Il proliferare del jihadismo radicale
di Tarek Heggy

02/11/2009

Tarek Heggy è uno dei più illustri pensatori egiziani, oltre che un abile ed esperto uomo d'affari. Fondatore e presidente di una società petrolifera nel Regno Unito, consulente strategico delle maggiori aziende petrolifere mondiali, docente di diritto, conferenziere e scrittore, le sue analisi storiche, politiche, sociologiche del mondo egiziano e del mondo islamico sono considerate acute e concrete. Tarek Heggy è un pensatore liberale che conosce e capisce la società egiziana a fondo e dall'interno.   È autore di una ventina di libri. In Italia alcuni suoi testi sono stati tradotti da Valentina Colombo. Sul suo sito: http://www.tarek-heggy.com/English-resume.htm si trovano testi in arabo, inglese, francese.   Alleghiamo qui una traduzione riassuntiva (opera di Fulvio Miceli) del suo saggio:  'Il proliferare del Jihadismo radicale ', la cui tesi centrale è che nel mondo islamico il dispotismo corrotto dei governi ha soffocato ogni organizzazione politica e culturale, eccetto le più  estreme e sotterranee. Quando un regime dispotico cade, sono queste sette sotterranee e radicali che riemergono,  perché ogni altra forma di pensiero e di organizzazione sono stati stroncati. Queste sette radicali a loro volta impediscono la nascita di altre forme di pensiero e di  organizzazione  sociale ed economica: è un circolo vizioso che non può essere interrotto che con l'eliminazione dei dispotismi e l'educazione dei giovani al pluralismo e alla libertà. Processo lungo e difficile, ma ineludibile.   È interessante anche l'analisi di come l'Islam razionale e tollerante sia stato schiacciato negli ultimi 40 anni dal potere economico della variante di islam wahabita, intollerante e repressiva.  

Il proliferare del jihadismo radicale

di Tarek Heggy

1- Il combustibile dell’Islam intollerante

Molti attribuiscono l’attuale diffondersi dell’estremismo religioso a fattori esterni, come l’incitamento e i finanziamenti stranieri ai movimenti estremisti. Questa attribuzione e? estremamente pericolosa perche?, presentando la questione dell’estremismo religioso come un problema di sicurezza, lo si esclude dal campo dei problemi suscettibili di soluzioni politiche. Coloro che frettolosamente puntano un dito accusatore verso forze esterne dovrebbero capire che un paese aperto alla tolleranza sociale, alla fraternita? e alla pace non sarebbe stato vulnerabile ad interferenze esterne, e questo significa che fattori locali devono aver creato un clima favorevole perche? tali tentativi avessero successo.

A. Oppressione politica

Negli ultimi decenni, molte societa? nel mondo islamico sono state soggette a diversi tipi di governo dispotico. Questo in molti casi ha condotto a una spirale discendente. Fra i molti effetti negativi dell’oppressione politica il piu? pericoloso e? il blocco della mobilita? sociale, nel senso che esso limita per i cittadini piu? qualificati la possibilita? di salire a posizioni di comando in vari campi. Persone mediocri arrivano ad occupare posizioni di vertice accettando e sostenendo l’oppressione, mostrando una lealta? incondizionata ai loro superiori. La mancanza di mobilita? sociale distrugge la competenza ad ogni livello. La mancanza di competenza a sua volta produce il collasso di tutte le istituzioni e una diffusa mediocrita? diviene la norma. Questo a sua volta genera una potente energia negativa, vale a dire la disperazione e la rabbia, di cui si nutre la mentalita? violenta. Questa mentalita? porta alla svalutazione della vita umana, propria e altrui, e diffonde il desiderio di vendetta.

Per gli stessi meccanismi l’oppressione impedisce lo sviluppo della societa? civile, produce una generale incompetenza e divide la vita politica in due livelli:

- un livello alla luce del sole (che appartiene esclusivamente ai governanti e alle loro corti)

- un livello sotterraneo (che appartiene ai seguaci di Wahhabi, di Qutbi, o di altre simili versioni dell’islam che ricevono il migliore allenamento possibile a crescere nel segreto del sottosuolo)

Se si verificano cambiamenti che causano la caduta e la rimozione del despota in queste societa? (Suharto in Indonesia, Saddam Hussein in Iraq), allora emergono i sostenitori delle interpretazioni fanatiche dell’islam come uniche forze politiche esistenti, proponendosi come salvatori. Tuttavia essi porteranno le loro societa? piu? profondamente nel sottosviluppo, distanziandole ancora di piu? dall’eta? moderna e sprofondandole ancora di piu? nei problemi sociali. Molte persone si ingannano pensando che questi fanatici siano il solo potere politico prodotto da queste societa?. Ma come ho spiegato, qui nasce la confusione: questo stato di cose e? prodotto dai governanti dispotici e dai loro regimi autocratici che uccidono la mobilita? sociale.

Una buona domanda e?: perche? questo e? il solo modello che emerge ogni qualvolta cade un regime oppressivo in un paese musulmano o arabo? La risposta e? semplice: questo e? il risultato della diffusa disperazione di chi vive sotto un regime autocratico che non permette attivita? politiche alla luce del sole, per cui le sole organizzazioni che possono sopravvivere nell’ ombra sono quelle che operano nel sottosuolo.

La cura deve partire dal primo anello della catena, non dall’ultimo. Le istituzioni educative e i media sono incapaci di riparare questo disastro, perche? compromessi da una leadership incompetente.

 

 

Il wahhabismo e i valori tribali

Negli anni tra il 1967 e il 1973, studiando per una laurea in legge e per un master in diritto comparato, acquisii una rudimentale conoscenza dei principi della giurisprudenza islamica. Piu? tardi, mentre insegnavo all’universita? all’estero, incominciai a sviluppare una conoscenza piu? approfondita dell’argomento.

In breve capii che non abbiamo a che fare soltanto con un singolo modello di islam, ma con una moltitudine di interpretazioni di differenti scuole. I testi islamici sono suscettibili di diverse interpretazioni. Alcuni dei primi convertiti all’Islam ammisero qualcosa di simile mille e quattrocento anni fa quando dissero “Il Corano mostra molte facce”. Ancora, cio? che conta non e? la scrittura o il testo, ma le persone che lo leggono, lo comprendono e lo presentano.

La pratica di affidarsi a un testo ignorando ogni altro aspetto e? un processo distruttivo che si presta ad abusi. Non si puo? brandire un testo come rivelazione divina al di fuori dal suo contesto storico, umano e cronologico.
Per esempio: le fonti della giurisprudenza e il numero degli hadith (detti) del Profeta variano molto da una scuola all’altra. Il grande giurista Abu Hanifah accetto? appena un centinaio di precetti apostolici, mentre il teologo conservatore Ahmed Ibn-Hanbal ne accetto? oltre dieci mila nel suo libro Al-Musnad. Cosi? gli Hanafiti puntano sull’istihsan (letteralmente preferenza, che significa utilizzare poche tradizioni ed estrarre dal Corano cio? che e? adatto alle loro idee), mentre i Malikiti si basano sull’istisiah (vantaggio pubblico). Quindi abbiamo quelli che insistono in una interpretazione dogmatica dei testi sacri e altri che, come Ibn Rushd, rifuggono da un’interpretazione restrittiva in favore del ragionamento deduttivo (al ta weel).

Anche quando si arriva al consumo delle bevande alcoliche, per esempio, abbiamo differenti opinioni. Mentre la maggior parte dei giuristi interpretano il testo che affronta l’argomento come se proibisse del tutto il bere, altri come Abu Hanifa credono che il divieto si applichi solo all’ubriachezza. Egli ha reso chiara la sua visione della questione nel seguente passaggio:
“Se il farlo mi precipitasse all’inferno non berrei

Ma anche se io fossi precipitato all’inferno, non definirei il bere peccaminoso”

Le radici del wahhabismo.

Fin dal primo secolo dell’era islamica l’islam ha conosciuto sette radicali che hanno chiesto ai fedeli cieca adesione alla loro rigida lettura degli articoli di fede, fianco a fianco all’islam maggioritario, i cui aderenti rifiutano la violenza e non sostengono di avere il monopolio della verita?. Il fenomeno incomincio? con l’emergere degli Al-Khawarij (scismatici) nel 660 d.c., a meta? del primo secolo dall’ Hijra (il loro esito dottrinale piu? importante e? la scuola di Abadeya, ancora prevalente in una piccola regione dell’Algeria e nella maggior parte del sultanato dell’Oman). Questa era una setta che predicava un’interpretazione dogmatica della scrittura e bollava come eretici coloro che non accettavano i suoi insegnamenti. Fu la prima di queste sette, ma non l’ultima.

Tra i primi vi fu Hamdan Ibn Qarmat, che rimosse la Pietra Nera della Ka’bah, e l’ultimo e? l’uomo che ora si nasconde nelle caverene del Waziristan, Osama Bin Laden. Tra questi due vi e? stato Sayed Qutb, che se ne usci? con una teoria che continuera? ad essere un muro che separa i musulmani dal resto dell’umanita? e da ogni speranza di progresso finche? non sara? abbattuto. Conosciuta come “teoria del dominio divino”, postula che i mortali non sono governati dai

mortali, ma da Dio. Chi, dunque, potreste giustamente chiedere, rende nota ai mortali la volonta? di Dio ? La risposta, naturalmente, e? “noi, gli ulema”! E’ una teoria che mantiene i musulmani ostaggi di una teocrazia sorpassata dalla marcia del progresso umano e li pone alla merce? di una struttura di potere dominata da una casta di chierici, nonostante il fatto che nella maggior parte delle dottrine musulmane non vi sia qualcosa come un clero islamico e una mediazione tra l’uomo e Dio.

A fianco dei gruppi e delle sette i cui membri insistevano su una interpretazione letterale dei testi sacri e stabilivano regole severe che governavano ogni aspetto delle vita, ci fu la tendenza generale rappresentata nelle maggiori scuole sunnite (le piu? importanti delle quali sono l’hanbalita, la malikita, la shafita e l’hanafita e le loro diramazioni iniziate da Al Laith e Al Tabari) cosi? come negli sciiti, che sono divisi in numerose sette. La setta sciita piu? importante e? l’Imamiyah o Ithna’ashariyya , vale a dire i duodecimani, cosi? chiamati perche? riconoscono come imam il dodicesimo discendente di All Ibn –Abl Talib (secondo le loro credenze, il dodicesimo imam, che scomparve nell’847 d.c., e? ancora vivo e ritornera?). E’ all’interno di questa tendenza generale che emersero i piu? eminenti sostenitori del ragionamento deduttivo, come il grande giurista Abu Hanifa, cosi? come i campioni intransigenti della tradizione , come Ahmad Ibn-Hanbal.

Il conservatore Ibn-Hanbal funse da baluardo dell’ortodossia e della tradizione contro ogni sforzo intellettuale e per un certo periodo esercito? una considerevole presa sull’immaginazione del pubblico. La sua influenza alla fine calo?, ma prima del declino che precedette la recente rinascita nel 1744 d.c., la tradizione regnava suprema e alla ragione veniva lasciato uno spazio molto ristretto. I due maggiori discepoli di Ibn –Hanbal furono Ibn.Taymiyah e Ibn-Qaiym A-Jawzweya, che, come il loro mentore, non accordavano nulla alla ragione o al pensiero indipendente, ma insistevano in una aderenza dogmatica agli hadith come fonte autorevole in ogni materia spirituale e temporale, stabilendo severe linee guida per governare ogni aspetto della vita quotidiana.

Inoltre il mondo dell’islam fu lo scenario di una battaglia di idee tra Abu Hamid Al-Ghazali (Algazel), un rigido tradizionalista che non credeva alla capacita? della mente umana di afferrare la verita? decretata da Dio, e Ibn Rushd (Averroe?), che difese il primato della ragione.
Gli esponenti di queste due scuole combatterono un’aspra battaglia nella quale i primi colpi furono sparati da Al-Ghazali con il suo libro “L’incoerenza dei filosofi” (
Tahafut al-Falasifah). Ibn Rushd rispose con il suo brillante trattato in difesa della razionalita? “L’Incoerenza dell’Incoerenza” (Tahafut Al Tahafut). Ma a dispetto della sua ispirata difesa, l’esito della battaglia fu chiaramente a favore di Al Ghazali, e la grande maggioranza dei giusristi islamici adotto? le ide?e di quest’ultimo, e interpreto? i precetti della legge islamica facendo appello all’autorita? della tradizione e disprezzando del tutto la ragione deduttiva. La giurisprudenza islamica fu dominata dai mutakalimun che asserivano il primato della tradizione (naql) sulla ragione (aql), come sostenuto da Al-Ghazali contro Ibn Rushd.
Quando confronto alcune delle opera di Al-Ghazali – come “Il risveglio delle scienze religiose” (
Ihya Ulum ad-Din), “Il Criterio della Conoscenza” (Mi’yar al- Elm) , “Il criterio del lavoro” (Mi’yar al-‘Amal), “Salvezza dalla Perdizione”, l’”Essenza dell’Ortodossia” (Al-Mustafa Min Elm al-Osoul) e “L’Incoerenza dei Filosofi” (Tahafut al-Falasifah), che chiaramente mancano di razionalita?, con gli scritti di Ibn Rashud come “La relazione della Legge religiosa con la filosofia” (Fasl alMaqal fi bayn al-Shari’awa al-hikma min al-Ittisal), La dottrina islamica e le sue prove (Al-Kashf `an Manahij al-Adilla fi `Aqa'id al-Milla), nei quali la razionalita? regna suprema, sono meravigliato che la battaglia combattuta dieci secoli fa tra gli esponenti di queste due scuole possa essersi conclusa con una chiara vittoria di Al-Ghazali e una schiacciante sconfitta di Ibn Rushd. Da nessuna parte la differenza di approccio tra i due uomini e? piu? evidente che nel lavoro cruciale menzionato sopra : “L’incoerenza dei filosofi” di Al Ghazali e “L’Incoerenza dell’Incoerenza “ di Ibn Rushd

Per anni ho cercato di comprendere perche? i musulmani abbiano scelto di seguire la linea sostenuta da Abu Hamid Al-Ghazali, il sostenitore dell’ortodossia e della tradizione per il quale conoscenza significa soltanto conoscenza religiosa , che cancello? del tutto il ruolo della mente negando la possibilita? di acquisire la conoscenza tramite l’intuizione, piuttosto che la linea sostenuta da Ibn Rushd, che sostenne il primato della ragione e sparse i semi di un rinascimento cui abbiamo rinunciato. Perche? le idee di Al-Ghazali vennero accolte cosi? prontamente, mentre quelle di Ibn Rushd vennero rifiutate ? Credo che la risposta a questo paradosso possa essere sintetizzata in una parola: dispotismo. Sono anche stupito di come gli storici del pensiero islamico abbiano celato il fatto che Al-Ghazali sia stato sempre un sostenitore dei governanti dispotici, al contrario di Ibn Rushd, che fu costante fonte di irritazione per i tiranni determinati a mantenere i loro sudditi in uno stato di inerzia intellettuale, onde garantire la perpetuazione delle status quo ed evitare che la loro autorita? venisse sfidata.

In un periodo nel quale il dispotismo nella nostra parte del mondo era al suo culmine, non e? sorprendente che i governanti musulmani abbiano trovato le idee di Al Ghazali piu? attraenti di quelle di Ibn Rushd. La linea ortodossa era anche piu? attraente per i loro sudditi che, sotto il giogo della tirannia, trovavano piu? sicuro e meno impegnativo assecondare le visione di chi non chiedeva loro altro che la sospensione delle loro facolta? critiche.

Il mondo musulmano e? stato governato da despoti che non sopportavano nessuna sfida alla loro autorita? e da una dirigenza religiosa altrettanto dispotica che ha screditato l’uso della ragione e ha richiesto un’adesione cieca all’autorita? della tradizione. Le cose non sono pero? soltanto bianche o nere. E’ vero, i musulmani hanno perso un’opportunita? storica di usare le idee di Ibn Rushd come un trampolino che li avrebbe messi su una via simile a quella che ha portato l’Europa dal pensiero oscurantista del XII secolo al vigoroso clima intellettuale che incoraggia il dibattito, il libero pensiero, la liberta? nella letteratura, nelle arti e nelle scienze. E’ anche vero, pero?, che i musulmani hanno conosciuto sia un islam che permetteva di accettare l’altro, sia un altro rigido, dottrinario, che reprime violentemente il libero pensiero. Il primo, che io chiamo “modello islamico turco- egiziano”, prevale nel clima intellettualmente piu? vibrante delle genti discendenti dalle antiche civilta? in luoghi come l’Egitto, l’Iraq, la Turchia e il Medio Oriente. Il secondo puo? essere descritto al meglio come il “modello beduino”, ed e? stato esposto dalle sette segrete (limitate nel numero e nell’influenza) che emersero in aree remote della penisola araba nel momento dell’ascesa del wahhabismo, un movimento puritano di rinascita religiosa lanciato da Mohamed Ibn-Abdul Wahhab di Najd, che nacque nel 1703.

Anche se il primo modello di islam non puo? in nessun modo essere descritto come secolare, adotta un approccio illuminato alla religione, che ha a che fare con un sistema di credenze spirituali piuttosto che con un sistema che regola ogni aspetto della vita e le relazioni sociali. Anche se non si puo? affermare che abbia raggiunto il livello dell’illuminismo, il pensiero progressista e la liberta? che caratterizzano le idee di Ibn Rushd e? nondimeno un islam affabile e tollerante che puo? convivere con gli altri, e di fatto lo fa.

Il modello di islam beduino, completamente differente, ha preso forma tra le comunita? geograficamente isolate che vivono lontano dalle coste e dunque dall’esposizione al resto del mondo. La loro insularita? forni? un terreno di coltura ideale per le idee di Ibn Taymiyah, Ibn Qaiyim Al-Jawzeya e, intorno alla fine del diciottesimo secolo Mohamed Ibn-Abdul Wahhab.. Da allora questo modello si e? trasformato in una potente ideologia grazie alla combinazione delle idee di Sayed Qutb (teorico dei Fratelli musulmani, sostenitore della lotta violenta al potere secolare, ndt), dei petrodollari e di una serie di errori da parte di attori internazionali. Un errore di questo tipo e? cio?

che accadde in Afghanistan alla fine degli anni 70. Un’altra fu la decisione malconsigliata del presidente Sadat di lasciare briglie sciolte ai gruppi islamici e considerarli alleati nella loro guerra contro la sinistra. Non sorprendentemente il colpo di stato fu orchestrato dal membro anziano del Fratelli Musulmani e loro portavoce, il ricco uomo d’affari e stretto confidente di Sadat, Osman Ahmad Osman.

La crescita del wahhabismo

L’uomo che fondo? il wahhabismo non era un teologo, ma un propagandista determinato a convertire i fedeli alla sua dura versione dell’islam. Intellettualmente vicino ai teologi dialettici musulmani che asserivano il primato della tradizione (naql) sulla ragione (aql) Mohammed Ibn-Abdul Wahhab fu un discepolo di Ibn-Taymiyah, un rigido tradizionalista che accordava alla ragione e al pensiero indipendente un ruolo molto ridotto. Fu anche un prodotto del suo ambiente geografico, un remoto avamposto della storia. A differenza dell’Egitto, della Siria, del Libano, dell’Iraq e dello Yemen, dove fiorirono antiche civilta? che lasciarono il loro marchio nella storia dell’umanita?, o di luoghi come lo al-Hijiaz e numerose citta? della costa del Golfo, che si trovano su vie di comunicazione e hanno importanti legami con il mondo esterno, il deserto di Najd nella regione orientale di quella che oggi e? l’Arabia Saudita non ha una civilizzazione degna di nota prima dell’islam. Ne? e? diventata un centro culturale come le varie capitali del Califfato, Medina, Damasco, e Baghdad. Per via del suo paesaggio arido e sterile, la regione del Najd rimase culturalmente arretrata, il suo unico contributo all’arte e? una forma di poesia tradizionale che tratta di materie strettamente tribali.

Nel 1744 Abdul Wahhab forgio? un’alleanza con il sovrano dell’Al-Dir’iyah, un capo tribale di nome Mohamed Ibn-Saud, che divenne suo genero. L’alleanza condusse alla prima incarnazione dello stato saudita, che, nel 1804, aveva esteso il proprio controllo su quasi un milione di metri quadri della penisola araba.

Uno confronto tra i due modelli di islam era inevitabile e, nel secondo decennio del diciannovesimo secolo, si scontrarono sul campo di battaglia. Mohamed Ali, che fece entrare l’Egitto e l’intera regione nell’era moderna, invio? un enorme esercito nella penisola araba. Guidata prima dal figlio del sovrano egiziano, Tousson, poi dal giovane fratello di quest’ultimo, Ibrahim, l’esercito aveva come obiettivo la distruzione dello stato appena costituitosi nella provincia orientale della penisola araba. Basato nel Najd, lo stato era governato secondo la rigida interpretazione wahhabita dell’islam. Nel 1818, sotto il comando di Ibrahim Pasha, probabilmente il piu? grande dei figli del sovrano egiziano, l’esercito egiziano - e con esso il piu? illuminato modello turco-egiziano di islam - emerse vittorioso dallo scontro. Esso sconfisse il nemico, distrusse la sua capitale , Al-Die’iyah, e catturo? i suoi leader, che vennero in seguito giustiziati a Istanbul. La decisione di Mohamed Ali di mandare prima suo figlio Tousson, seguito da suo figlio Ibrahim Pascia?, conosciuto per le sue capacita? militari, a distruggere il primo stato saudita, ebbe implicazioni che andarono molto al di la? delle ambizioni politiche e militari di un singolo uomo. Fu di fatto l’espressione di in confronto culturale e di civilta? tra i due modelli di islam. Un confronto che l’illuminato modello turco- egiziano decise di portare nella roccaforte dell’ oscurantista, estremista e fanatico modello wahhabita. Mohammed Ali, che era estremamente colpito dal modello di sviluppo europeo e non vedeva contraddizione tra questo e le sue credenze islamiche, credeva che l’interpretazione wahhabita dell’islam fosse uno degli ostacoli principali sulla via del sogno - nutrito da quando giunse al potere nel 1805 fino all’abdicazione in favore di suo figlio Ibrahim bel 1848 - di collocare l’Egitto su una simile via di sviluppo. La versione principale, moderata, tollerante dell’islam, che accettava di coesistere in pace con gli altri e non era patologicamente avversa al progresso e alla modernita? emerse vittoriosa dal suo scontro con le forze dell’oscurantismo, ma piu? tardi fu costretta a retrocedere in seguito ai fattori interni gia? menzionati, vale a dire l’oppressione, l’assenza di mobilita? sociale, la diffusione dell’incompetenza, la disperazione, un sistema educativo

superato e la corruzione.

 

Il collasso dell’Impero Ottomano dopo la prima guerra mondiale pose fine all’ascesa turca, mentre l’influenza egiziana diminui? in coincidenza con il declino dell’ economia e del sistema educativo. Nello stesso tempo i sostenitori del modello di islam che richiedeva una stretta aderenza alla lettera della scrittura e chiudeva la porta alla razionalita? si trovarono improvvisamente a controllare una enorme ricchezza, senza precedenti nella storia (data dai giacimenti petroliferi, ndt). Questo diede ai Sauditi un enorme vantaggio sui loro rivali moderati e permise loro di estendere la loro influenza nella tradizionale roccaforte del modello turco-egiziano di islam, dove condussero una campagana sistematica pe cooptare personalita? e istituzioni dell’establishment. Il successo di questa campagna trovo? la sua espressione piu? saliente nell’emergere di movimenti fanatici come quello dei Talebani.

L’aspro e spietato ambiente del Najid spiega perche? Ibn-Abdul Wahhab vi trovo? un pubblico recettivo al tipo di islam altrettanto aspro e spietato che predicava. Lo stesso ambiente che produsse il fondatore del wahhabismo, produsse piu? tardi il movimento radicale degli Ikhwan che sfido? l’autorita? del Re Abdul Aziz Ibn-Saud. Negli anni 20 del Novecento il re si scontro? con gli Ikhwan, che apertamente lo accusarono di deviare dalla vera fede. Quando ritorno? a Riyadh dopo aver unito l’Hijaz al suo regno, gli Ikhwan dissero che era partito su un cammello ed era tornato su una automobile americana ! Questa fu solo uno di molti scrontri tra il movimento e il re su questioni come il decidere se la radio fosse peccaminosa e il telefono un’invenzione del diavolo: conflitti su ogni frutto della modernita? che minacciasse la loro visione fondamentalista del mondo. Visione che puo? essere compresa soltanto studiando le sette segrete dell’islam e il messaggio di Mohamed Ibn- Abdul Wahhab, prodotto di molti fattori, incluso l’ambiente sociologico e geopolitico del deserto di Najd. Questi fattori permisero ai Wahhabiti, dopo l’invasione dell’Hijaz, di imporre la loro austera visione dell’Islam nella penisola araba. Tra le altre cose, essi proibirono le tombe e ogni struttura che identificasse siti di sepoltura. Combatterono il sufismo alla Mecca e ovunque, in quanto contrario all’insegnamento dell’islam. Giunsero anche allo scontro armato per il mahmal, una splendida lettiera decorata sulla quale gli egiziani inviavano ogni anno una nuova copertura per la Ka’bah. La cerimonia del mahmal era una felice occasione celebrata dagli egiziano con il loro tradizionale amore per la musica, la danza e la baldoria. Per i Najidi queste disdicevoli manifestazioni di frivolezza non potevano essere tollerate

Educazione difettosa

Il sistema educativo nella maggior parte delle societa? islamiche e arabe incoraggia l’insularita? e rafforza un senso di isolamento dal resto dell’umanita?, promuove il fanatismo senza nessuna base scientifica, inserisce in uno schema religioso battaglie che sono esclusivamente politiche. Invocando testi religiosi fuori contesto, non solo promuove l’intolleranza, il rifiuto degli altri e una mancanza di fiducia nel pluralismo, ma consacra anche lo status di inferiorita? della donna. Inoltre molti dei curricula di studio sono progettati per sviluppare una mentalita? incentrata su risposte precostituite piuttosto che su domande, in un mondo in cui il progresso e lo sviluppo sono guidati da dinamiche di ricerca. 9ella maggior parte delle societa? arabe e islamiche i programmi educativi falliscono l’obiettivo di instillare nelle menti dei giovani che il “progresso” e? un processo umano, nel senso che il suo funzionamento non e? ne? orientale ne? occidentale, ma universale. Questo e? confermato dal fatto che la lista dei paesi piu? avanzati del mondo ne include alcuni che sono occidentali e cristiani, come gli gli Stati Uniti e l’Europa occidentale, e altri con un retroterra giapponese, cinese o musulmano (come la Malesia).

In una lezione che ho recentemente tenuto in una universita? britannica ho detto che negli anni sessanta ho letto la maggior parte dei classici, da Omero a Sartre, passando per centinaia di nomi, lingue e retaggi. Come molti dei miei contemporanei, ho letto questi lavori in arabo. L’accesso illimitato che avevamo allora ai classici della letteratura mondiale ci collegava all’umanita? in un modo che e? oggi inconcepibile per la scarsita? di traduzioni nell’ambito culturale arabo e islamico

L’insegnamento religioso in Egitto

Secondo alcune statistiche un quarto degli iscritti nel sistema educativo egiziano oggi studia in istituzioni religiose collegate all’universita? Al-Azhar . Altre statistiche riducono il numero a un quinto, mentre una recente indagine lo fissa a non piu? di un sesto. Anche assumendo come corretta la stima di un sesto – vale a dire poco piu? del 16% - cio? significa che piu? di tre milioni di studenti ricevono tutta la loro educazione nelle istituzioni religiose. E il numero sale a quattro o cinque milioni se accettiamo le altre statistiche. Cio? che e? certo e? che ci troviamo di fronte a un fenomeno che produrra? importanti conseguenze politiche e sociali e che dunque deve essere esaminato e analizzato da vicino.

L’enorme numero di istituzioni educative religiose che vediamo oggi e? sorto per reazione a specifici problemi, come la mancanza di istituzioni educative facilmente raggiungibili dai bambini che vivono in piccole citta? o nei villaggi, e come rifugio educativo per gli allievi che, privi di mezzi materiali o di requisiti minimi di istruzione, non possono partecipare al sistema educativo generale. Il nostro approccio al problema dell’educazione e? conseguente al nostro approccio a molte altre questioni. Abbiamo stabilito la rete di educazione religiosa come soluzione piu? semplice per i problemi delle classi sociali piu? basse e per i segmenti di societa? con minori abilita? di apprendimento. Se e? cosi?, questo significa che da un punto di vista strategico stiamo immettendo un enorme numero dei membri piu? svantaggiati della societa? - economicamente, socialmente e in termini di abilita? di apprendimento – in un sistema educativo religioso che sta assumendo proporzioni gigantesche. Inoltre l’ abbiamo fatto
senza considerare i risultati strategici – politici, economici, e sociali – di questa “soluzione” sul futuro della societa?.

Negli ultimi decenni la nostra societa? e? stata spazzata da una potente onda di oscurantismo, come evidenziato dall’interpretazione primitiva ed arcaica della religione che e? divenuta prevalente. Ancora nessuno sembra aver studiato la relazione tra quest’onda e le masse di membri svantaggiati della societa?, che sono, per ovvie ragioni, particolarmente vulnerabili al richiamo di una visione semplicistica della religione. Qualcuno dei nostri analisti strategici ha guardato al fenomeno da un’altra angolazione e si e? chiesto quale effetto avra? sui settori scientifico, tecnologico, industriale e commerciale questo enorme numero di studenti egiziani iscritti negli istituti educativi religiosi ?

Ci si deve anche chiedere se si sia guardato alla questione dell’educazione religiosa in Egitto dalla prospettiva dei valori progressivi. I valori che promuovono il progresso formano parte dell’ethos di ogni societa? prospera. Tra i piu? importanti vi sono la fiducia nella diversita? umana, il pluralismo, l’universalita? della conoscenza e i diritti delle donne. I curricula di studio delle istituzioni educatvie legate all’universita? islamica Al-Azhar o sono totalmente privi di ogni tentativo di piantare i semi di questi valori nelle menti dei loro studenti, o promuovono di fatto valori opposti. E’ bene ricordare che il progresso e? piu? un risultato di un insiemi di valori che di risorse materiali.

Assenza di competenza.

Durante i quattro decenni passati, molti hanno scritto del fenomeno della crescente violenza in un

grande numero di societa? islamiche e arabe. Abbastanza stranamente, nessuno di coloro che hanno scritto ha usato i termini “competente” o “incompetente” nelle sue analisi del fenomeno. Questo e? altrettanto vero per eminenti professori in universita? di prima qualita? come Samuel P.Huntington e Francis Fukuyama e per i media, che si sono impadroniti dei concetti huntingtoniani usandoli – e abusandone – in modo da trasformarli piu? o meno in slogan. Si tratta di un’omissione inespicabile, specialmente per un manager come me, che sa che sa che i problemi sono creati dalla mancanza di competenza, mentre il successo in tutte le sue forme deriva dalla competenza. Credo che lo sconforto provato da tanti nelle societa? arabe e islamiche, il senso di vulnerabilita? e disperazione che nutre la rabbia e la violenza derivi dal fatto che queste societa? sono governate da dirigenti selezionati non sulla base della loro competenza, ma della loro obbedienza e lealta?.

L’esempio dell’Egitto.

Le radici dell’estremismo religioso in Egitto derivano da tre fattori. Il primo e? il duro trattamento riservato ai sostenitori della corrente islamica sotto il regime di Nasser. Fin da quando la disputa tra il regime e i Fratelli musulmani diede luogo a un conflitto aperto, il regime ricorse alla forza e alla tortura contro i membri del movimento. Questo accadde nel 1954 e nel 1965, quando lo scontro fu anche piu? duro. Certamente i metodi usati da Nasser contro le correnti islamiche, i cui membri furono perseguitati, imprigionati, esiliati e torturati, crearono generazioni di estremisti tra coloro che soffrirono per mano sua e tra i loro discendenti. Se non fossero stati schiacciati cosi? duramente da Nasser probabilemente i Fratelli musulmani non avrebbero prodotto elementi cosi? estremisti, reazionari e gretti come i militanti dei gruppi islamisti che vediamo oggi.

La seconda fonte dell’estremismo nell’odierno Egitto e? la situazione socioeconomica prevalente. Molti fattori concorrono a creare il clima perfetto per l’estremismo e le tendenze totalitarie, sia verso la sinistra nei gruppi marxisti che verso la destra nel settarismo e nel dogmatismo religioso. Questi fattori sono:la poverta?, il declino negli standard di vita, la comparsa di una minoranza molto ricca nota per i suoi cospicui consumi, i problemi laceranti della vita quotidiana e l’anarchia sociale da essi creata, cosi? come una rottura nel sistema di valori della societa?, la pietra angolare sulla quale il sistema e? costruito.

La terza fonte puo? essere attribuita a fattori esterni. L’Egitto e? al centro di una tempesta di radicalismo che soffia da ogni direzione in Medio Oriente, specialmente dall’Iran e dal Libano, e il contagio e? aiutato dai fondi stranieri e dalla propaganda.
La protezione della societa? egiziana dal flagello dell’intervento e dei finanziamenti stranieri e? naturalmente l’obiettivo delle forze di sicurezza. Ma per quanto sia importante il loro ruolo nell’ affrontare il fenomeno del fanatismo religioso, non possono eliminare le sue cause ne? fermarlo.. L’unico rimedio appropriato e? una combinazione di reale democrazia (che non e? quella esclusivamente di facciata) e di una ferma azione da parte di figure religiose eminenti che dovrebbero contenere il problema, non attizzare le fiamme dell’estremismo come molti fanno.

Lo scontro di civilta?. Vero o falso?

La mentalita? della violenza prodotta da fattori interni e? dunque una variabile che e? emersa soltanto negli ultimi quattro decenni. La sua inclusione come una costante nel paradigma dello “scontro di civilta?” non e? solo forzata, ma appartiene piu? al regno della fantascienza che all’analisi politica. Mi riferisco al famoso libro di Samuel P. Huntington, la cui teoria e? strettamente connessa con la questione della mentalita? violenta. Anche se non condivido i giudizi assolutamente ostili contro l’autore, i suoi motivi e le intenzioni, comuni a varie parti del mondo arabo e islamico, diro? che trovo che il libro abbia tre grandi difetti.

Il primo e? che l’autore parla dell’islam come di un monolite, e come se il modello wahhabita fosse la sola versione dell’islam. Di fatto, come ho accennato, il wahhabismo non e? stata la corrente maggioritariua nell’islam fino all’allenza tra Mohammed Ibn-Abdul Wahhab e Mohammed Ibn- Saud. Sarei disposto a condividere la maggior parte di cio? che Huntington ha scritto a proposito del probabile conflitto tra l’occidente e l’Islam se avesse utilizzato il termine “islam wahhabita” invece di Islam.

Il secondo difetto e? che Huntington non presenta alcuna prova a sostegno della sua teoria di un imminente scontro tra l’occidente e cio? che chiama le societa? “confuciane”, rendendo tale teoria piu? simile alla narrativa che all’analisi politica.

Il terzo e? che non ha dedicato abbastanza spazio nel suo libro al piu? grande conflitto nella storia dell’umanita?, vale a dire la Seconda Guerra Mondiale, combattuta tra forze appartenenti alla comune civilta? occidentale. E’ stato anche un conflitto all’interno del mondo cristiano, tuttavia nessuno ha mai menzionato la religione come una causa di questo immenso conflitto, che e? stato primariamente un conflitto tra il fascismo e le democrazie europee.

Per confutare la pretesa che i gruppi violenti e le tendenze che volgono le spalle alla modernita? e chiedono un ritorno al Medio Evo siano i veri rappresentanti dell’Islam, basta considerare come funzionavano alcune delle principali societa? islamiche all’inizio del ventesimo secolo in paesi come l’Egitto, la Grande Siria (che all’epoca includeva il Libano) e la Turchia. Famose citta? cosmopolite come Alessandria, Beirut e il Cairo erano sede di un’ampia varieta? di minoranze. Gli intellettuali traducevano Omero, il teatro greco, il meglio della letteratura europea e filosofi come Descartes, Rousseau, Diderot, Locke, Hobbes, Kant, Hegel, Schopenhauer e Nietzsche. Sebbene fossero in completa armonia con il progresso scientifico, filosofico e artistico, mantenevano la loro identita? di Egiziani, Turchi e Siriani. Vi e? stato un tempo nel quale i musulmani non vedevano contraddizione tra la loro fede religiosa e il loro entusiasmo per i frutti materiali e culturali della civilta? europea.

 

In breve, sotto l’Islam non wahhabita le comunita? musulmane in Egitto, Siria, Libano e Turchia erano progressiste, in accordo con i tempi e vivevano in armonia con ampie comunita? cristiane ed ebraiche. Al contrario, la versione najide dell’Islam incoraggia i suoi seguaci ad essere in costante contrasto con gli altri, con la loro epoca e con la modernita?. 9el wahhabismo la parola jihad e? interpretata come se rendesse necessario impugnare sempre una spada; eppure l’islam maggioritario per secoli ha interpretato questa parola come se richiedesse ai musulmani di ricorrere alla forza soltanto per proteggersi da aggressioni esterne. L’islam maggioritario accetta anche che i musulmani si fondano con il resto dell’umanita?, mentre il wahhabismo considera questa eventualita? impossibile e inaccettabile.

Non e? il sistema di credenze islamico che conduce inevitabilmente alla violenza e allo scontro con “l’altro”. La violenza e il fanatismo sono caratteristiche di una sola setta di frangia che fino a un secolo fa era di fatto sconosciuta fuori dal deserto del Najd. L’islam maggioritario non wahhabita ha prevalso nelle societa? islamiche fino a due sviluppi catastrofici che lo costrinsero a ritirarsi: il primo fu l’emergere dalle sabbie del deserto dell’islam violento; il secondo fu il declino degli standard di vita in molte societa? islamiche, che permise ad esso di diffondersi.

Fattori esterni

Anche se penso che la mentalita? violenta sia causata innanzitutto da fattori interni, credo anche che alla sua diffusione abbia contribuito un fattore esterno, vale a dire malaccorti tentativi da parte di

alcuni di utilizzare per scopi politici le forze prodotte dalla mentalita? violenta. Un esempio e? il sostegno offerto all’inizio del ventesimo secolo da parte dell’Ufficio Indiano dei Servizi Segreti Britannici al gruppo che stava tentando di unificare la penisola araba sotto un sistema politico che basava la sua legittimita? sull’interpretazione wahhabita dell’islam. Durante lo stesso periodo, l’Egitto vide un’alleanza tra i Britannici e la monarchia, nella quale entrambe le parti avevano interesse a creare un’entita? politica in Egitto che basasse la sua popolarita? sulla religione, per controbilancaire l’influente partito Wafd, che conduceva la battaglia per la costituzione, la vita parlamentare e l’indipendenza. orgiata in segreto, l’alleanza e? ora nota a chiunque studi la moderna storia dell’Egitto. Questo gioco fu ripetuto negli anni settanta in Egitto e poi dagli Stati Uniti in Afghanistan.

L’assassinio del presidente Sadat ad opera di un gruppo estremista fu una sveglia che avverti? il mondo della crescita e della diffusione del modello wahhabita di Islam, appoggiato dai Sauditi, e dell’indietreggiare del modello turco-egiziano. Una successione di eventi simili provo? il pericoloso espandersi del wahhabismo nella maggior parte delle societa? con una maggioranza musulmana, come in 9igeria, Algeria, Egitto, penisola araba, Pakistan, Afghanistan e Indonesia.

Il mattino dell’11 settembre 2001 un gruppo di fanatici appartenenti alla versione wahhabita dell’islam, lanciarono l’attacco contro 9ew York e Washington che dimostro? come i membri di questa setta vedono “l’altro” in generale e in particolare la civilta? occidentale.

Ostacoli al progresso e alla modernita?

La mente araba e islamica pensa che la richiesta di progresso sia una richiesta di dipendenza dall’Occidente, quindi di perdita della specificita? culturale. Cio? che esaspera la situazione e? che molti arabi e musulmani sentono che i valori della civilta? occidentale sono solo per occidentali, e non per tutti. In realta? la modernizzazione e? innanzitutto un fenomeno umano. La ricetta per il progresso non ha nazionalita? o religione, come e? confermato dai differenti retaggi culturali di societa? sviluppate come gli Stati Uniti, il Giappone, la Malesia, Taiwan e la Corea del Sud. Avendo applicato su larga scala le moderne tecniche di magement, so che esistono un management di successo e un management fallimentare, ma non ho conoscenza di un management arabo, cinese, africano o francese. Il Giappone si e? sviluppato molto rapidamente negli ultimi cinquant’anni, ma la societa? giapponese, specialmente fuori dalla capitale, e? ancora essenzialmente giapponese.

9el rallentare il progresso, ai regimi oppressivi si unisce il cittadino che manca di ogni collegamento con il mondo esterno e che pensa che la modernita? sia il rovescio della medaglia della dipendenza. Non crede che la democrazia sia un prodotto umano e un diritto umano e non una merce occidentale per occidentali e non capisce che la massima per la quale per ogni societa? va bene un certo tipo di democrazia e? sbagliata. Mentre e? vero che vi sono diverse forme di democrazia, e? egualmente vero che tutte contengono dei meccanismi di controllo concepiti per fare dei governanti non i padroni della societa? ma i suoi servi.

I musulmani commisero un grave errore contro se stessi e la propria religione quando chiusero le porte dell’ijtihad (interpretazione razionale) e fermarono la ricerca di nuovi concetti e soluzioni. Divennero soddisfatti della semplice emulazione e ripetizione di cio? che i loro antenati avevano prodotto, anche se queste soluzioni erano il rilsultato di un’era precedente e il frutto delle condizioni di un tempo passato. Pertanto i Musulmani stanno vivendo in uno status quo nel quale ruminano sul pensiero di altri uomini che svilupparono un sistema concettuale adatto al loro tempo, otto secoli fa. Gli attuali studiosi islamici leggono solo in arabo, non sono a conoscenza delle scienze moderne e si trovano in un ambiente sociale che impedisce loro di essere intellettualmente

aperti alle innovazioni dell’umanita? nei differenti campi delle scienze sociali e umane. Studiosi

Abbiamo ora un terribile bisogno di una nuova generazione di studiosi, che possa comprendere le scienze, le culture e le conoscenze della nostra epoca altrettanto bene di come comprende il retaggio culturale dei primi musulmani. Settanta anni fa il grande imam di Al Azhar, Mustafa? abd Al- Raziq, era un ex professore di filosofia in un’universita?. Quale universita?, potreste chiedere. Non l’universita? di Ryad o di Sana’a, ma la Sorbona.

Sono stato impegnato in incontri con numerosi studiosi del Vaticano. Provo sempre dispiacere e stupore perche? il Vaticano abbonda di uomini di religione con un bagaglio educativo e intellettuale cosi? splendido nelle loro diverse aree di competenze, mentre i nostri studiosi difficilmente conoscono qualcosa circa i grandi frutti della creativita? umana in molte differenti branche delle scienze sociali e umane.

Abbiamo bisogno di una generazione di studiosi musulmani che abbiano studiato le altre religioni, la storia umana, la letteraturaa mondiale, la filosofia, la sociologia e la psicologia e possa parlare varie lingue, le lingue della civilizzazione. Finche? questo non accadra?, i nostri studiosi musulmani resteranno al loro livello di naivete?, superficialita? e isolamento dalla strada della civilizzazione e dell’umanita?

In conclusione, cosi? come siamo sottosviluppati in tutti i campi della scienza, siamo allo stesso modo sottosviluppati nella scienza della nostra stessa religione islamica. La nostra arretratezza nell’islam e? la stessa che in medicina, in ingegneria, informatica e ricerca spaziale.Non siamo altro che “parassiti” dell’umanita?. Persino le armi usate dalle milizie che si definisco jihadiste sono realizzate fuori dal mondo islamico.

Abbiamo bisogno di vedere l’emergere di una generazione di uomini di religione che combinino l’eccellenza nelle scienze islamiche con quella nelle scienze moderne. Senza questo, la distanza tra i musulmani e il progresso dell’umanita? crescera?. Aumenteranno le campagne di critica contro di loro. Gli scontri tra l’Islam e l’Occidente, come ad esempio la guerra contro i Talebani in Afghanistan, potrebbero riprodursi. I Musulmani (o per essere piu? precisi, ampi settori della popolazione musulmana) diverrebbero il nemico primario della civilta? occidentale, se non dell’intera umanita?.

Istituzioni

Nonostante sia necessario, un simile sviluppo all’interno delle istituzioni religiose islamiche e? molto improbabile. Le piu? grandi istituzioni islamiche nel mondo moderno, specialmente in Arabia Saudita e in Egitto, espellono chiunque richieda la riforma o il cambiamento piu? lievi. Se e? cosi?, ache cosa ci si puo? aspettare quando si richiedono cambiamenti complessivi ?

Una importante universita? islamica ha bandito il Dr. Ahmad Subhi Mansur per il suo rifiuto di riconoscere gli hadiths (detti) profetici come fonte dei principi giuridici. Abu Hanifah al-Nu’man, uno dei quattro grandi giuristi musulmani, si trovo? nella stessa situazione del dottor Ahmad Subhi Mansur quando decise di riconoscere solo alcuni degli hadith profetici mentre gli altri giuristi li accettavano tutti. Alcune moderne universita? islamiche avrebbero reputato Abu Hanifah un “kafir”, (miscredente) nonostante il fatto che sia il primo dei quattro grandi giuristi islamici e che gli sia stato dato il titolo di “grande imam”.

Realisticamente, le condizioni nelle istituzioni religiose islamiche odierne non permettono di

produrre uomini della qualita? di Abu Hanifa e Averroe?. La lunga ricerca di un cambiamento nell’establisment islamico dipende ora da una dirigenza politica incline a una interpretazione razionale della storia. Sfortunatamente, queste qualita? sono difficili da trovare all’interno della comunita? islamica. Tuttavia dobbiamo cercare una leadeship politica che lavori per ottenere cambiamenti procedurali radicali all’interno della comunita? accademica islamica, che abbia la volonta? di portare questa comunita? all’armonia con la scienza e il progresso dell’umanita?.

Senza questa forza guida, i musulmani sono destinati a un massiccio scontro con l’umanita? che sara? altrettanto disastroso della collisione di due corpi celesti.

Traduzione: Fulvio Miceli

 

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