La guerra
in Afghanistan

16/07/2009

Il 13 luglio 2009 George Friedman fa il punto sulla guerra in Afghanistan per Strategic Forecast.   Recentemente gli Stati Uniti e le forze della coalizione hanno dato il via alla più grande offensiva da quando il generale statunitense David Petraeus e il generale Stanley McChrystal hanno preso il comando delle truppe. Negli ultimi dieci giorni nella provincia di Helmand, dove imperversa la battaglia,  sono morti dieci soldati britannici – otto dei quali uccisi nell’arco di 24 ore. Il 6 luglio sono morti sette soldati statunitensi, il 12 luglio ne sono stati uccisi altri quattro (Il 14 luglio è stato ucciso il nostro Di Lisio).   La situazione della coalizione presenta molti punti di debolezza. L’esercito di occupazione è decisamente più forte delle milizie talebane, perciò i ribelli non possono fare altro che incentrare la propria strategia su attacchi mordi e fuggi, tesi a causare il maggior numero di morti possibili e ostacolare le attività. L’esercito ha dalla sua la potenza di fuoco, sia a terra che in aria. I ribelli invece hanno dalla loro la conoscenza del territorio, perché sono nati nella regione e possono contare su una fitta rete di informatori capaci di metterli al corrente dei movimenti del nemico non soltanto durante le operazioni, ma anche nelle fasi preparatorie. I ribelli non possono sconfiggere il nemico in un confronto diretto, ma possono cercare di infliggere il maggior numero di vittime possibile.   Però il punto di debolezza maggiore non sta nell’asimmetria sul terreno, bensì dall’asimmetria degli interessi delle parti in combattimento.   Per esempio in Vietnam i Nordvietnamiti erano decisamente più motivati degli Americani. I Nordvietnamiti potevano prendersi tutto il tempo di cui necessitavano, potevano sacrificarsi per la causa e rischiare tutto pur di vincere la guerra. Gli Stati Uniti avevano interessi molto più deboli. I Nordvietnamiti combattevano per una questione fondamentale, ovvero la patria, mentre per gli Americani si trattava di una questione marginale. La strategia dei Nordvietnamiti mirò a mietere il maggior numero di vittime fra le truppe statunitensi, e a un certo punto gli Stati Uniti si resero conto che non valeva la pensa subire tante perdite, e decisero di ritirarsi.   I ribelli in Afghanistan hanno il tempo dalla loro e cercheranno in tutti i modi di sfinire l’avversario, mietendo il maggior numero di vittime possibile. Al contrario l’esercito americano ha fretta. […]  Più il tempo passa, più aumentano le vittime, e più aumenta l’insofferenza dell’opinione pubblica verso la guerra.   Problemi di intelligence   Le truppe della coalizione soffrono da sempre di problemi di intelligence, perché operano in un paese straniero e non hanno abbastanza conoscenze per distinguere gli amici dai nemici - o  le informazioni vere da quelle fasulle. Per questa ragione è di fondamentale importanza l’appoggio della popolazione civile. Se le truppe della coalizione non riusciranno a trovare alleati fra la popolazione dell’Helmand, il problema dell’intelligence si farà ancora più grave. Le attuali operazioni mirano a rendere sicure alcune aree per guadagnarsi l’appoggio della popolazione locale. Con la sicurezza di solito arriva la fiducia, e di conseguenza arrivano le informazioni. E questo è l’unico modo di contrastare i ribelli.   Poi c’è il problema della contro intelligence. Ogni traduttore, soldato o funzionario governativo afgano potrebbe essere un agente nemico. […] Grazie alle informazioni di contro intelligence i ribelli possono essere messi al corrente delle mosse del nemico e mettersi al sicuro.   Questa guerra è importante per gli Stati Uniti perché al Qaeda in passato si è stanziata in territorio afgano e da qui ha lanciato attacchi contro l’Occidente. Gli Stati Uniti temono che, senza una presenza minima di truppe statunitensi sul territorio afgano e di un governo filo-americano, al Qaeda possa riconquistare spazi e colpire ancora. […] Ora i membri di al Qaeda riescono ancora a lanciare messaggi minacciosi dalla regione, ma  pare che l’attività dell’organizzazione terroristica sia decisamente ridotta.     Sicuramente conquistare a poco a poco le menti e i cuori della popolazione richiederà molto tempo e pazienza, e questo gioca a favore dei ribelli. Se al Qaeda si dissolvesse e i terroristi iniziassero a operare in Somalia o in Pakistan, allora l’importanza dell’Afghanistan verrebbe meno. In tal caso si verrebbe a creare un’asimmetria simile a quella vietnamita. I Talebani non hanno nessun altro posto in cui andare e combattono ormai da molto tempo. […] In Vietnam gli Stati Uniti hanno combattuto per molti anni, ma ad un certo punto le probabilità di vittoria sono diminuite e allora è scemato anche l’interesse a continuare la lotta.   I Talebani vogliono creare una situazione simile in Afghanistan – come quella che hanno utilizzato i mujaheddin contro i Sovietici.   Gli Stati Uniti devono impedire che si giunga all’asimmetria di interessi. Se la guerra verrà percepita come una lotta contro i terroristi per prevenire attacchi contro gli Stati Uniti, allora le vittime saranno in qualche modo giustificate. Ma se l’opinione pubblica riterrà che il conflitto si sia spinto oltre gli interessi strategici di fondo, sarà difficile continuare a sostenerne l’utilità.   Quella cui stiamo assistendo è essenzialmente una guerra di intelligence fra gli Stati Uniti e i Talebani. Nonostante i morti non siano stati molti, vi sono già state le prime reazioni. I media occidentali parlano di “aumento del numero delle vittime” – in Gran Bretagna in particolar modo è stato posto l’accento sul fatto che il numero di soldati britannici caduti in Afghanistan ha superato  quello dei caduti in Iraq. Questo fa capire quale sia il livello di sensibilità in Occidente.   Petraeus è un professionista e le  truppe stanno versando lacrime e sangue perché intendono vincere questa guerra. Se riusciranno ad ottenere in fretta l’appoggio della popolazione la dinamica del conflitto potrebbe cambiare e i Talebani potrebbero doversi arroccare sulla difensiva. Ma se i Talebani riusciranno a portare a segno sempre più attacchi e a mietere un numero sempre maggiore di vittime, allora saranno gli Americani a doversi difendere. […] In questa lotta il compito più arduo spetta senz’altro gli Americani e alle forze della coalizione.   Il presidente Obama si trova nella stessa situazione in cui si trovò Nixon nel 1969. Nixon ereditò una guerra che non aveva cominciato.mPoteva porre fine alle ostilità ma decise di non farlo. Non conosciamo le intenzioni di Obama per ora. […] Tutto dipende dall’intelligence: se le informazioni che riceverà gli riveleranno che l’attuale guerra in Afghanistan impedisce di fatto ad al Qaeda di lanciare altri attacchi contro gli Stati Uniti, allora deciderà di combattere. In caso contrario invece difficilmente andrà avanti.   Per ora Obama ha concesso a Petraeus di provare la nuova strategia, ma fissando un limite di tempo per valutarne i risultati. Questo fa pensare che non voglia andare fino in fondo. Se i Talebani riusciranno ad incrementare il numero degli attacchi mortali a breve, prima che la guerra di intelligence inizi a pendere a favore di Washington, Obama potrebbe decidere di abbandonare l’Afganistan. 

Tradotto e curato da Davide Meinero

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