Francesco Sisci raccomanda:
Lorenzo Infantino ‘Unintended consequences and the social sciences’

09/10/2023

Ecco i concetti essenziali del commento di Francesco Sisci (Settimana News del 27 settembre) al saggio del prof. Infantino:

Secondo la tradizione occidentale, il concetto delle conseguenze involontarie delle azioni umane risale ai tempi antichi, alla complessa dialettica tra uomini e dei. Era inciso nei miti e nelle storie di Edipo, che inconsciamente uccise suo padre e andò a letto con sua madre, eppure, nonostante l'"innocenza" della mancanza di conoscenza, si sentiva ed era comunque colpevole.

Eppure tutto fu dimenticato dopo la rivoluzione gnoseologica platonica che presupponeva la capacità di alcune persone illuminate di raccogliere tutta la conoscenza necessaria per governare uno stato.

Il concetto ritornò nei secoli XVII e XVIII con la nascita di un nuovo tipo di conoscenza, le scienze sociali, che spinsero l’Occidente e il mondo verso la rivoluzione industriale e la modernità.

Nella sua opera fondamentale Unintended Consequences and the Social Sciences (Edward Elgar Publishing), Lorenzo Infantino traccia la prima evoluzione del concetto alla base della società libera contemporanea. L’idea ha ottenuto una lenta accettazione in Europa e da lì nel mondo, ma è ancora sfidata da coloro che cercano di influenzare le istituzioni nelle mani di pochi eletti.

A poco a poco, tramite i contributi che sono passati attraverso de Mandeville, Hume, Montesquieu, Adam Smith e pochi altri, il mondo europeo di quei due secoli ha acquisito la consapevolezza che ogni singolo essere umano ha solo una conoscenza limitata. Pertanto, chiunque cerchi di monopolizzare il potere, e quindi la conoscenza, soffocherà e alla fine soffocherà l’ingegno delle persone, stimolando la crescita e l’innovazione.

Infantino lo descrive così: “Si sentiva che il rifiuto di fondare l’ordine sociale sulle intenzioni (e il loro controllo da parte di una popolazione invisibile, posta al di là di prove e confutazioni) avrebbe gettato la vita collettiva in un caos irreversibile e avrebbe reso impossibile la realizzazione delle azioni umane, compatibili tra loro… Lo scambio volontario porta ciascuno di noi a cooperare involontariamente al raggiungimento degli scopi altrui. Non è necessaria una gerarchia obbligatoria dei fini; e non c’è bisogno di una fonte privilegiata di conoscenza per legittimare una tale gerarchia: siamo tutti ignoranti e fallibili”.

Con questa nuova coscienza è arrivato un approccio diverso al diritto: “Ci troviamo di fronte a modi radicalmente diversi di delimitare i confini tra le azioni. L’habitat normativo cambia. Nel primo caso viene imposto ciò che è “giusto” (e l’individuo non ha autonomia); in quest'ultimo caso si impedisce ciò che è “ingiusto” (e il resto è lasciato alla scelta dell'attore). È una questione che Hume comprese perfettamente. Ciò spiega, anche se la sua filosofia del diritto è stata (ed è) spesso trascurata, la sua insistenza sulla necessità di sostituire il “governo degli uomini” (e/o delle divinità) con il “governo della legge”.

È stata una rivoluzione radicale che risale ai tempi in cui i re dicevano alle persone cosa fare e non limitavano semplicemente cosa non fare. Nel nuovo modo, i nuovi leader hanno limitato il loro potere e tuttavia hanno liberato il potere del popolo. È stata una rivoluzione politica fondata sulla comprensione del paradosso di ogni società. La fallibilità di ogni uomo rende i rapporti sociali necessari e in somma positiva. Senza fallibilità, i legami sociali sarebbero inutili. Tutti vivrebbero in totale isolamento. Tuttavia, questi legami sono complessi, presentano attriti e si basano sulla composizione di scontri con fini diversi. Ma la consapevolezza che le conseguenze indesiderate non sono una tragedia, come quella dell’antica Grecia, ma un risultato positivo, ha cambiato tutto e ha inaugurato la modernità.

 

Francesco Sisci insegna a Pechino a giovani cinesi, scrive in inglese per raggiungere studenti e studiosi internazionali, i suoi testi hanno l’evidente obbiettivo di far capire ai Cinesi che le istituzioni politiche occidentali non partono da concezioni estranee alla loro cultura, ma possono essere comprese e accettate a partire da alcuni aspetti dell’antica e gloriosa tradizione culturale e politica cinese. Anche in questo articolo Sisci non manca di sottolineare che ‘potrebbe essere stato il concetto taoista di wuwei, la non-azione come somma azione, a far intravvedere ai primi pensatori francesi il paradosso positivo dello scontro degli interessi egoistici’.

 

 

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