La spedizione turca per Gaza

04/06/2010

Liberamente tratto da un articolo di George Friedman per Strategic Forecast.

 

Il 30 maggio 2010 le forze navali israeliane hanno intercettato le navi di un’ONG turca che voleva portare aiuti umanitari a Gaza, sottoposta a blocco navale internazionale. Israele aveva richiesto alle navi di deviare verso i porti israeliani, dove gli aiuti sarebbero stati scaricati e trasportati a Gaza dalle autorità israeliane. L’ONG ha rifiutato l’offerta e ha deciso di continuare perla sua strada. Ma quando i soldati israeliani hanno abbordato la nave è scoppiato il caos, e nei tafferugli sono rimasti uccisi nove passeggeri e altri sono rimasti feriti. Anche diversi soldati israeliani sono stati feriti, alcuni in modo grave.  

 

Il viceministro degli esteri israeliano Danny Ayalon ha dichiarato che la spedizione era una   provocazione pianificata per Israele - e ha ragione. La missione voleva dimostrare che gli Israeliani sono brutali e poco ragionevoli. L’ONG sperava che Israele reagisse violentemente perché un atto simile avrebbe causato un’ondata di condanne nell’opinione pubblica internazionale, e allontanato politicamente Gerusalemme e Washington. Gli attivisti inoltre speravano di innescare una crisi politica in Israele.

 

Gerusalemme ha voluto ricorrere alla prova di forza. Se gli Israeliani avessero lasciato passare la spedizione, altre navi sarebbero partite alla volta di Gaza, il che avrebbe indebolito grandemente  Israele nei confronti di Hamas. Secondo il governo israeliano far intervenire l’esercito era la migliore possibilità, indipendentemente dalle conseguenze politiche. Gerusalemme ha perciò abboccato all’esca.

 

Quando se ne sa poco e non si ha voglia di capire una realtà complessa, l’opinione pubblica all’estero può essere facilmente condizionata da chi ricorre a simboli emotivamente forti. E su questioni marginali per le ripercussioni sulla nazione i governi tendono a seguire l’opinione pubblica, indipendentemente da come si è formata. I governi che seguono l’opinione pubblica guadagnano molto in popolarità. Influenzando l’opinione pubblica è quindi possibile spingere i governi a cambiare politica su questioni di politica estera di non grande importanza. Il concetto di ‘vero’ o ‘falso’ non conta. Quello che conta invece è identificare simbolicamente vittima e carnefice, in modo da spingere i governi a fare altrettanto.

 

La narrativa palestinese come arma strategica

 

I Palestinesi dicono da sempre di essere vittime di Israele. Dopo il  1967 la loro propaganda si è concentrata non tanto sull’esistenza dello stato di Israele (per lo meno nella comunicazione destinata all’Occidente) ma sull’oppressione dei Palestinesi nei territori occupati. Dopo la rottura fra Hamas e Fatah e dopo l’operazione Piombo Fuso, l’attenzione è tutta rivolta ai cittadini di Gaza, dipinti come vittime della violenza israeliana.

 

Condizionare l’opinione pubblica mondiale dipingendo i Palestinesi come vittime di Israele è   uno dei due corni di una unica strategia politica di lungo termine. Il secondo è la resistenza armata contro gli Israeliani. Ma il modo in cui questa campagna è stata condotta, con dirottamenti aerei, lanci di pietre e attentatori suicidi, cozzava con il primo obiettivo. Gli Israeliani traevano profitto dalla condanna della pratica disumana di usare bambini imbottiti di esplosivo contro i soldati. 

Per quanto i Palestinesi riuscissero a mettere Israele sulla difensiva, Gerusalemme poteva invocare il terrorismo suicida come giustificazione delle proprie reazioni. Ed è qui che si colloca la spedizione navale.

 

La spedizione voleva replicare la storia dell’Exodus del 1947, che allora creò nell’opinione pubblica Europea la percezione degli Ebrei come vittime del duro cinismo degli Inglesi in Palestina. In realtà la situazione a  Gaza per gli Israeliani è decisamente complessa, come era complessa la situazione del 1947 per gli Inglesi,   l’etica dietro a questa azione è piuttosto ambigua.  

La spedizione turca aveva un duplice obiettivo:

- aumentare il divario fra Israele e i governi occidentali spingendo l’opinione pubblica contro Gerusalemme;

- causare una crisi politica in Israele fra coloro che sostengono che isolare Gaza sia una politica pericolosa e coloro che lo considerano invece indispensabile per la sicurezza.

 

I pericoli geopolitici di Israele.

 

L’opinione pubblica occidentale per la maggior parte crede che gli Israeliani avrebbero dovuto permettere alla nave di raggiungere Gaza piuttosto che risolvere la questione nel sangue.

I nemici di Israele gonfieranno l’accaduto dichiarando che Gerusalemme preferisce il sangue all’accomodamento. E se l’opinione pubblica si schiererà contro Israele anche i governi occidentali prima o poi faranno altrettanto.

 

L’incidente inoltre rovinerà ulteriormente le relazioni con la Turchia. Non c’è dubbio che il nuovo governo turco volesse incrinare i rapporti con lo stato ebraico, ma finora non aveva potuto spingersi troppo oltre per non inimicarsi l’esercito e i settori laici della società turca. Ma il recente evento rende la rottura molto più semplice, se non addirittura necessaria.

 

Israele, molto piccolo e con una popolazione come quella del Piemonte, difficilmente può sopravvivere nel più totale isolamento. Il che significa che questo evento potrebbe avere pesanti conseguenze geopolitiche. La crescente ondata di antipatia nei confronti di Israele potrebbe  condizionare le relazioni fra Israele e i suoi alleati, in primis gli Stati Uniti. Israele senz’altro può dimostrare che si è trattato di una provocazione sleale. Ma purtroppo questo tipo di operazione  politico-mediatica ha ben poco a che vedere con la lealtà e la realtà, ma punta anzi a condizionare l’opinione pubblica e servirsene per modificare la politica estera internazionale. 

In questo caso l’opinione pubblica si domanderà se era davvero necessario provocare dei morti, e trascurerà il fatto della provocazione come di minore importanza.

 

Sul piano internazionale l’incidente provocherà un putiferio. Quasi certamente la Turchia romperà le relazioni con Israele, l’opinione pubblica in Europa si radicalizzerà, mentre negli Stati Uniti la reazione sarà: “andate al diavolo tutti e due!”

Non è detto invece che l’evento provochi una crisi politica in Israele. Attualmente Israele è governato da coloro che sostengono  sia meglio l’isolamento internazionale piuttosto che cedere ai Palestinesi. Ma fra i banchi dell’opposizione sono in molti a ritenere che l’isolamento sia invece una minaccia per la  sicurezza di Israele, sia dal punto di vista economico che militare.

 

I Palestinesi hanno ormai capito che per controllare l’opinione pubblica è necessario avere una certa dose di sottigliezza e cinismo. I nemici di Israele sono sul piede di guerra, e l’attuale campagna danneggerà Israele molto più di quanto abbiano fatto in passato l’Intifada o il terrorismo suicida. E anche se i Palestinesi ricominceranno con gli attentati, la Turchia sarà comunque riuscita a dipingere Israele come il principale istigatore di violenza.

 

Israele si trova in acque buie, e non sa come uscirne. Non è detto che i Palestinesi riescano a sfruttare a fondo la situazione, ma sicuramente si trovano ora in posizione di forza. Probabilmente il prossimo passo sarà la richiesta di sanzioni contro Israele, il che metterà in secondo piano la richiesta di nuove sanzioni all’Iran. E questo potrebbe causare una crisi politica in Israele. Se il governo sopravvivrà, Israele avrà la massima libertà d’azione ma rimarrà isolato sul piano internazionale. Se il governo cadrà, Israele entrerà in un periodo di incertezza sul piano interno. Qualsiasi sia l’esito, la spedizione navale turca ha raggiunto la sua missione strategica.

 

A cura di Davide Meinero

 

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