La spirale di morte della Repubblica Islamica

02/09/2009

di Michael Ledeen, 29 agosto 2009.
 
Il 14 agosto 2009 all’una e mezzo di notte c’è stata una fragorosa esplosione nel mastodontico stabilimento petrolchimico della Iranian Pars Petrolchemical Company a Bandar Assaluyeh. Si tratta del più grande  stabilimento petrolchimico dell’Iran - il secondo del Medio Oriente dopo quello dell’Arabia Saudita. Le tubature che trasportavano il gas propano sono esplose ed hanno incendiato lo stabilimento. Il fuoco è stato domato soltanto dopo tre ore di assiduo lavoro e nell’incidente due operai hanno perso la vita – fortunatamente a quell’ora quasi tutto il personale era a casa. Il 30% del petrolchimico è andato distrutto nell’incendio, quindi Pars ha deciso di chiudere la struttura per almeno un paio di mesi. 
 
Con ogni probabilità l’esplosione è stata causata dai nemici del regime, ma l’intera faccenda è stata messa a tacere. Gli effetti si percepiscono anche a Teheran: a causa della penuria cronica di benzina quasi tutti i 3500 autobus e migliaia di taxi sono stati riconvertiti a GPL, quindi il recente avvenimento ha causato la paralisi della città. Al momento le autorità stanno cercando di riconvertire i mezzi a benzina, ma data l’inefficienza generale il processo richiederà moltissimo tempo. Questo evento ha nuovamente evidenziato la vulnerabilità del paese di fronte al taglio dei carburanti.
 
La notizia è passata quasi del tutto inosservata all’estero, ma i leader della Repubblica Islamica sono perfettamente consci della difficile situazione, specialmente ora che il regime si trova ad affrontare una gravissima crisi interna. I nemici interni stanno diventando sempre più forti e impavidi nonostante la dura repressione degli ultimi mesi. Le proteste contro il leader supremo, contro il presidente e i vertici dell’establishment proseguono in tutte le grandi città del paese. Ogni notte dalle prigioni e dai tetti delle case si può udir ripetere lo slogan di “Morte al dittatore!”, ed ogni volta che la gente si riunisce in strada nascono manifestazioni contro il regime - proprio come è avvenuto pochi giorni fa allo stadio di Azadi in occasione di una partita di calcio.
 
Gli scioperi stanno aumentando, e numerosi analisti ora sostengono che presto potrebbe verificarsi uno sciopero generale a Teheran: infatti circa 200.000 operai non hanno ricevuto lo stipendio nell’ultimo mese e quindi potrebbero decidere di incrociare le bracciaNegli ultimi cinque giorni nella provincia di Fars gli operai di una ditta automobilistica hanno scioperato ininterrottamente per la stessa ragione. Inoltre la disoccupazione a Teheran è cresciuta del 3% nei mesi scorsi.
 
Gli orrori perpetrati dai sicari del regime contro i manifestanti pacifici all’indomani delle elezioni farsa del 12 giugno scorso sono ancora ben impressi nella mente della popolazione - vi sono video e fotografie che testimoniano l’accaduto. Il regime si è spinto troppo oltre nei massacri e per far fronte agli eccessi ha fatto trasportare centinaia di cadaveri (alcuni dei quali portano il segno inconfutabile di tortura e violenza sessuale) nelle celle frigo alla periferia di Teheran. Gli operai del cimitero di Teheran hanno confermato di aver ricevuto in consegna dalle forze di sicurezza iraniane cadaveri ancora congelati nel cuore della notte.
 
Alcune testimonianze circolano liberamente sul web, altre – specialmente documenti audio e video - sono state utilizzate da alcuni membri dell’opposizione – ad esempio dal movimento verde di Mir Hossein Mousavi – come arma contro gli avversari – altro segno inconfutabile della spirale di morte della Repubblica Islamica. Secondo il professore di legge Afshin Ellian dell’università olandese di Leiden nei Paesi Bassi, l’ayatollah iracheno Sistani avrebbe spedito dei messaggi segreti a Khamenei criticando la sete di sangue dei suoi più stretti seguaci. Anche l’ayatollah iraniano Montazeri ha criticato il regime definendolo “né islamico, né repubblicano, ma semplicemente una tirannia”. Il nipote dell’ayatollah Khomeini, Hassan Khomeini, ha infranto il protocollo rifiutandosi di accogliere il presidente Ahmadinejad e la sua cerchia durante la visita al Santuario dell’Imam Khomeini ed inoltre ha deciso di non prendere parte alla cerimonia inaugurale del nuovo governo. […]
 
Questa situazione ha spinto il leader supremo a tenere un discorso pochi giorni fa che suona più o meno come un suicidio. Dopo aver ribadito per anni che le manifestazioni e gli scioperi contro il regime erano stati fomentati da “agitatori stranieri” (me incluso più altri oppositori occidentali) egli ha infatti affermato con nonchalance che “i giudici non dovrebbero basare il proprio giudizio semplicemente su voci presunte ma su prove concrete”.  Ha poi aggiunto: “non ritengo che i leader dei recenti avvenimenti (Mousavi e gli altri) siano al soldo dell’Inghilterra o dell’America, non vi sono prove a riguardo”. […] Ma è avvenuto qualcosa di ancora più sorprendente. Il leader supremo ha anche ammesso che si erano verificati orribili episodi di tortura, che gli omicidi dei manifestanti avevano veramente avuto luogo e che i responsabili avrebbero dovuto pagare per i loro crimini.
 
“Sono stati fatti degli errori, la legge è stata violata e sono stati commessi dei crimini. I colpevoli dovranno essere trattati duramente” ha proclamato a gran voce. Poi ha denunciato gli attacchi contro le residenze degli studenti affermando: “Si deve fare luce sui violenti atti perpetrati nei dormitori delle università”.
 
Il leader supremo ha ammesso le sue colpe e così facendo ha posto l’intero regime sul banco degli imputati. Ha dichiarato che i suoi nemici sono innocenti e ha chiesto la punizione per i suoi alleati. Ma come può pensare di non essere accusato a sua volta? Non c’è dubbio che l’assalto contro i manifestanti disarmati è stato ordinato da Khamenei. E certamente anche i suoi nemici hanno tutte le prove per incriminarlo, hanno tutti i documenti che riguardano le tombe prive di un nome e le celle frigo dove sono stati richiusi e congelati i cadaveri degli innocenti.  
 
Sembra ripetersi ciò che avvenne trent’anni fa, quando lo scià ammise che le forze di sicurezza si erano spinte troppo oltre e promise di prendere le misure necessarie per fare giustizia. Quest’ammissione di colpa allora ispirò i seguaci di Khomeini e aprì la strada alla rivoluzione: da quel momento in poi i rivoluzionari non ebbero più paura del regime e i membri della corte iniziarono ad accusarsi l’un l’altro. È  ragionevole pensare che il discorso di Khamenei sortisca gli stessi effetti.
 
Esiste già una commissione parlamentare con il compito di investigare sulle torture e sugli omicidi avvenuti nelle carceri iraniane all’indomani della rivolta postelettorale.  L’ex giudice e guida del temuto Tribunale Rivoluzionario Saeed Mortazavi – soprannominato il “macellaio di Teheran”- è stato licenziato. Nessuno all’interno dell’establishment del regime era  temuto e odiato come Mortazavi, che si è dimostrato particolarmente zelante nei confronti di coloro che provavano a denunciare i mali del regime iraniano.  Mortazavi è famoso per aver messo a tacere centinaia di giornalisti, scrittori, blogger e manifestanti.
 
Ahmadinejad ha continuato a dire  che i leader dell’opposizione erano in combutta con le potenze straniere e ha chiesto a gran voce di punirli.  Ma dopo poco tempo ha tacitamente ammesso le colpe, pur continuando ad accusare i suoi oppositori. Su Press TV (televisione pro-regime) il presidente Ahmadinejad ha affermato che “le violazioni avvenute all’interno dei centri detentivi sono state ordite dagli elementi eversivi della società che mirano a un colpo di stato”.
 
Anche il capo delle Guardie Rivoluzionarie, il generale Mohammad Ali Jafari, ha dichiarato lo scorso sabato che le violenze avvenute nei dormitori di Teheran sono “inaccettabili e criminali” ed ha annunciato nuove investigazioni. Jafari ha poi aggiunto però che nessun ufficiale poteva essere accusato per i misfatti e che le violenze erano opera di individui in borghese che agivano per conto proprio. Qualunque cosa egli dica, coloro che si sono macchiati delle recenti nefandezze non si sentono più molto al sicuro. Sanno benissimo che i loro padroni sono pronti a darli in pasto ai leoni se le cose peggiorano. E le cose stanno davvero peggiorando.
 
Perché Khamenei ha fatto una scelta simile? Tutti sanno ormai che è malato da anni e che deve spesso prendere un forte medicinale a base di oppio contro il dolore provocatogli dal cancro. Ma di certo non è la confusione ad averlo spinto a parlare, né tantomeno il pentimento per le recenti azioni. […] Perché allora si è fatto cogliere dalla paura?
 
In tutti i resoconti sull’attuale crisi iraniana, la maggior parte degli analisti non hanno capito  quello che a me pare essere il nodo cruciale: la natura dell’opposizione. Chi sono Mousavi e i suoi amici? Molti di loro, compreso Mousavi, appartengono all’establishment rivoluzionario, erano con Khomeini trent’anni fa a hanno contribuito alla costruzione della Repubblica Islamica. Sanno perfettamente come funziona il sistema e per questo conoscono i metodi giusti per esercitare una maggiore pressione sui membri del regime.
 
Afshin Ellian ha scritto su Dutch Press che i leader dell’opposizione hanno criticato Khamenei avendo in tasca le prove della sua colpevolezza. Lui poteva scegliere se ammettere la colpa oppure permettere ai suoi oppositori di diffondere le prove. L’opposizione sa di giocare una partita con la morte. Nei mesi scorsi Khamenei ha dovuto affrontare leader molto pericolosi che hanno minacciato la sua incolumità sia dall’esterno – con decine di milioni di manifestanti ogni giorno sempre più coraggiosi – che dall’interno, grazie alla conoscenza intima della natura della Repubblica Islamica.
 
Khamenei è perfettamente consapevole di tutto questo. […] Se Obama e la sua cerchia fossero furbi come credono si essere, avrebbero iniziato a parlare con i futuri leader dell’Iran sin da subito. Se i nemici del regime riescono infatti a far saltare in aria il più grande petrolchimico del paese e a spingere il leader supremo a fare il loro gioco, possono senza dubbio spingersi ancora oltre.
 
Traduzione di Davide Meinero

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