Il faccia a faccia con l'Iran
di Natan Sharansky

09/04/2009

25 marzo 2009
 
L’articolo di Roger Cohen ‘The Real Engagement with Iran’ apparso sul New York Times il 22 marzo analizza gli auguri del presidente Obama alla popolazione e ai leader iraniani in occasione di Nowruz, il capodanno persiano.
La lettura di questo articolo ha suscitato in me un senso di dèjà vu.  
Cohen crede e spera che con questo messaggio il presidente Obama abbandoni l’idea di ottenere un cambio di regime attraverso il  confronto militare, e che rifiuti anche di legare la politica interna iraniana alle questioni internazionali. Leggendolo mi sono ricordato di come noi, i dissidenti democratici dell’Unione Sovietica, guardassimo con disperazione e rabbia (e a volte con profondo sdegno) i messaggeri del mondo libero che erano disposti ad accettare l’Unione Sovietica così com’era, che negavano il principio di collegare diritti umani e pressione internazionale, e che si adoperavano per minimizzare il pericolo militare della dittatura sovietica. Immediatamente mi sono chiesto cosa potessero pensare i dissidenti iraniani mentre leggevano quell’articolo.
 
Roger Cohen scrive che ultimamente si è recato due volte in Iran, e che secondo lui il miglior modo per aiutare il popolo iraniano è attraverso un impegno faccia a faccia. Intende un impegno verso i giovani blogger iraniani (uno dei quali è morto in cella due giorni prima che Cohen scrivesse l’articolo)?  Intende forse impegnarsi in un dialogo tra i capi dei sindacati o i rappresentanti delle organizzazioni studentesche oppure con i capi delle organizzazioni femminili, che non hanno paura di sfidare il regime rischiando la propria vita e la propria liberta? No, lui intende confrontarsi con i leader fanatici che riempiono d’odio le menti dei loro cittadini e che ‘mascherano con  provocazioni retoriche il fondamentale pragmatismo’, come dice Cohen.  
 
L’ultima frase potrebbero averla detta gli  intellettuali occidentali che parlavano del pragmatismo staliniano negli anni più sanguinari dell’epurazione. Cohen insiste sul concetto che l’ analogia tra il regime iraniano e i nazisti ‘disconosce i sei milioni di vittime dell’Olocausto’. Avrebbe forse ragione se paragonassimo l’Iran con la Germania Hitleriana del 1944-45. La similitudine, invece, diventa inquietante se compariamo Hitler nel 1933-35, all’inizio del suo regime, quando preparava attivamente i Tedeschi alla realtà di un mondo migliore senza Ebrei, con Ahmadinejad, che organizza conferenze internazionali dove prepara un mondo senza il Sionismo.
Nel suo messaggio d’auguri per l’anno nuovo al popolo iraniano, pronunciato lo stesso giorno, il presidente israeliano Simon Peres ha fatto una netta distinzione tra la grande civiltà persiana e il grande popolo dell’Iran da un lato e dall’altro i capi della nazione – “accecati dall’odio” e dal desiderio di distruggere e uccidere. Mi sono trovato in disaccordo con Simon Peres in molte occasioni, in politica, nei libri, negli articoli, per la sua visione utopica del medio oriente.
Ma devo dire che questa volta il nostro presidente ha una posizione molto più realistica, ed insieme visionaria, di coloro che cercano un dialogo con gli ayatollah in Iran.

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