Credito, fiducia e il futuro della strategia cinese

10/09/2014

Nel suo interessante articolo apparso sull’Asia Times, Francesco Sisci* analizza il ruolo della valuta e del sistema finanziario come strumenti di egemonia politica, concentrandosi soprattutto sui casi di Cina e Stati Uniti. 

Sisci parte da lontano, indagando sulle cause che permisero all’Inghilterra di diventare una grande potenza capace di sconfiggere la Francia. Parafrasando Napoleone, secondo il quale “in guerra servono soprattutto tre cose: soldi, soldi e soldi”, Sisci sostiene che l’asso nella manica che permise a Londra di sconfiggere la Francia e diventare potenza egemone a livello planetario fu proprio il suo sistema finanziario evoluto. L’Inghilterra godeva della fiducia dei propri cittadini – che non esitavano a pagare le tasse per sostenere lo sviluppo e l’espansione del paese – e dei grandi investitori – che fidandosi della solidità dell’economia inglese, facevano affluire i propri capitali nel paese.

Al contrario il sistema finanziario francese, ancora ai tempi di Napoleone, era obsoleto, si basava sul vecchio concetto di “rapina” nei territori conquistati, nonostante i proclami egalitari della rivoluzione francese, e non poteva contare sull’appoggio popolare.

Così grazie a un sistema finanziario moderno l’Inghilterra finì con l’avere abbastanza capitali per armaree Russia e Austria contro la Francia, che alla fine capitolò.

Secondo Sisci la Cina attuale può essere paragonata alla Francia di quel tempo, con agricoltura efficiente, industria avanzata, una scienza in continuo sviluppo, una forte impronta culturale, tutti elementi però non sufficienti a “vincere” in assenza di un’industria finanziaria moderna ed efficiente. Quindi torniamo al concetto precedente: la vittoria è una questione di soldi.

Soldi non significa solo denaro, ma soprattutto credito, fiducia, responsabilità, tutti elementi fondamentali per il buon funzionamento del sistema finanziario. Secondo Felix Martin il denaro deve soddisfare almeno tre requisiti: essere riconosciuto universalmente, avere un valore che si può misurare facilmente ed essere trasferito facilmente da una persona all’altra. Perché questo accada, occorre un sistema di valori condivisi che favoriscano la circolazione del credito e della fiducia. Il sistema di Bretton Woods ideato nel 1944 ha permesso il trasferimento di questa fiducia a livello planetario, e simbolo di tale fiducia era il dollaro americano. Da allora tutto il commercio internazionale e le operazioni dell’industria finanziaria avvengono per lo più in dollari, perché gli USA sono tuttora gli unici a godere di tale fiducia.

E la Cina? Perché la sua valuta, lo Yuan, arrivi a godere della fiducia del dollaro, occorre non soltanto che fluttui liberamente sul mercato, ma anche che la Cina abbia un surplus di importazioni per alcuni anni, in modo da “esportare” yuan e permettere ad altri di utilizzarli per le proprie operazioni.

Il prestigio dello yuan è andato crescendo negli anni per due ragioni:

-       l’euro è una moneta senza un paese, senza un governo, e non gode di piena fiducia;

-       gli USA hanno perso fiducia per l’enorme deficit commerciale, per l’irresponsabilità del settore finanziario che ha trascinato il mondo nel caos a partire dal 2008 e per le lunghe e difficili guerre in Medio Oriente e in Afghanistan – per non parlare delle recenti tensioni con la Russia.  

Il testimone della fiducia passa di mano in mano nella storia: alla fine del XIX secolo era la sterlina britannica e non il dollaro a farla da padrona nei commerci internazionali. Ma lo yuan non è ancora nemmeno lontanamente paragonabile alla sterlina di allora o al dollaro attuale.

La Cina non è più un paese povero e dispone di riserve per un valore di oltre 4000 miliardi di dollari. Ma non dobbiamo dimenticare che la Cina è quello che è perché gli USA l’hanno aiutata a crescere, prima trasferendovi tecnologia e investimenti, poi aprendo il mercato internazionale ai suoi prodotti attraverso il WTO. La Cina è così diventata una pedina fondamentale nel processo di globalizzazione voluto dagli USA.

E’ sempre soprattutto un problema di fiducia: nei circoli d’affari i metodi cinesi sono ancora guardati con preoccupazione, in particolare la tendenza a massimizzare “egoisticamente” i profitti nell’immediato, perdendo la visione di medio e lungo periodo. Esattamente come è avvenuto in occidente agli albori della società di mercato: come afferma Mandeville, è stato proprio il “caos”, la ricerca caotica del profitto, a favorire crescita e sviluppo. Ma è indubbio che il caos a un certo punto vada tenuto sotto controllo e regolato, per garantire il buon funzionamento dell’economia globale.

È un processo lungo e difficile: Inglesi e Americani ci hanno provato per secoli senza avere sempre successo – come dimostra la recente crisi economica. Ora non possiamo che osservare quali saranno le future mosse della Cina.

*Sisci è ricercatore al Centro di Studi Europei dell’Università Popolare di Pechino, editorialista per giornali in vari paesi del mondo.

 

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