Il deserto avanza in Iraq

28/07/2009

27 luglio 2009

 

La terra che oggi porta il nome di Iraq nell’antichità si chiamava Mesopotamia –  letteralmente “terra fra due fiumi” –per la presenza di due grandi corsi d’acqua, il Tigri e l’Eufrate, da sempre fonte di vita e ricchezza per la regione. Entrambi i fiumi sono alimentati dalle piogge e dalle nevi che cadono sulla Turchia orientale e sull’Iran nordoccidentale. L’Eufrate, lungo circa 2.760 km, nasce in Turchia, attraversa la Siria e raggiunge quindi l’Iraq. Anche il Tigri, lungo 1.900 km, nasce in Turchia, attraversa un breve tratto di Siria e prosegue nello stato iracheno. Una rete di fiumi minori provenienti dall’Iran affluisce nel Tigri.

Intorno al 1950 il Tigri e l’Eufrate straripavano più volte l’anno inondando le pianure circostanti e causando disagi. Ma oggi la situazione è del tutto diversa e gli Iracheni si trovano ad affrontare il problema della siccità e della desertificazione. La European Water Association ha pubblicato recentemente un rapporto che afferma che la portata dei fiumi iracheni è diminuita di due terzi negli ultimi venticinque anni, e che di questo passo il Tigri e l’Eufrate potrebbero prosciugarsi entro il 2040, con gravi conseguenze per la popolazione locale.

 

LE CAUSE

La carenza d’acqua è dovuta principalmente alla costruzione di dighe e serbatoi lungo il corso del Tigri e dell’Eufrate in Turchia e, in misura minore, in Siria e in Iran.

Il GAP (Progetto idrico turco per l’Anatolia Sudorientale) ha causato una riduzione sostanziale del flusso delle acque dirette in Iraq. Si tratta di uno dei progetti più ambiziosi – e costosi – al mondo e prevede la costruzione di 22 dighe e 19 centrali idroelettriche lungo il corso del Tigri e dell’Eufrate - fra cui la diga Ataturk e la diga Aliso (segnate in rosso nella cartina a lato).  

·      Nel 1993 i Turchi hanno terminato la costruzione della diga Ataturk (sull’Eufrate) - che produce circa 8,9 miliardi di kilowattora di energia e permette di irrigare un’area di 180.000 acri nella pianura di Harran - privando l’Eufrate di un quinto delle sue acque.

·      La diga Aliso, che dovrebbe essere terminata entro il 2020, priverà l’Iraq di circa un terzo delle sue terre arabili costringendo i contadini ad abbandonare le loro fattorie. I lavori, iniziati nel 2006, sono stati interrotti per sei mesi lo scorso dicembre a causa di un ritrovamento archeologico e dovrebbero ricominciare a breve. L’Iraq sta cercando di contrastare il progetto.

L’Iran, deviando il corso del Karun, del Karkhae degli affluenti del Tigri, ha privato gli abitanti della regione di Bassora dell’acqua da bere costringendoli ad importare acqua desalinizzata dagli Emirati Arabi Uniti. 

Anche la Siria ha costruito diverse dighe sull’Eufrate contribuendo a diminuire il flusso delle acque che scorrono verso l’Iraq.

Altri fattori  hanno aggravato la situazione, fra cui:

·      cambiamenti climaticil’aumento della temperatura globale e la diminuzione delle precipitazioni ha favorito l’aumento della siccità;

·      la guerra: negli ultimi anni il governo non ha dedicato sufficiente attenzione al problema delle risorse idriche perché impegnato a sedare i conflitti interni. Occorre comunque sottolineare che nemmeno all’epoca di Saddam Hussein l’Iraq aveva raggiunto un accordo con Siria e Turchia per un’equa suddivisione delle acque;   

·      crescita demograficanegli ultimi cento anni la popolazione irachena è quadruplicata e di conseguenza anche il consumo di acqua ha raggiunto picchi insostenibili;

·      mancanza di una politica di prezzi adeguata: l’acqua non è mai stata trattata come un bene scarso, quindi i prezzi continuano ad essere troppo bassi rispetto al valore di mercato.

Il governo di Baghdad sospetta inoltre che i paesi circostanti abbiano deliberatamente tagliato il flusso d’acqua per infierire un colpo all’agricoltura irachena e costringere l’Iraq ad importare prodotti agricoli, carne e pollame dai vicini.

 

DESERTIFICAZIONE

Oggi molte aree dell’Iraq, specialmente quelle meridionali, sono interessate dal fenomeno della desertificazione – che comporta la diffusione su vasta scala di dune di sabbia, la riduzione dei pascoli, il deteriorarsi della qualità dell’acqua e l’aumento dell’inquinamento.

Le guerre degli ultimi trent’anni hanno aggravato la situazione. Ad esempio durante la guerra fra Iran e Iraq (1980-1988) sono stati abbattuti circa i due terzi delle palme, che rappresentavano una ricchezza per gli agricoltori e una barriera naturale contro l’espansione del deserto.

La desertificazione si è estesa anche alle aree settentrionali del paese: in 70 villaggi nella provincia di Ninive gli abitanti hanno abbandonato le loro dimore alla ricerca d’acqua perché la sabbia ha sotterrato case, strade e terreni.

A causa della desertificazione si sono moltiplicate le tempeste di sabbia, che creano gravi disagi alla popolazione – a volte  l’aeroporto di Baghdad viene chiuso anche per due o tre giorni di fila perché la visibilità è troppo scarsa. Inoltre il movimento di mezzi militari pesanti nel deserto – iniziato nei primi anni ’90 - ha causato la rottura della “crosta desertica” che bloccava la fuoriuscita di sabbia soffice e leggera, facilmente trasportabile dal vento.

 

CONCLUSIONI

La Turchia ha più volte promesso di lasciar scorrere una maggiore quantità d’acqua verso l’Iraq, ma di fatto questo non è mai avvenuto se non per brevi periodi: attualmente la portata dell’Eufrate è la metà di quella del 2000. Il parlamento iracheno ha condannato la timida posizione del governo nei confronti di Ankara e sta esercitando una certa pressione affinché nei futuri accordi commerciali vengano stabiliti criteri fissi per la suddivisione delle acque.

L’acqua è un elemento chiave per il mantenimento della pace nel Medio Oriente. Dall’acqua dipende infatti lo sviluppo dell’economia irachena, basata in larga parte sull’agricoltura.   

Se milioni di persone fossero private dell’accesso alle risorse idriche, la situazione potrebbe diventare insostenibile. Il governo iracheno quindi dovrà sbrigarsi a trovare una soluzione per evitare l’insorgere di una nuova guerra.   

 

A cura di Davide Meinero

 

 

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