La frattura in Iran
si internazionalizza

22/07/2009

22 luglio 2009   Prima delle elezioni presidenziali del 12 giugno gli alleati di Ahmadinejad e i Russi hanno più volte accusato gli Stati Uniti di voler organizzare una “rivoluzione colorata” sullo stile di quelle che negli anni scorsi hanno interessato i paesi dell’ex Unione Sovietica.   Queste rivoluzioni, ad esempio quella in Ucraina, hanno sempre seguito un percorso ben preciso:   ·         primo, veniva creato un partito di opposizione capace di sfidare l’establishment al potere; ·         poi, all’indomani delle elezioni – normalmente manipolate dal regime al potere - l’opposizione accusava i presunti vincitori di brogli e organizzava manifestazioni pacifiche in piazza; ·         quindi il nuovo governo – quasi sempre illegittimo – crollava; ·         infine l’opposizione, normalmente filoccidentale e filoamericana, prendeva il potere.   Mosca ha accusato pubblicamente i servizi segreti occidentali, specialmente la CIA, di aver organizzato e finanziato la Rivoluzione Arancione in Ucraina a cavallo fra il 2004 e il 2005. In quegli anni le relazioni fra Russia e Stati Uniti toccarono il fondo, dato che in Ucraina salì al potere un partito pro-americano e pro-NATO che veniva percepito dai Russi come una minaccia alla propria sicurezza nazionale. Gli Americani dal canto loro replicarono alle accuse affermando che non avevano fatto altro che facilitare il cambiamento democratico che già covava all’interno della società ucraina, non più disposta ad accettare elezioni farsa.   Ahmadinejad in questi giorni va dicendo che dietro alle manifestazioni che hanno infiammato l’Iran dopo le elezioni presidenziali si cela in verità la longa manus degli Stati Uniti, che avrebbero finanziato i movimenti di opposizione su richiesta di gruppi ancora attivi nei paesi dell’ex Unione Sovietica. Ahmadinejad sostiene infatti che, indipendentemente dall’esito delle elezioni, l’opposizione l’avrebbe accusato di brogli e avrebbe organizzato manifestazioni di massa per minacciare la coesione della Repubblica Islamica.   Ahmadinejad vuole far passare Rafsanjani come il leader della fazione filo-americana che vuole una rivoluzione colorata, e per questo Rafsanjani risponde accusando Ahmadinejad di essere un servo dei Russi. Per questo alla preghiera del venerdì scorso la fazione anti Ahmadinejad urlava: “morte alla Russia!”   Al momento Ahmadinejad sembra avere la meglio. Khamenei ha accettato la sua rielezione e le manifestazioni si sono ridotte notevolmente rispetto ai primi giorni. I Russi potrebbero aver aiutato Ahmadinejad ad interrompere le telecomunicazioni ed internet per soffocare la ribellione – è infatti difficile credere che lo stato iraniano sia dotato della capacità tecnica di chiudere così efficacemente i sistemi di telecomunicazione usati dall’opposizione.   Se le relazioni fra Teheran e Mosca si faranno più intense, allora cambierà l’intera dinamica della regione e gli Stati Uniti saranno costretti a rivedere la propria strategia. Al momento Washington si trova alle prese con due questioni fondamentali: da una parte il programma nucleare iraniano, dall’altra le difficili relazioni con la Russia. Se la Russia e l’Iran iniziassero a cooperare seriamente, il problema diventerebbe uno solo, ma sarebbe decisamente molto difficile da gestire. Sicuramente gli Stati Uniti vogliono evitare che si arrivi ad uno scenario simile.      Finora Ahmadinejad ha sempre affermato spavaldamente che gli Stati Uniti non attaccheranno mai  l’Iran e che le accuse di mettere a repentaglio la sicurezza nazionale, che Rafsanjani e i suoi alleati gli rivolgono, sono del tutto infondate.    Ma se la Russia si avvicinerà troppo alla Repubblica Islamica, gli Stati Uniti potrebbero rivedere la propria strategia nella regione e potrebbero anche decidere di intervenire militarmente.   Già Hillary Clinton ha dichiarato ieri in Tailandia, dove si svolge il forum regionale dello ASEAN,   che se l’Iran proseguisse la costruzione di armi nucleari gli Usa potrebbero rafforzare le armi dei propri alleati nella regione e costruire su di essa un ombrello difensivo, il che renderebbe l’Iran non più forte nella regione, ma più vulnerabile.     Nel frattempo Israele ha inviato – e poi ritirato - alcuni sottomarini nel Golfo attraverso il canale di Suez, per una esercitazione. Ha dunque rischiato di vedere i propri sottomarini e i propri uomini   attaccati – per una esercitazione? No, ma per far vedere all’Iran che l’Egitto e gli Stati Uniti sono entrambi pronti a collaborare con Israele per lasciar passare i suoi sottomarini e le sue navi  attraverso il canale di Suez e attraverso il mar Rosso, fino alle coste dell’Iran.   

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