La politica cinese per l’Asia Centrale, secondo Francesco Sisci

29/05/2023

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Il 21 maggio 2023 Settimana news pubblica un magistrale articolo del (come sempre) bravissimo Francesco Sisci, da Pechino, intitolato Russia’s Zugzwang and Gorbachev vindicated. L’articolo, molto corposo, è tutto in inglese, perciò riteniamo di far cosa utile a riassumerne qui sotto i contenuti in italiano. 

Il recente vertice a Xi’an delle cinque repubbliche ex-sovietiche dell'Asia Centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan) indica che la Cina vuole entrare da protagonista nella regione, ora che l’egemonia russa è fortemente indebolita dall’impegno in Ucraina e dal rischio di una crisi politica interna. L’Asia centrale è cruciale per la Belt and Road Initiative (BRI) cinese.

Trent'anni fa, alla caduta dell'Unione Sovietica, la Cina ha visto le repubbliche dell'Asia centrale diventare indipendenti e sempre più instabili. Ma allora la Cina non si mosse per cercar di stabilizzare la regione, per paura di infastidire la Russia. Intervennero altri attori politici, inclusi gli Stati Uniti, con grande dispiacere di Russia e Cina. Ora la Cina vuole prevenire il rischio che ciò si ripeta.

Il 19 maggio 2023 a Xi’an il presidente cinese Xi Jinping ha presentato una proposta ambiziosa e completa per aiutare lo sviluppo dell'Asia Centrale, penalizzata dal non aver sbocco sul mare: ha proposto la costruzione di reti infrastrutturali per il potenziamento del commercio, evitando "interferenze esterne". "Il mondo ha bisogno di un'Asia Centrale che sia stabile, prospera, armoniosa e ben collegata", ha detto Xi. Inoltre i paesi dell’Asia Centrale dovrebbero opporsi congiuntamente alle "ingerenze esterne" negli affari interni e ai tentativi di istigare le "rivoluzioni colorate", cioè le proteste sostenute dagli Stati Uniti. Dovrebbero anche mantenere tolleranza zero contro il terrorismo, il separatismo e l'estremismo, ha detto Xi. Ha ricordato il sostegno dato in passato dalle cinque repubbliche alle “attività anti-cinesi” in Xinjiang, regione abitata da Uiguri, minoranza di etnia simile alle popolazioni di quattro delle cinque repubbliche, che è parte dello stato cinese. "La Cina è pronta ad aiutare i paesi dell'Asia Centrale a migliorare le loro forze dell'ordine, la sicurezza e la costruzione delle capacità di difesa", ha aggiunto Xi.

Non è chiaro quanta trazione avrà la proposta. Le repubbliche desiderano agganciarsi al motore economico della Cina e collegarsi ai suoi porti orientali. Ma la popolazione locale è anche diffidente nei confronti della pervasiva penetrazione economica della Cina ed è allarmata dalla recente diffusa repressione degli Uiguri nello Xinjiang. I cinque paesi stanno attualmente portando avanti il piano e un po’ per volta la Cina potrebbe riuscire a smussare paure e ostilità. 

La mossa della Cina segnala una perdita di potere russo nella regione e potrebbe effettivamente accelerarla. C’è anche un'altra concessione significativa. Pechino ha riferito che la Russia ha concesso per la prima volta l’accesso dei Cinesi al porto di Vladivostok! È una svolta importante per le province nordoccidentali cinesi di Jilin e Heilongjiang che non hanno sbocco sul mare. Sebbene i dettagli siano ancora oscuri, l'accordo espone Vladivostok ad essere de facto assorbito dalla Cina. La città russa ha soltanto 600.000 abitanti, contro circa 100 milioni di cinesi subito oltre il confine. La potenza economica della Cina potrebbe facilmente schiacciare qualunque attività commerciale i russi abbiano in città, se i cancelli saranno aperti. Anche il nord-est della Cina, l'ex Manciuria, area perennemente sottosviluppata, nell'ultimo anno è in forte espansione grazie alla domanda russa di prodotti industriali a basso costo, che non giungono più in Russia dall’Occidente dopo l’aggressione all’Ucraina. L'apertura di Vladivostok potrebbe cambiare l'economia della regione, ma di fatto diminuirebbe la leva politica ed economica di Mosca. Già ora i russi che vivono in Siberia vanno in vacanza ad Hainan e fanno acquisti a Shanghai, non a Mosca.

È uno scenario che la Russia ha cercato di evitare per oltre un secolo, ma ora evidentemente ha bisogno dell'aiuto cinese per sopravvivere alla guerra ai propri confini occidentali. Qualunque cosa accada alla Russia in futuro, sarà molto difficile tornare a chiudere i cancelli di Vladivostock alla Cina.

Ma la Russia non sta vincendo in Occidente. I tre obiettivi principali della guerra ucraina (controllare Kiev, dividere l'UE e spingere gli Stati Uniti fuori dall'Europa) sono ormai persi. Persino la Bielorussia ha negato alla Russia le sue basi per l'offensiva invernale. La Moldavia si sta ritirando dall’alleanza con la Russia, l'Armenia si sta rivolgendo alle potenze occidentali. Insomma, la Russia sta perdendo a Est e a Ovest, e non è in vista un’inversione di tendenza.

Vladimir Putin ha fallito nella sua scommessa ucraina, ma più in generale la sua modalità di sviluppo è stata un fallimento. Dopo la crisi finanziaria russa del 1998, le élite di Mosca arrivarono gradualmente a convincersi che il sistema economico occidentale non fosse adatto alla Russia. Non potevano tornare al socialismo sovietico, quindi tornarono ai tempi zaristi. La società venne organizzata lungo le stesse linee, con Putin come nuovo zar e con un legame esistenziale con la rinnovata Chiesa ortodossa russa guidata dal patriarca Kirill. Non c'era più una corte di aristocratici proprietari terrieri che monopolizzavano l'economia, ma una corte di nuovi oligarchi che monopolizzavano l'industria e le risorse. Il sistema era garantito da ricche esportazioni di petrolio e gas e da un potente arsenale nucleare, così come l’impero zarista era garantito dalle esportazioni di grano e da un esercito di terra invincibile.

Il modello zarista implicava un orgoglio nazionale ottocentesco, quindi un'affermazione territoriale prima contro la rivolta cecena, poi contro tutti gli altri nemici, reali o immaginari, ai confini russi. Il nazionalismo era il compenso per tutti quei russi tagliati fuori dall'enorme ricchezza accumulata dalla corte di Mosca, non la ricerca di sicurezza della classe media, irraggiungibile senza un'adeguata economia di mercato.

È stato un lento scivolamento che è andato accelerando. Per un certo periodo gli Stati Uniti hanno cercato di placare la Russia e ottenere il suo sostegno contro la Cina, ormai identificata come principale rivale strategico dell’Occidente, ma la guerra all’Ucraina ha cambiato i giochi.

Gli attuali fallimenti della Russia sono il fallimento del modello neo-zarista, che indurrà a rivalutare l'intera esperienza russa degli anni '90, disprezzata da Putin. Gorbaciov ed Eltsin non hanno causato la caduta dell'URSS, come pensano i seguaci di Putin: hanno cercato di salvare tutto il possibile in un paese che stava cadendo a pezzi. Poi il modello neozarista di Putin ha ristabilito l’ordine sociale e politico, ma non ha saputo modellare uno sviluppo stabile ma flessibile. È una lezione che anche i dirigenti cinesi farebbero bene a studiare.

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