Limiti e ambizioni della Repubblica Islamica

22/12/2009

Il 18 dicembre scorso un piccolo contingente iraniano è penetrato in Iraq prendendo il controllo del pozzo petrolifero di Fauqa (vedi mappa a lato). Il confine fra Iraq e Iran in questa regione non è ben delimitato e in passato si sono verificate numerose dispute territoriali. In questo caso però non si tratta di una semplice scaramuccia di confine: al contrario questa mossa ha un significato altamente simbolico, specialmente in questo periodo, dal momento che le trattative dei paesi del 5+1 sul nucleare si risolveranno quasi certamente in un fallimento. Teheran ha giocato d’anticipo per ricordare a Stati Uniti e Israele che potrebbe decidere di giocare d’anticipo prima che Stati Uniti e Israele decidano che fare.

L’incursione è stata architettata in modo tale da non spingere gli Stati Uniti ad una reazione immediata - la posizione del pozzo era alquanto ambigua e fortunatamente non si sono registrate vittime. Il prezzo del petrolio però ha immediatamente inziato a salire.

Ora che la situazione è più calma, occorre compiere alcune considerazioni su quanto è avvenuto:

·         l’Iran ha fatto capire agli Stati Uniti di poter dettare i tempi degli avvenimenti mediorientali senza aspettare che Washington agisca per prima;

·         inoltre ha dimostrato di essere in grado di condizionare il prezzo del petrolio – e quindi di  poter mettere a repentaglio la ripresa economica statunitense e mondiale.   

 

Guerra vs. Sanzioni

In caso di attacco militare, l’Iran ha tre opzioni a sua disposizione:

1)      bloccare il flusso di petrolio attraverso lo stretto di Hormuz e il Golfo Persico attaccando le petroliere con missili antinave;

2)      destabilizzare l’Iraq servendosi dell’arma del terrorismo;

3)      scatenare Hezbollah contro Israele aprendo così un nuovo fronte di guerra in Medio Oriente.

Sembra quindi chiaro che in caso di guerra gli stati Uniti sarebbero costretti a servirsi non soltanto dell’aviazione, ma anche della fanteria. Infatti prima di attaccare le infrastrutture nucleari è necessario prevenire le contromosse iraniane.

In caso di guerra gli Stati uniti dovrebbero innanzitutto:

1)      distruggere i vascelli dotati di razzi anti-nave della flotta iraniana;

2)      attaccare le truppe iraniane lungo il confine con l’Iraq e le infrastrutture iraniane in Iraq;

3)      neutralizzare le basi di Hezbollah in Libano e in Siria.

Gli Stati Uniti penseranno due a lungo prima di muovere guerra alla Repubblica Islamica - e faranno di tutto per impedire ad Israele di prendere l’iniziativa.

Washington intende innanzitutto introdurre nuove sanzioni sulla benzina .

Se le sanzioni non funzionassero, Washington potrebbe decidere di intervenire militarmente - e la Repubblica Islamica ne è perfettamente consapevole.

Come afferma George Friedman - direttore di Strategic Forecast - in una recente analisi, nel caso in cui Teheran si sentisse soffocare (o per effetto delle sanzioni o per la minaccia di un attacco militare) sarebbe spinta ad attaccare per prima, per evitare che i nemici  neutralizzino le armi a sua disposizione.

Lo scontro militare si può evitare esclusivamente in due casi: se l’Iran rinuncia alle sue ambizioni nucleari o se gli Stati Uniti decidono di poter convivere con un Iran nuclearizzato. Per ora nessuna delle due parti sembra disposta a cambiare la propria posizione. Allo stesso tempo però né Washington né Teheran desiderano il ricorso alle armi, perché temono di non essere in grado di raggiungere gli obiettivi – gli Americani non sono certi di riuscire a distruggere le infrastrutture nucleari e arginare le contromosse iraniane, mentre la Repubblica Islamica teme la potenza americana.

 

Sul fronte interno

Il funerale dell’ayatollah Montazeri, anziano e influente oppositore del regime morto il 19 dicembre 2009 all’età di 87 anni, è diventato un pretesto per organizzare vaste proteste contro il regime clericale. Montazeri, stretto collaboratore di Khomeini (ed erede designato) era stato forzatamente allontanato dalla politica iraniana da Khomeini stesso nel 1989 per aver criticato la brutale repressione contro i dissidenti nell’estate del 1988.

Sul piano interno la situazione in Iran sta nuovamente degenerando. Dopo le elezioni farsa dello scorso giugno il malcontento è cresciuto a dismisura e gli oppositori hanno iniziato ad organizzare manifestazioni di piazza contro il regime degli ayatollah. Il governo ha reagito duramente alla protesta massacrando i manifestanti e schiacciando l’opposizione. Dopo un relativo periodo di calma, la protesta è nuovamente riemersa con forza e non sembra placarsi.

Il crescente malcontento popolare rappresenta una grave minaccia per il regime iraniano, specialmente ora che sta trattando con la comunità internazionale sulla questione nucleare. Non è escluso che il regime scateni una guerra nel tentativo di consolidare il potere all’interno riunificando le varie fazioni in nome del nazionalismo – anche se non vi sono garanzie che la popolazione, esasperata da trent’anni di violazioni, risponda all’appello.

È difficile fare previsioni certe al momento, ma vista la crescente tensione interna difficilmente la situazione rimarrà invariata. Non è detto che il regime sia sull’orlo del collasso, ma certamente si trova fra l’incudine e il martello e le possibilità di sopravvivenza sono meno certe.

 

A cura di Davide Meinero

 

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