Taiwan
l’altra Cina che non vuole essere cinese

01/03/2016

L’isola di Formosa, cioè Taiwan, non ha una lunga storia di appartenenza alla Cina, nonostante sia poco lontana dalle sue coste. Fino al 1600 era abitata da una popolazione polinesiana, nel corso del 1600 fu conquistata da Spagnoli e Olandesi e accolse una forte corrente di immigrati cinesi dalla provincia meridionale della Cina, il Fujian (vedi mappa). Divenne parte dell’Impero Cinese sotto i Ming, ma nel 1895 fu conquistata dai Giapponesi che ne vollero fare un modello di colonia ben gestita. Nel 1945 l’isola tornò ai Cinesi, dopo la sconfitta del Giappone, ma il governo nazionalista cinese si rivelò più duro ed opprimente di quello giapponese. Il Giappone aveva creato il monopolio sulle risorse minerarie e agricole di Taiwan, per poterle avere a basso costo, ma aveva anche creato infrastrutture moderne ed efficienti: ferrovie, strade, scuole. Aveva imposto 8 anni di educazione obbligatoria per tutti i bambini, accoglieva gli studenti migliori nelle proprie università e ne faceva dirigenti, tecnici e amministratori.

Nel 1945 la guarnigione giapponese lasciò ordinatamente l’isola e da navi da guerra americane sbarcarono i soldati dell’esercito nazionalista cinese: in disordine, disorientati, col mal di mare, fecero subito una pessima figura agli occhi dei Taiwanesi. Erano per lo più contadini analfabeti dell’interno della Cina, arruolati da poche settimane. Il  Kuomingtang, il governo nazionalista cinese, requisì subito tutte le fabbriche e tutte le risorse per usarle nel proseguimento della lotta sulla terraferma cinese contro i comunisti guidati da Mao Tse Dong. Inoltre non applicò alla popolazione di Taiwan le garanzie previste nella costituzione cinese del 1947, trattando i Taiwanesi non come Cinesi, ma come una popolazione assoggettata e priva di diritti. L’amministrazione del Kuomingtang si dimostrò subito inefficiente e corrotta: i servizi pubblici decaddero o smisero di funzionare, la legalità non fu più garantita. Il 27 febbraio 1947 scoppiò una ribellione popolare, quando poliziotti in borghese requisirono qualche pacco di sigarette di contrabbando a una venditrice ambulante e spararono sulla folla che la difendeva. I ribelli si impossessarono della città di Taipei. La repressione fu tremenda: all’arrivo di truppe giunte dalla terraferma, fu imposto il coprifuoco totale, furono uccise molte migliaia di persone.

Nel 1949 i nazionalisti del generale Chiang Kai-Shek furono sconfitti dai comunisti di Mao in Cina, e quello che rimase dell’esercito nazionalista fuggì a Taiwan, seguito da altri due milioni di Cinesi che temevano il comunismo. Questo afflusso cambiò la composizione delle classi dirigenti dell’isola. Ora i Taiwanesi e i nazionalisti scampati al comunismo erano costretti a convivere nello stesso stato, come un solo popolo. La qualità dell’amministrazione migliorò molto, ma il governo continuò a usare metodi repressivi per quasi 40 anni, che i Taiwanesi definiscono il periodo del ‘terrore bianco’. Soltanto nel 1987 venne abolita la legge marziale, vennero permessi partiti politici e negli anni successivi il paese divenne una democrazia reale.

Oggi il partito nazionalista ha perso il potere in favore dell’opposizione. I nazionalisti hanno sempre asserito che prima o poi Taiwan deve ricongiungersi alla Cina, perché è parte della Cina, della sua storia e della sua cultura. L’opposizione, ora al potere, teme invece l’accorpamento politico alla Cina, né considera Taiwan parte storica della Cina. Il governo cinese promette di lasciare a Taiwan un sistema amministrativo autonomo in caso di ricongiungimento politico, come ha fatto con Hong Kong (One Country, Two Systems), ma la maggioranza dei Taiwanesi non si fida: benché il resto del mondo li consideri Cinesi, i Taiwanesi non si sentono affatto Cinesi − neppure i discendenti dei due milioni di rifugiati cinesi del ’49. Pur condividendo con i Cinesi lingua e altri aspetti culturali, il ricordo della repressione del ’47 e di 40 anni di terrore bianco è ancora molto forte.

I nazionalisti hanno sempre asserito che prima o poi Taiwan deve ricongiungersi alla Cina, perché è parte della Cina, della sua storia e della sua cultura. L’opposizione, ora al potere, teme invece l’accorpamento politico alla Cina, né considera Taiwan parte storica della Cina.

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