Cina-USA
braccio di ferro sull'economia?

01/04/2010

Negli ultimi mesi le relazioni fra Cina è USA si sono fatte più tese: Washington ha minacciato più volte Pechino di imporre dazi sulle importazioni cinesi se non rivaluta lo RMBY. Attualmente l’economia cinese è la quarta maggiore al mondo dopo USA, Giappone e Germania, ma - a differenza degli altri paesi - la Cina mantiene artificialmente fisso (o quasi) il tasso di cambio della propria valuta,  mantenendo così artificialmente basso anche il prezzo dei propri prodotti all’esportazione.   Il sistema economico cinese è costantemente instabile.   Il governo gestisce la quasi totalità del risparmio delle famiglie e delle aziende, e lo utilizza per mettere le banche di stato in grado di erogare prestiti a tassi inferiori a quello del mercato finanziario libero. È incredibile la capacità di un paese di incrementare occupazione e crescita se può usare a proprio piacimento i risparmi di circa un miliardo di lavoratori! Tuttavia il sistema cinese traballa ogni volta che c’è una  crisi economica, perché i cittadini  si ribellano quando manca il lavoro, o quando le condizioni di lavoro raggiungono condizioni di grande squilibrio. In Cina vivono 1,3 miliardi di abitanti, e fra questi più di 600 milioni di cittadini urbani vivono con 7 dollari al giorno in media, i restanti 700 milioni - che vivono nelle campagne-  sopravvivono con 2 dollari al giorno.    Secondo le statistiche ufficiali i consumi cinesi sono pari a quelli della Francia – che ha un ventesimo della popolazione e la metà del PIL della Cina. D’altronde il sistema economico cinese è chiaramente orientato verso le esportazioni. Il che ci porta al problema della dipendenza. Il mercato cinese non può assorbire tutta la produzione interna, dunque le merci devono necessariamente essere esportate all’estero - soprattutto negli USA. La recente crisi economica però ha fatto diminuire di un quinto le esportazioni cinesi. Per mantenere la calma sociale,  Pechino ha offerto denaro (prestiti a tasso ridottissimo) alle famiglie cinesi per aumentare la domanda e dare maggiore impulso ai consumi.   Secondo le stime le esportazioni non raggiungeranno i livelli pre-crisi prima del 2012, e dunque la Cina sta cercando di trovare soluzioni alternative. Pechino sta valutando l’idea di legalizzare una parte del settore finanziario  privato – costituito da un gruppo di banche o di unioni creditizie che offrono prestiti alle piccole aziende. In passato la Cina ha adottato la gestione centralizzata dei risparmi, ma ora ha capito che le entità più piccole possono prestare denaro in maniera più efficiente – e a lungo termine generare maggiore impiego anche senza sussidi statali.   Per ora però questa idea è ancora in fase di sperimentazione, e inoltre non è sufficiente a risolvere i principali problemi economici del modello cinese. Pechino teme che l’assetto finanziario cinese abbia raggiunto il punto di massima espansione, e che sia dunque necessario invertire la rotta.   Peraltro il sistema cinese finora è stato tenuto al riparo dalle intemperie da un fattore strutturale dell’economia globale: gli accordi di Bretton Woods.   Bretton Woods e l’economia cinese   Alla fine della Seconda Guerra Mondiale la Germania e il Giappone erano rasi al suolo, e quasi tutta l’Europa era in ginocchio. In base agli accordi di Bretton Woods – siglati fra gli Stati Uniti e gli alleati occidentali verso la fine della guerra – l’Europa avrebbe potuto esportare liberamente le proprie merci sul mercato americano, pagando dazi insignificanti, in modo da riprendersi rapidamente, e in cambio gli Stati Uniti avrebbero avuto mano libera nelle decisioni sulla sicurezza e sulla politica estera degli stati europei. Di fatto gli Americani decisero di sobbarcarsi un peso economico - allora modesto - in cambio della possibilità di ridisegnare la mappa economico-militare dell’Europa. Grazie agli accordi di Bretton Wood gli Europei poterono ricostruire rapidamente le proprie economie, e gli Stati Uniti ebbero l’opportunità di mantenere una rete di alleanze nate durante la Seconda Guerra mondiale, di cui servirsi nella competizione con l’Unione Sovietica.   Questa strategia venne estesa anche ai grandi sconfitti della Seconda Guerra Mondiale - Germania e Giappone - e poco dopo a Corea, Singapore e altri paesi. Militarmente ed economicamente la strategia di Bretton Woods divenne la colonna portante della strategia di contenimento dell’URSS. In principio la bilancia commerciale degli Stati Uniti rispetto agli alleati era in attivo - a causa della loro scarsa produttività dovuta ai danni di guerra – ma nell’arco di una generazione la situazione cambiò e il deficit commerciale USA divenne costante. Tuttavia i benefici erano superiori ai danni economici, tant’è che alla fine il blocco occidentale riuscì a vincere sul blocco sovietico. Ed è qui che entra in gioco la Cina. In base agli accordi di Bretton Woods gli Stati Uniti si erano impegnati ad aprire i propri mercati ed evitare politiche protezioniste o mercantilistiche verso gli alleati, e alla fine pur di vincere la battaglia contro l’URSS questo privilegio venne esteso anche alla Cina.   Ma ora la situazione potrebbe cambiare. Il presidente Barack Obama intende cambiare gli accordi di Bretton Woods e rivoluzionare il sistema finanziario internazionale per evitare future crisi finanziarie. L’obbiettivo dell’ Iniziativa Nazionale per le Esportazioni (NIE)  promulgata  di recente mira a raddoppiare le esportazioni statunitensi nei paesi in via di sviluppo nell’arco dei prossimi cinque anni –  Cina in primis. Il nuovo NIE fa presagire che gli Stati Uniti cercheranno di competere sul mercato internazionale delle esportazioni, il che potrebbe mettere in difficoltà i Cinesi.   La opzioni della Cina.   La Cina non ha molte armi per impedire alle merci statunitensi di fluire sul mercato cinese. Il 36% delle esportazioni cinesi infatti è destinato agli USA, e se Pechino decidesse di ostacolare le esportazioni statunitensi, Washington potrebbe rispondere alzando i dazi e riducendo così le importazioni dalla Cina.    La Cina potrebbe smettere di comperare le obbligazioni del Tesoro USA, che finanziano il debito pubblico statunitense – e potrebbe disfarsi di quelle che già possiede senza fare mosse eclatanti. Maacquistando obbligazioni statunitensi, i Cinesi alimentano indirettamente il mercato dei consumi statunitensi – che può assorbire quantità maggiori di merci cinesi. Se i tassi di interesse statunitensi aumentassero a causa della riduzione del capitale disponibile,  l’economia americana potrebbe entrare in crisi – causando danni ancora maggiori all’economia cinese.   Per dissuadere gli Stati Uniti dal perseguire una politica commerciale aggressiva i Cinesi potrebbero forse decidere di collaborare sulla questione nucleare iraniana.     Pechino sa che il problema delle esportazioni cinesi sarà al centro del dibattito politico delle prossime elezioni statunitensi per il Congresso. Sarà molto significativa delle intenzioni del governo USA la sentenza del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, che il 15 aprile prossimo stabilirà se la Cina manipola realmente la valuta. Se la sentenza sarà sì, significherà che il governo USA intende davvero decidere di alzare i dazi.   Se  l’amministrazione americana avesse già preso la decisione di fondo di abbandonare la politica di Bretton Woods, le mosse di Pechino - anche se favorevoli agli USA - non potrebbero far cambiare la decisione di fondo. La rinuncia alla strategia politica di Bretton Woods da parte degli USA potrebbe soffocare l’economia della Cina, costringendola ad agire rapidamente per evitare una gravissima crisi economica.  Una cosa è certa: il governo cinese non resterebbe a guardare, e farebbe tutto ciò che è in suo potere per sopravvivere alla crisi.  

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