebbe il primato degli esperti) fecero trionfare il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Poi un po’ per volta ha preso piede l’idea che, così come occorrono ingegneri per costruire aerei o grattacieli, così occorrono specialisti per governare. È un’idea che cozza ovviamente con il principio dell’autodeterminazione e dei pari diritti dei cittadini.

Si aggira l’ostacolo dicendo che i cittadini eleggono i loro rappresentanti, i quali hanno la responsabilità di selezionare gli esperti migliori per giungere alle scelte migliori. Questo presuppone la convinzione che governare sia cosa tanto difficile da dover ricorrere agli esperti, il che equivale a dire che i cittadini non hanno la capacità di auto-governarsi!

È vero che oggi la gestione dello stato è cosa di grandissima complessità, che nessun governo riesce a gestire davvero: specialisti, burocrati e manager spadroneggiano, talora per necessità, talora perché preferiscono ignorare i loro capi politici, oppure perché riescono a manovrarli. C’è poi da fare i conti con la crescente complessità dei sistema internazionali, tutti affidati a schiere di tecnocrati e burocrati, che inevitabilmente vedono lo stato-nazione come insufficiente a percepire la complessità globale e a prender decisioni con visione globale.

L’organizzazione sovranazionale più sviluppata al mondo è proprio l’Unione Europea, il cui governo non è politico ma è tecnocratico, composto di commissioni di esperti che propongono direttive ai singoli governi, che le integrano nel sistema legale e politico nazionale. La tecnocrazia è stata accettata senza contestazioni finché è sembrato che portasse soltanto benefici, finché tutto andava bene. Ma di fronte ai problemi irrisolti i cittadini vogliono riprendere le redini, reclamano i loro poteri di liberi cittadini dello stato nazionale.

Gli Europei oggi non rifiutano l’integrazione europea, rifiutano QUESTO tipo di Unione Europea senza democrazia. Tecnocrazie e burocrazie addebiteranno per decenni la colpa dei fallimenti europei all’ignoranza e all’incapacità dei cittadini e dei politici a livello nazionale. Ma la discussione sui rapporti fra tecnocrazia e democrazia forse presto si aprirà in modo esplicito e generalizzato e attirerà tutta l’attenzione di cui è degna.

L’intero sistema educativo in Occidente è volto da decenni a formare esperti, burocrati, manager, tecnocrati. Fin dagli anni ’60 la fiducia in chi ha capacità manageriali, sociologiche e tecnologiche è stata preponderante rispetto alla fiducia nella politica. Ma la crisi finanziaria ed economica iniziata nel 2007 e non ancora risolta ha incrinato quella fiducia: la politica può resistere anche a lunghi periodi di insuccesso se esprime e difende gli interessi di vasta parte della popolazione, ma gli esperti non possono permettersi il fallimento, perché nega proprio le capacità su cui poggia il loro presunto diritto di indirizzo della politica.

 

 

La discussione sui rapporti fra tecnocrazia e democrazia forse presto si aprirà in modo esplicito e generalizzato e attirerà tutta l’attenzione di cui è degna.

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