Le vie di rifornimento verso l'Afghanistan
e l'instablità pakistana

07/05/2009

Liberamente tratto da un’analisi di Strategic Forecast   30 aprile 2009   Il Pakistan svolge un ruolo fondamentale nella guerra dell’Afghanistan, perché grazie alla sua posizione geografica ospita la maggior parte delle vie di rifornimento per le truppe NATO che combattono contro i Talebani. Ma con il diffondersi della ribellione talebana all’interno del Pakistan la situazione si è fatta più complicata e molti analisti si domandano se le truppe stanziate in Afghanistan potranno contare sull’aiuto del Pakistan ancora a lungo.   Questi dubbi hanno spinto alla fine del 2008 il generale David Petraeus a cercare vie di rifornimento alternative in Asia centrale, ma presto è stato chiaro che senza un accordo con Mosca – che mantiene ancora salda la presa sulla regione - nessuno dei paesi chiamati in causa avrebbe potuto offrire un aiuto concreto agli Americani. Nell’attesa di un accordo con il Cremlino, Washington ha dovuto quindi concentrarsi sul Pakistan e affrontare la realtà.   I Talebani stanno cercando di espandersi nell’area meridionale del paese, al di là delle aree tribali nordoccidentali dominate dalle tribù Pashtun, verso il Punjab. Questa regione è il cuore dell’industria pakistana e ospita più di metà della popolazione: se i Talebani riuscissero a conquistare quest’area, lo stato pakistano si sgretolerebbe. Per prevenire uno scenario così apocalittico è necessario mantenere intatta la più forte arma del Pakistan, ovvero l’esercito.   In Afghanistan, a causa della conformazione montuosa del terreno, si combatte una guerra di logoramento dove avrà la meglio chi dimostrerà maggiore capacità di resistenza. Per questo l’integrità delle vie di rifornimento è fondamentale per la sopravvivenza del contingente NATO in Afghanistan. Ma i jihadisti hanno aumentato l’intensità degli attacchi, soprattutto all’interno del Pakistan, minando così il normale svolgimento delle operazioni di rifornimento.   Il pattugliamento dei convogli diretti in Afghanistan è stato affidato a milizie private locali – normalmente gestite da ricchi civili Pakistani legati al governo o ad ex militari in pensione – che seguono il trasporto dal porto di Karachi attraverso il Pakistan e oltre, nel cuore dell’Afghanistan. L’establishment militare però non vede di buon occhio questa strategia: i contratti con le milizie private minano la credibilità e l’autorità dell’esercito pakistano – che a volte chiude un occhio o facilita gli attacchi ai convogli per spingere Washington a cambiare partnership. A questo si aggiunge un altro problema: le forze di sicurezza private incassano ricchi profitti dalle truppe NATO, ma gli uomini incaricati di proteggere i convogli  percepiscono invece una paga inferiore ai 65 dollari al mese e sono poco disposti a rischiare davvero la vita per   difendere i rifornimenti. Recentemente gli Stati Uniti hanno  deciso di aprire  alcuni percorsi più a sud, in Punjab,  dove il livello di sicurezza è maggiore.   Karachi   Le vie di rifornimento dirette in Afghanistan partono da Karachi, la più grande città del Pakistan nonché primo porto del paese. Se venisse destabilizzata dai ribelli,  tutta la catena dei rifornimenti andrebbe in fumo all’istante.   La città, governata dal Mutahiddah Qaumi Movement (MQM) - movimento politico secolarizzato che rappresenta la comunità Muhajir, immigrata dall’India - è stata teatro di diversi scontri etnici in passato. Il MQM è in aperto contrasto con la minoranza etnica Pashtun, perché crede che i jihadisti provenienti dal Nord (appartenenti all’etnia Pashtun)  possano facilmente trovare asilo nella regione grazie ai legami etnici.  Dopo la firma dell’accordo che introduce la Sharia nella valle di Swat la tensione fra il MQM e il Partito Nazionale Awami (ANP) che rappresenta i Pashtun è cresciuta ulteriormente, sfociando a volte in episodi violenti.   LA VIA SETTENTRIONALE   La via del Nord, utilizzata per trasportare la maggior parte dei rifornimenti, attraversa quattro province: Sindh, Punjab, Provincia della Frontiera di Nord Ovest e le temibili Aree Tribali di Amministrazione Federale (FATA) prima di salire verso il passo Khyber e raggiungere il valico di Torkham, da cui prosegue in Afghanistan.   Una volta che i convogli hanno lasciato Karachi, si inoltrano nel Sindh. Questa provincia, per la grande maggioranza rurale, è abbastanza sicura poiché è controllata dal Partito Popolare del Pakistan, altamente secolarizzato. Non esiste un movimento jihadista consolidato in quest’area del Pakistan, ma di tanto in tanto nascono piccoli gruppi insurrezionali – che non rappresentano però una seria minaccia.   Il Punjab è il cuore agricolo, industriale, politico e militare del Pakistan, dato che ospita il 60% della popolazione e sei battaglioni dell’esercito sui nove presenti in tutto il paese. Per ora in questa provincia non si sono registrati attacchi jihadisti contro i convogli della NATO, ma recentemente la presenza di ribelli è aumentata. Negli ultimi anni – specialmente dopo l’11 settembre 2001 – molti fondamentalisti sono fuggiti in Punjab e di tanto in tanto si sono verificati attacchi terroristici, specialmente nelle città principali (Islamabad, Rawalpindi, Lahore, etc.). L’estremismo islamico in questa provincia nacque intorno agli anni ’80, quando il generale Zia-ul-Haq perseguì un’aggressiva politica di islamizzazione per indebolire l’avversario, il Partito Popolare del Pakistan. In quegli  anni il Pakistan, in accordo con gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, appoggiò i movimenti islamici nella guerra contro i Sovietici in Afghanistan.     Negli anni ’90 molti gruppi estremisti del Punjab furono utilizzati dal governo pakistano per favorire l’ascesa dei Talebani in Afghanistan e per alimentare la rivolta nella parte indiana del Kashmir. Dopo l’11 settembre però il Pakistan, su pressione degli Stati Uniti, ha parzialmente ritirato l’appoggio ai gruppi estremisti che si sono quindi avvicinati ad al Qaeda e agli altri gruppi terroristici transnazionali. Attualmente i principali focolai jihadisti della regione si trovano al confine con la NWFP, ma le autorità temono che gli estremisti possano espandersi nel sud del paese, specialmente dopo che i Talebani si sono impossessati della valle di Swat.   Una volta superato il Punjab, i convogli NATO si inoltrano nella NWFP e successivamente nelle FATA, in territorio talebano. In quest’area operano diversi gruppi talebani Pashtun, che si sono espansi nei distretti occidentali della NWFP e si trovano ora alle porte di Peshawar.  I ribelli Pashtun però non controllano ancora l’area orientale della Provincia di Frontiera – oltre Peshawar.   Sorpassato il passo Khyber si raggiunge il distretto di Khyber, dove nell’ultimo periodo si sono registrati numerosissimi attentati contro i funzionari locali e le forze di sicurezza. Data la frequenza degli attacchi si presume che i ribelli agiscano del tutto indisturbati - probabilmente con l’appoggio di alcuni membri delle forze di sicurezza pakistane. Dal distretto di Khyber si raggiunge il valico di Torkham e quindi l’Afghanistan.      LA VIA MERIDIONALE   La via meridionale è molto più breve e sicura di quella settentrionale. Questa parte dal porto di Karachi, prosegue a nord attraverso il Sindh e poi devia a nordovest attraversando il Balucistan prima di attraversare il valico di Charman, al confine con l’Afghanistan. Sebbene questo percorso sia relativamente calmo, i problemi aumentano una volta sorpassato il confine, perché si penetra nel cuore talebano dell’Afghanistan – nella provincia di Kandahar. Su questo percorso transita il 25-30% dei rifornimenti diretti alle forze NATO.   In Balucistan sorgono i primi problemi. Questa ricca regione è abitata dai separatisti Baluci che mal sopportano l’egemonia del Punjab e per questo hanno alimentato una rivolta contro il governo centrale che dura ormai da decenni.  L’esercito ha sempre trattato i ribelli con il pugno di ferro senza riuscire però a sedare definitivamente la rivolta.   Benché negli scorsi anni la situazione fosse più tranquilla,  i ribelli hanno ripreso le attività a partire dallo scorso aprile, quando sono stati scoperti i corpi di tre leader Baluci sul confine con l’Iran.  I separatisti non sono in contrasto diretto con gli Stati Uniti o le forze della NATO, ma più volte hanno attaccato obbiettivi stranieri per richiamare l’attenzione di Islamabad e esercitare una maggiore pressione in occasione dei negoziati. Anche se i Baluci hanno una visione piuttosto secolare, si sono più volte uniti a gruppi islamici per combattere il nemico comune, ovvero lo stato pakistano.     CONCLUSIONI   Il Pakistan si trova in una situazione estremamente precaria: i Talebani pakistani stanno prendendo ogni giorno maggiore audacia e hanno recentemente dichiarato di voler conquistare il cuore del Punjab. Il governo pakistano non può inimicarsi del tutto le tribù Pashtun - per evitare lo scoppio di una rivolta di proporzioni enormi - ma allo stesso tempo non vuole lasciarsi schiacciare dai jihadisti che stanno rapidamente conquistando terreno.   Per salvare la pelle Islamabad dovrà cercare di coinvolgere quelle forze secolari – come il MQM o i movimenti Baluci – che potrebbero davvero spostare la bilancia a suo favore, ma sarà un’operazione difficile e delicata. Fino a quando il governo non metterà in atto una strategia per neutralizzare definitivamente le cellule islamiche, il Pakistan non riuscirà a risollevare la testa – e non potrà quindi essere di grande aiuto agli Stati Uniti e alla NATO.   A cura di Davide Meinero

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