L’instabilità dell’Iraq, l’Iran, la Turchia e il petrolio

14/06/2014

I miliziani dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante – noto anche come ISIL – gruppo jihadista sunnita abile e spietato, che vuole costruire un califfato islamico in Siria e in Iraq, hanno ormai conquistato diverse aree del paese, fra cui Mosul nella provincia di Anbar, anche grazie all'appoggio delle tribù sunnite locali. Oltre a conquistare vaste porzioni della città, l’ISIL ha saccheggiato armi, mezzi militari e ha svuotato le casse della banca centrale. Inoltre ha liberato centinaia di prigionieri, che potrebbe reclutare come combattenti nelle proprie fila. 

La zona di operazioni dell’ISIL in Iraq è la stessa delle operazioni di al- Qaeda in Iraq durante la guerra con gli Americani, come si vede nella mappa a fianco, in cui le zone verdi sono quelle dove operava al Qaeda, quelle gialle sono quelle dove opera l’ISIL, e si estendono a cavallo fra Iraq e Siria.

La guerra civile in Siria ha avuto effetti destabilizzanti sull’Iraq: venuti meno i controlli alle frontiere, i miliziani dell'ISIL hanno iniziato a spostarsi liberamente nella fascia desertica a cavallo fra i due stati. Dopo mesi di lotta contro altri gruppi ribelli siriani, l’ISIL si è arroccato in Siria nei governatorati di Raqqah e Deir el-Zour, da cui è possibile inviare in Iraq armi, missili anti-carro ed esplosivi sottratti agli arsenali siriani.

Mosul, porta di ingresso al cuore economico dell’Iraq e alle sue raffinerie, era pattugliata da circa 10.000 soldati, che sono scappati lasciando dietro di sè uniformi, munizioni e veicoli. Questo indica che le truppe sono demoralizzate, infiltrate e poco propense a battersi per un leader poco popolare come al-Maliki.

Baghdad ora deve proteggere la capitale e le infrastrutture petrolifere dall'avanzata dei qaedisti. Attualmente pare che i ribelli siano stati fermati alle porte di As Samarra, grazie all'aiuto delle Guardie della Rivoluzione Iraniane, prontamente dispiegate da Teheran a fianco delle truppe regolari irachene.

Per tenere a bada l'ISIL e proteggere le infrastrutture energetiche del Nord del Paese al Maliki non può prescindere alla collaborazione dei Peshmerga, le forze di sicurezza del Kurdistan iracheno. Da anni è in corso un braccio di ferro fra Baghdad e Arbil per il controllo e la gestione dei proventi del petrolio del Governo Regionale del Kurdistan, che chiede maggiore indipendenza e il diritto di controllare le proprie risorse. In cambio dell'aiuto dei Peshmerga curdi, Baghdad sa che dovrà fare concessioni sull'utilizzo dei proventi del petrolio, ma la situazione è così grave che Al Maliki ha iniziato a prender in considerazione un accordo con Barzani, per difendere congiuntamente le infrastrutture, soprattutto la grande raffineria di Baiji, fra Mosul e Tikrit. 

Gli interessi in gioco

La Turchia osserva con molta preoccupazione gli avvenimenti sul terreno. Di recente l’azienda pubblica turca Turkish Energy ha incrementato gli investimenti nel Kurdistan iracheno, nella regione di Mosul e Kirkuk.

Come già avvenuto in Siria in passato, l’ISIL ha ripetutamente preso di mira obiettivi turchi in Iraq con l’intenzione di provocare Ankara: l’11 giugno ha preso d'assalto un consolato turco catturando 49 impiegati, fra cui il console generale, stretto consigliere di Erdogan, e ha inoltre rapito 31 camionisti turchi.

I Turchi hanno una presenza di 2500 soldati nelle province curde, che compiono soprattutto operazioni di intelligence per monitorare le attività del PKK. Per ora non hanno reagito alle provocazioni dell'ISIL, ma Ankara non esclude di intervenire per per liberare i prigionieri, anche se vuole prima soppesare le intenzioni americane, per capire che appoggio potrà ottenere. Gli USA non vogliono avere una presenza militare sul terreno, ma probabilmente metteranno a disposizioni armi, elicotteri, missili e informazioni di intelligence.

La Turchia non ha intenzione di avventurarsi nel deserto iracheno ed entrare in guerra con l’ISIL, ma è probabile che aumenti la presenza militare a fianco dei Peshmerga attorno alle infrastrutture energetiche del nord, da cui arriva il petrolio importato in Turchia. Baghdad non vede di buon occhio la presenza turca nel nord del paese, ma non ha possibilità di reagire.

Anche l’Iran è preoccupato degli avvenimenti, e ha dispiegato le Guardie della Rivoluzione a fianco dell’esercito iracheno per contenere l’avanzata del radicalismo sunnita. Teheran ha sempre appoggiato il regime di Bashar al-Assad in Siria, e considera il governo di al Maliki a Bagdad come alleato. L’Iran è dunque in guerra con l’ISIL su entrambi i fronti contemporaneamente. Questo richiede un grande impiego di uomini e mezzi, e spinge a qualche forma di collaborazione con la Turchia per far fronte al nemico comune, oltre che a cercar di alleggerire ulteriormente le tensioni con l’Occidente.

La strategia dell’ISIL è chiara: approfittare della debolezza del governo iracheno e di quello siriano per creare un proprio califfato a cavallo fra i due stati. La razionalità dell’ISIL non è da sottovalutare: si tratta di combattenti feroci e fanatici, ma non irrazionali. Usano l’appoggio delle tribù sunnite in Siria e in Iraq per spostare l’offensiva da un fronte all’altro, grazie alla continuità territoriale, ed obbligare le Guardie della Rivoluzione iraniane a combattere su due fronti, in modo che non possano concentrare le forze solo sul fronte siriano, o solo sul fronte iracheno. Le Guardie della Rivoluzione Iraniana e i loro alleati di Hezbollah sono infatti il vero nerbo della resistenza del governo siriano e di quello iracheno contro l’insurrezione degli islamisti sunniti in entrambi i paesi.

Gli islamisti sunniti d’altra parte sono largamente finanziati ed aiutati, direttamente o indirettamente, dall’Arabia Saudita. La guerra in Siria e in Iraq è un braccio di ferro indiretto fra Iran e Arabia Saudita. L’Arabia Saudita è anche impegnata in un altro braccio di ferro, quello contro i gruppi sunniti che si ispirano alla Fratellanza Musulmana, e che non riconoscono i diritti dinastici.

I capi dell’ISIL capiscono che contro di loro potrebbe formarsi una coalizione di interessi fra Iran, Turchia e USA, e probabilmente non spingeranno l’offensiva tanto oltre da rischiare davvero l’intervento unitario dei tre paesi. Consolideranno le posizioni nelle province a maggioranza sunnita di Anbar, Ninawa and Salah ad Din, e nelle province a popolazione mista di Kirkuk e Diyala (vedasi la mappa a lato), circondando Baghdad da ovest e da nord, occupando zone chiave per l’esportazione di petrolio e gas (vedasi la mappa degli oleodotti e gasdotti in testa all’articolo), ma senza tentare la conquista diretta di Baghdad. Siria, Iraq e Arabia Saudita sono ancora il cuore della produzione ed esportazione globale di petrolio: ad alimentare le guerre e a renderle così importanti per la stabilità internazionale sono proprio i proventi del petrolio, e la necessità di petrolio che hanno tutti i popoli del mondo.

A cura di Laura Camis de Fonseca e Davide Meinero

 

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